“Lascio la
conduzione della mia unità di ricerca: non accetto che l’università faccia
accordi con ENI per la ricerca sulla transizione energetica”
Marco Grasso - Professore Università Milano-Bicocca
Lo scorso 15 febbraio, l’Università di Milano-Bicocca e Eni hanno
firmato un “Joint Research Agreement” (accordo di ricerca
congiunta) della durata di cinque anni, in cui si sono impegnate a
collaborare su “progetti di ricerca di interesse comune” relativi
alla transizione energetica (batterie, geotermia,
geo-bio-idro-chimica di reservoir fratturati, e fusione
magnetica, tra le altre cose).
Dopo diversi tentativi infruttuosi di ottenere chiarimenti su questa
partnership, ho deciso di dimettermi dall’incarico di direttore dell’unità
di ricerca “Antropocene” del Centro di Studi
Interdisciplinari in Economia, Psicologia e Scienze Sociali (CISEPS)
dell’Università Bicocca.
L’unità “Antropocene” si occupa, tra l’altro, di questioni legate
alla transizione energetica, che è appunto al centro dell’accordo
fra l’università e ENI. Con le dimissioni da questo incarico
intendo prendere le distanze ufficialmente dall’accordo che non condivido fra
la mia università e il gigante italiano dei combustibili fossili.
I motivi di questa non condivisione sono diversi e non derivano da
pregiudizi ideologici, quanto piuttosto dalla mia conoscenza della questione
che deriva da anni di ricerca e di pubblicazioni scientifiche sul ruolo e le responsabilità
dell’industria petrolifera nei cambiamenti climatici. In generale, sono
preoccupato da tale collaborazione in un ambito di ricerca – la transizione energetica –
che aspira a risolvere i problemi che ENI, e il resto dell’industria petrolifera mondiale,
causa e continua a esacerbare. Ritengo che questo rapporto sia antitetico ai
valori accademici e sociali fondamentali delle università, che ne
possa addirittura compromettere la capacità di affrontare l’emergenza climatica.
A mio parere questo tipo di collaborazioni contravvengono agli impegni
dichiarati dalle università – e anche dalla mia università – per la sostenibilità.
Le compagnie dei combustibili fossili hanno
nascosto, banalizzato e distorto la scienza dei cambiamenti climatici per
decenni. Oggi, nonostante la scienza ci dica
incontrovertibilmente che nessun investimento in nuovi progetti fossili sia
possibile se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, le maggiori
compagnie di combustibili fossili – e anche ENI – continuano
a pianificare nuovi progetti di estrazione incompatibili con gli obiettivi
dell’accordo sul clima di Parigi.
Sebbene le compagnie fossili si presentino
come leader della sostenibilità, i loro investimenti fossili continuano a
essere enormemente maggiori di quelli in energie rinnovabili, che rappresentano
solo una piccola percentuale del totale delle loro spese in conto capitale.
Perciò ritengo che la pretesa dell’industria fossile di
essere leader della transizione energetica non dovrebbe essere presa sul serio:
collaborare con questa industria è contrario agli impegni delle istituzioni
accademiche per il clima.
I partenariati di ricerca delle università con
le compagnie dei combustibili fossili giocano un ruolo chiave
nel greenwashing della reputazione di queste compagnie.
Essi forniscono loro la tanto necessaria legittimità scientifica
e culturale. Legittimità preziosa, poiché permette a queste compagnie di
presentarsi all’opinione pubblica, alla politica, ai media e ai loro azionisti
come agenti che collaborano con istituzioni accademiche pubbliche autorevoli su
soluzioni per la transizione, rendendo più verde la loro reputazione e
offuscando il loro coinvolgimento nell’ostruzionismo climatico,
nonché avvallando le ‘false soluzioni’ che sostengono.
Infine, temo che le università che mantengono stretti legami con
l’industria dei combustibili fossili possano
incorrere in un sostanziale rischio reputazionale. Collaborando con l’industria fossile,
oltre a violare le loro stesse politiche e i loro principi, minano la loro
missione sociale e accademica. Sempre più spesso, la partnership con
l’industria dei combustibili fossili sta erodendo
la fiducia negli impegni delle istituzioni scientifiche per l’azione sul clima,
portando un certo numero di esse – tra cui, per esempio, le Università di Oxford
nel Regno Unito e di Princeton negli Stati Uniti – a tagliare ogni legame con
l’industria, e moltissime altre in giro per il mondo a disinvestire dai
fossili.
In sintesi, ritengo che le università siano vitali per pensare una transizione ecologica rapida
e giusta. Tuttavia, i nostri sforzi a me sembrano minati dalla prossimità al
mondo dei combustibili fossili. L’accademia e la
scienza non dovrebbero aiutare, neanche involontariamente, il greenwashing fossile;
piuttosto dovrebbero impegnarsi, almeno per quanto riguarda le questioni climatiche,
per cambiare radicalmente una situazione che non è più accettabile, che è
diventata, come dice il segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, una ‘pazzia
morale ed economica’, che ci potrebbe portare al ‘suicidio collettivo’.
Sottolineo che le mie dimissioni dalla conduzione dell’unità di ricarica
Antrhopocene del centro di ricerca CISEPS non hanno nulla a che vedere con le
posizione del CISEPS stesso, che non è in nessun modo coinvolto nell’accordo di
ricerca congiunto fra l’Università di Milano-Bicocca e l’ENI in materia di
transizione energetica
Marco Grasso è professore ordinario di geografia economica e politica
all’Università di Milano-Bicocca e si occupa di politiche ambientali e di
governance del clima. Ha lavorato presso Birkbeck, University of London ed è
stato Visiting Scholar in università e centri di ricerca in Europa, Stati Uniti
e Australia. Ha pubblicato numerosi lavori scientifici in materia: il suo
ultimo libro ‘From Big Oil to Big Green. Holding the Oil Industry to Account
for the Climate Crisis’ è stato pubblicato lo scorso maggio da MIT Press ed
liberamente scaricabile al seguente indirizzo: https://direct.mit.edu/books/oa-monograph/5313/From-Big-Oil-to-Big-GreenHolding-the-Oil-Industry
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