«La Costa Rica sta per scrivere la storia: il Congresso discute della possibilità di vietare in maniera definitiva l’esplorazione e lo sfruttamento di petrolio e gas», twittava Christiana Figueres, ex segretaria esecutiva dell’Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tra il 2010 e il 2016. Facendo appello a unirsi alla battaglia.
L’invito è
stato raccolto Mark Ruffalo, Gael Garcia Bernal, Jane Fonda. E il premio Nobel per
l’economia Joseph Stiglitz, che
sottolinea come perseguire una ripresa economica “pulita” sia
la cosa più sensata da fare.
Il progetto
di legge discusso in Parlamento
L’impegno
della Costa Rica per vietare l’esplorazione dei combustibili fossili è iniziato
nel 2002 sotto la presidenza di Abel Pacheco. Allora venne
stabilito un divieto temporaneo la cui scadenza, fissata al 2014, è
stata prorogata fino al 2050. Il nuovo disegno di legge, sostenuto
dall’amministrazione del presidente Carlos Alvarado, si spinge oltre, vietando
in modo permanente esplorazioni e sfruttamento di gas e petrolio.
«Un divieto
permanente manderebbe un messaggio molto potente al mondo
intero», ha dichiarato alla Reuters la parlamentare Paola Vega. «La
preoccupazione», sottolinea Christiana Figueres, «è che un giorno possa esserci
un governo che pensa sia una buona idea tornare all’utilizzo di combustibili
fossili».
C’è un
movimento a favore delle esplorazioni
Il dibattito
parlamentare si sta svolgendo in queste settimane. E anche per questo
Christiana Figueres e altri attivisti stanno usando i social network per
sollevare l’attenzione del mondo intorno al progetto di legge. Tuttavia,
diversi parlamentari costaricani ritengono che il voto arriverà solo a ottobre.
Fin dal 2019
un movimento pro-esplorazione ha cercato senza successo di
ottenere un referendum sull’esplorazione di petrolio e gas. Il disegno di legge
ha incontrato l’opposizione di alcuni politici che sostengono che le risorse
potrebbero aiutare il Paese a riprendersi da un calo dell’8,7% del Pil nel
2020 dovuto alla pandemia di coronavirus.
Non è
provato che le riserve di cui dispone la nazione centroamericana siano
redditizie da un punto di vista commerciale. «Probabilmente non
vedremmo profitti prima di almeno 10-15 anni, quando la domanda di
petrolio e gas sarà effettivamente ancora inferiore a quella attuale», ha
dichiarato Figueres.
Anche la
Groenlandia vieta le esplorazioni
A metà
luglio è stato il governo ambientalista della Groenlandia ad
annunciare la sospensione dell’attuale strategia e la fine alle future
esplorazioni petrolifere sul proprio territorio. Come riporta il
quotidiano francese Novethic, secondo l’American Institute of
Geophysics, più di un quinto delle riserve petrolifere non scoperte si trova a
nord del Circolo Polare Artico. Rappresentano il 13% delle risorse
petrolifere mondiali. Le acque groenlandesi conterrebbero così 51 miliardi
di barili di petrolio.
Le ragioni
che hanno spinto il governo a questa decisione sono essenzialmente due. Da un
lato, analisi economiche della redditività delle esplorazioni
mostrano che i rendimenti sono due volte inferiori rispetto a quanto si
aspettano le compagnie petrolifere. Dall’altro, ovviamente, l’impatto
sull’ambiente e sul clima.
È una
decisione soprattutto simbolica, sottolineano esponenti del
governo. Già da alcuni anni le esplorazioni petrolifere sono in stallo.
La principale campagna di esplorazione offshore, condotta dalla Scottish Cairn
Energy intorno al 2010-2011, era stata un fallimento.
Stop anche
alle esplorazioni di uranio
Eppure il
governo, per mantenere le sue promesse elettorali, non si fermerà. Attualmente
è allo studio un progetto di legge per vietare l’esplorazione e lo
sfruttamento di uranio. «La popolazione della Groenlandia ha basato per
secoli il proprio sostentamento sulle risorse naturali del Paese»
sottolinea il governo. Per il quale, quindi, le attività economiche e
commerciali devono tenere conto della natura e dell’ambiente.
Abbandonare
i combustibili fossili è un dovere
«Questo
rapporto deve suonare una campana a morto per carbone e combustibili
fossili, prima che distruggano il nostro Pianeta», ha dichiarato Antonio
Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite commentando la
pubblicazione del più recente rapporto dell’IPCC.
«Se uniamo le forze ora, possiamo evitare la catastrofe climatica. Ma, come
chiarisce il rapporto, non c’è tempo per indugiare e non c’è spazio per scuse».
Il rapporto presentato
lunedì 9 agosto è stato redatto dal Gruppo di lavoro I il cui scopo è
concentrarsi sugli aspetti scientifici del sistema clima e dei
cambiamenti climatici. Centinaia di scienziati hanno passato al vaglio
migliaia di studi per fornire un quadro delle conoscenze nell’ambito
del clima e dei cambiamenti climatici.
Il verdetto
è chiaro: i cambiamenti climatici dipendono dalle attività umane e
si stanno verificando molto più velocemente di quanto succederebbe naturalmente.
La strada per centrare l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura
media globale entro l’1,5° è sempre più stretta. E va imboccata con coraggio,
cominciando dall’abbandono di quelle cha sappiamo essere la principale causa di
emissioni di gas ad effetto serra: i combustibili fossili.
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