martedì 20 dicembre 2022

La scuola in Sardegna: fattore decisivo, problema eluso - Omar Onnis

 

Ennesimo grido d’allarme sulla condizione della scuola in Sardegna. Giustificato o no, è un’occasione per rilanciare un dibattito mai davvero partito, sempre eluso dalla politica, dall’università e in larga misura dalla scuola stessa.

Il 14 novembre scorso, un articolo sull’Unione online titolava:

Una notizia alquanto sconvolgente, che sembra decretare una sorta di minorità cognitiva diffusa tra le giovani generazioni sarde. Ma su cosa si basa questo dato? Come spiega il direttore della Fondazione “Agnelli”, Andrea Gavosto, è l’esito dei test INVALSI. Nello specifico, si parla delle competenze logico-matematiche.

Già qui ci sarebbe da discutere sull’assertività del titolo e delle dichiarazioni su cui si basa. I test INVALSI, benché ormai imposti e resi ordinari in tutti i gradi di istruzione, sono tutt’altro che uno strumento universalmente riconosciuto come valido per misurare la qualità della scuola e di chi la fa (docenti e discenti).

Il dibattito in merito ha fatto emergere molte problematicità e una giustificata diffidenza circa il senso e la portata di questo genere di prove (un esempio lo si trova qui). Purtroppo i decisori, a livello ministeriale e regionale, non hanno mai prestato alcuna attenzione a tutto ciò.

I test INVALSI non possono essere considerati la fonte più attendibile per misurare le capacità dei/delle discenti. Intanto andrebbe ridiscussa la loro premessa: la pretesa di fondare una “scuola delle competenze”. Non sembra che abbia funzionato. A dispetto dalla consueta retorica modernizzatrice dei vari governi, ci ritroviamo una scuola sempre più distante dalla realtà concreta in cui vivono le giovani generazioni, dalle loro forme di socializzazione e di apprendimento spontaneo, dalle loro interazioni con i vari media di cui dispongono. A cosa servono i test INVALSI in questa situazione?

Un altro loro grande limite è la pretesa di fornire una valutazione astratta, da prendere in termini assoluti, valida e significativa per se stessa. Ma rispetto a cosa viene fatta la valutazione, in nome di quali obiettivi? Questione a cui si lega un altro problema dei test INVALSI (e simili), ossia la pretesa di standardizzare ciò che non è affatto standard. Non è standard l’insegnamento, a livello soggettivo, da insegnante a insegnante; non sono standard le condizioni materiali delle diverse scuole; non è standard e di sicuro nemmeno neutra la loro collocazione territoriale; non sono affatto standard le condizioni personali, familiari, sociali, linguistiche di studenti e studentesse.

Discorso tanto più valido in Sardegna, terra in cui la scuola risulta da sempre un’istituzione in buona parte aliena, calata dall’esterno su una realtà sociale e culturale la cui storia e le cui peculiarità sono state costantemente e pesantemente espulse dai percorsi di istruzione. Terra in cui, in troppi casi, è già un problema pratico *andare* a scuola. Tra dimensionamenti scolastici calibrati su realtà demografiche e geografiche totalmente diverse e trasporti pubblici deficitari, è significativo che la dispersione scolastica nell’isola non sia molto più elevata di quel che è.

Ma di tutto questo non si tiene conto nelle considerazioni fatte a commento dei dati su esposti.

Alla costernazione per questo risultato così penalizzante, nell’articolo segue la fatidica domanda: che fare? Il pezzo va avanti così:

Da dove ripartire? Il salto di qualità in Italia non dipende dall’ammontare degli investimenti: «Siamo allineati – ha chiarito il presidente della Fondazione Agnelli – alla media dei Paesi Ocse. Ma utilizziamo male le risorse. Investiamo poco sull’edilizia scolastica, anche se la Sardegna con il progetto Iscol@ ha fatto importanti passi avanti, e sugli strumenti didattici per il miglioramento del sistema della formazione. Bisogna pensare poi alla formazione degli insegnanti e a un miglioramento del trattamento economico degli stessi docenti. Senza trascurare l’estensione del tempo scuola con attività sportive e laboratori dedicati al teatro»

Che l’Italia sia allineata alla media degli investimenti in istruzione dei paesi OCSE è un dato che andrebbe dimostrato e chiarito, non solo affermato in questo modo apodittico. Negli ultimi trent’anni la scuola pubblica in Italia è stata depotenziata e privata costantemente di risorse e personale. Le varie riforme succedutesi, da quella di Luigi Berlinguer in poi, non hanno fatto che indebolire il “sistema” scuola.

La stessa “autonomia” scolastica si è rivelata un più problema che una soluzione, contribuendo ad aziendalizzare gli istituti, sacrificando la collegialità, imponendo una logica manageriale a un comparto che dovrebbe esserne assolutamente esente, accentuando, anziché attenuare, le differenze sociali e territoriali. Senza per altro valorizzare la figura della/del docente, la cui misera retribuzione non è affatto cresciuta in modo adeguato (anche qui vorrei vedere un raffronto con gli altri paesi OCSE), al cospetto di un aumento del carico di lavoro, soprattutto burocratico.

I problemi generali della scuola pubblica italiana sono noti e più volte esposti dal sindacalismo di categoria (specie di base) e da chi studia la scuola sul piano pedagogico, sociologico e teorico. la politica non ne ha mai tenuto conto.

Il direttore Gavosto sembra convinto che in Sardegna si sia davvero fatto qualcosa di serio per cambiare in meglio le cose. Parla esplicitamente, in modo positivo, del progetto Iscol@, varato sotto la giunta Pigliaru. Immagino che il fatto di essere seduto a fianco di Adriana Di Liberto, docente universitaria a Cagliari e consorte dello stesso Francesco Pigliaru, non abbia influito sul suo giudizio.

Il progetto Iscol@, come troppi interventi in ambito scolastico in Sardegna, è stata un’operazione superficiale e palliativa. Inserito nella prospettiva aziendalista e culturalmente subalterna della giunta Pigliaru, ha evitato accuratamente di incidere sui problemi strutturali della scuola sarda, senza sconfessare in nulla le prescrizioni ministeriali e la logica dei tagli e degli accorpamenti. Senza sfruttare affatto le competenze pure previste nello statuto regionale in materia scolastica, né avviare una pianificazione strategica, tarata sulle esigenze dell’isola. Ma non è che le giunte precedenti e quella attuale abbiano fatto di meglio.

L’occasione in cui sono stati esposti i dati ricavati dai test INVALSI in Sardegna era la presentazione di un libro dello stesso Gavosto. Partecipavano, come si evince dall’articolo, sia l’università di Cagliari sia gli uffici scolastici regionali. Nell’articolo non si dice se vi sia stato un dibattito e, nel caso, cosa ne sia emerso.

La sensazione è che ogni volta che si parla di scuola in Sardegna, tanto la politica, quanto i mass media preferiscano aggirare la questione o ricorrere a diversivi e spostamenti di focus. I media di norma sottolineano preferibilmente gli aspetti più sensazionalistici, concentrandosi soprattutto su dati parziali e decontestualizzati, senza mai approfondirne le cause. Come se alla fin fine il vero problema fosse che le giovani generazioni sarde, figlie di una genia deficitaria di suo, siano più tonte delle altre, in Italia e in Europa.

Lo stesso retropensiero deresponsabilizzante mi sembra emergere anche dal mondo accademico, da cui invece sarebbe lecito aspettarsi indagini e ricerche serie e proposte conseguenti (ben al di là dei poco significativi rapporti CRENOS), e prima di tutto una prospettiva di ragionamento più ampia e adeguata rispetto alle poche-idee-ma-confuse della politica.

Ma è soprattutto lo stesso mondo della scuola, in Sardegna, che deve decidersi a fare un salto di qualità, senza attendere riforme calate dall’alto o soluzioni magiche dalla politica regionale (da *questa* politica regionale soprattutto). Qualche strumento c’è. Basti pensare al lavoro fatto dall’Istituto comprensivo di Perfugas sul bilinguismo, sfruttando in modo virtuoso le possibilità offerte dallo statuto regionale e dall’autonomia scolastica (se ne era parlato in questo convegno a Olmedo, nell’aprile scorso). Ma il discorso è ancora più ampio e concerne una presa di coscienza decisiva sul proprio ruolo e su ciò che rappresenta la scuola pubblica in Sardegna. In questo senso, parlarne ancora e alimentare il dibattito è certamente necessario.

da qui

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