venerdì 31 gennaio 2025

Caporali e morti di freddo dalle Langhe alla Puglia - Jean-René Bilongo

  

Anche nelle zone agricole più prospere del Nord le condizioni di lavoro e di vita della forza lavoro immigrata, anche regolare, è vicina alla condizione di schiavitù. Lo denuncia il Rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto e lo conferma la magistratura. Leggi sull’immigrazione e prefetture non aiutano.

 

Il 10 dicembre scorso, mentre il Paese era sconvolto dalla tragedia di Calenzano, la spaventosa esplosione del deposito di carburanti con il corollario di morti che ne era conseguito, da Alba in provincia di Cuneo, rimbalzava la notizia del ritrovamento dei corpi di due giovani migranti in un casolare abbandonato in località Gamba di Bosco. L’effetto era quello di un fulmine a cielo sereno, anche perché i defunti erano conosciuti dalla locale rete solidale. Oltretutto la vicenda non poteva essere liquidata con la solita impudenza figlia della bolgia tossica sui migranti: in quel caso, non erano “clandestini”, ma titolari di regolare permesso di soggiorno. 

Ci si dovrebbe chiedere perché mai i due giovani subsahariani, 25 anni l’uno e 28 l’altro, dovessero ripararsi in un rudere abbandonato, in un contesto sociale ricco come il cuneese, per poi morire asfissiati dal monossido di carbonio sprigionato dal braciere con il quale cercavano di riscaldarsi.

Senza nessuna intenzione inquisitoria, ma solo per provare a esplorare le possibili cause di una simile tragedia, occorrerebbe tenere presenti tre coordinate: al livello locale, la dimensione nazionale, il solco europeo. 

Cinque mesi prima della tragedia, in piazza ad Alba c’era stata un’importante manifestazione, catalizzata dalla FLAI provinciale e regionale, per dire no al caporalato e allo sfruttamento sempre più radicati nei campi e nei vigneti delle Langhe. La cronaca rilancia un quadro locale alquanto deprimente: condizioni di schiavitù, lavoratori annichiliti, sfruttati, talvolta pestati. Alla conferenza-stampa di una recente operazione di polizia giudiziaria contro la piaga del caporalato, il procuratore di Asti sosteneva che il quadro appurato dagli inquirenti fosse solo “la punta dell’iceberg”. L’eufemismo parla da sé: il marciume è molto più esteso di quanto sembri. Del bacino stanziale di sofferenza occupazionale di 8/10 mila nell’economia primaria del Piemontesvettano Cuneo e Asti quali province più permeate dagli abusi a danno dei lavoratori, come evidenziato dal VII Rapporto agromafie e caporalato.

Ecco, un’agricoltura prospera in cui interi segmenti finiscono per usare a proprio vantaggio le condizioni inique imposte alla manodopera. E’ risaputo che quelle terre piemontesi attraggono ogni anno migliaia di “transumanti dell’agricoltura” in cerca di occasioni di lavoro che sanno di trovare in loco, in base al ciclo biologico delle colture. Proprio come i due asfissiati di Alba.

La seconda coordinata da esplorare è quella dell’accoglienza dei migranti, la sua impalcatura, le sue regole. Verrebbe spontaneo chiedersi come mai i due non fossero inseriti in qualche schema di accoglienza. Succede semplicemente che il sistema di accoglienza sbarra l’ingresso o espunge dai propri dispositivi chi ha un reddito superiore anche di un solo centesimo all’importo di € 6milaUn indirizzo assurdo che il ministero dell’Interno impartisce alle prefetture, con l’ingiunzione di agire di conseguenza. La cifra che ne emerge è che i migranti beneficiari di misura sociale di vitto-alloggio devono necessariamente lavorare in nero, pena l’espulsione dall’accoglienza qualora si raggiunge la sanzione stabilita.

Un’assurdità che assume i contorni di una disposizione di legge ma che, in verità, è figlia di un’interpretazione tendenziosa dell’impianto normativo sull’accoglienza, sulla scorta della Direttiva UE di riferimento, recepita nell’ordinamento domestico con il Decreto Legislativo 142 del 18-08-2015. Nelle sue pieghe, la norma contempla all’articolo 23, tra i motivi di revoca dell’accoglienza, “l’accertamento della disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficienti”. Un assunto dal quale è scaturita un’interpretazione letterale della disposizione medesima. In pratica, se il fruitore di accoglienza matura un reddito superiore anche di un solo euro all’importo dell’assegno sociale (più o meno 6.000 euro), viene allontanato ipso facto dalla struttura. La conseguenza è intuibile: per evitare la scure, si deve semplicemente lavorare in nero. 

Una pratica assurda che seguono pedissequamente le prefetture in tutta Italia, scegliendo di ignorare un passaggio successivo dello stesso articolo 23 che specifica come “nell’adozione del provvedimento di revoca si tiene conto della situazione”  dell’interessata/o, precludendo da ogni ipotesi di allontanamento ad esempio “le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica, (…)”

Nell’esperienza di tutela concreta contro simile applicazione fredda della norma, ci si è scagliati contro un provvedimento di allontanamento adottato dalla prefettura di Brindisi nei confronti di una pluralità di migranti colpevoli di aver lavorato in agricoltura, con regolare contratto, con tanto di reddito accertato. Posto di fronte all’argomentazione della FLAI, alla luce di quanto contemplato in combinato disposto dall’articolato Decreto Legislativo di recepimento della Direttiva Accoglienza, il prefetto fu costretto ad annullare, in autotutela, la misura adottata dai suoi uffici. 

Al netto delle disposizioni di legge, è necessario strutturare schemi di accoglienza per i lavoratori che si spostano da un distretto agricolo all’altro, seguendo appunto il ciclo delle colture. Lo suggeriscono troppi drammi di persone carbonizzate, asfissiate o assiderate in ripari di fortuna, in ogni parte del Paese.

Jean-René Bilongo è il presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto

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giovedì 30 gennaio 2025

Dal governo un altro favore all'industria del gioco d'azzardo: limiti più blandi a slot, scommesse e vlt – Toni Mira

  

L'esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha proposto a Regioni e Comuni nuove regole per gli esercizi che installano "macchinette" e per le sale scommesse: saranno ridotte le distanze da luoghi sensibili come scuole, parrocchie, centri anziani e concesse più ore di attività. Il mercato sempre più ricco garantisce entrate fiscali, ma mette a rischio la salute pubblica, denunciano molti

 

Si annacquano i limiti al gioco d'azzardo, anzi, si cancellano. Come? Permettendo di “giocare” ovunque, anche accanto a luoghi sensibili come scuole, chiese, oratori, centri sociali, impianti sportivi, centri anziani. Lo vuole il governo e lo scrive nella proposta di riforma dell’azzardo fisico, quello nelle agenzie di scommesse, nelle sale slot e videolottery (vtl), negli esercizi commerciali come i tabaccai. Si tratta di un mercato che nel 2023 ha raggiunto la cifra di 65 miliardi di euro sul totale di 147,7 (gli altri sono l’on line) e che ha fatto incassare all’erario circa 13 miliardi. Una cifra alla quale il governo non intende rinunciare, come ha scritto nella proposta di riforma inviata a Regioni e Comuni che, invece, pur in ordine sparso, regole stringenti le hanno messe e continuano a metterle, come il distanziometro e gli orari di apertura. 

 

Nel bilancio 2025 spariscono i fondi contro le ludopatie

 

Il governo: senza azzardo, entrate fiscali in calo

Nel 2024 si è arrivati a 160 miliardi, venti anni fa nel 2004 erano appena 25,5 miliardi, un aumento di più del 600 per cento.

La riduzione dell’offerta, come scrive nella proposta inviata a Regioni e Comuni, sarebbe “eccessiva e foriera di significative ripercussioni sulle entrate erariali”. Non si intende diminuire quanto si incassa, soprattutto con un mercato continuamente in crescita. Nel 2024 si è arrivati a 160 miliardi, venti anni fa nel 2004 erano appena 25,5 miliardi, un aumento di più del 600 per cento. L’azzardo “è ormai fuori controllo” e per questo “è necessaria con urgenza una normativa organica e trasparente” era stato l’appello due mesi fa della Consulta nazionale antiusura San Giovanni Paolo II e della Campagna contro i rischi del gioco d’azzardo“Mettiamoci in gioco” che avevano espresso “profonda preoccupazione” per questi dati. La risposta del governo è stata diametralmente opposta come dimostra la proposta inviata a ottobre alle amministrazioni regionali e regionali. Da allora è in corso un duro confronto, perché gli enti locali vogliono regole più severe per ridurre l’offerta di azzardo che tanti danni sta provocando, come ha denunciato recentemente anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi: “Non è in gioco ma una schiavitù”.

 

Lo Stato dipende dall'azzardo e ora bisogna cambiare

 

Addio "distanziometro": sì a slot vicino alle scuole

Il governo, però, ha tutt’altre preoccupazioni. Nel 2024 è stato già approvato il riordino dell’azzardo on line, mentre per quello fisico manca una norma nazionale. Esistono quelle regionali e le ordinanze dei sindaci, molto più restrittive rispetto alla riforma che ora il governo vuole attuare. A essere ridimensionato dalla riforma è soprattutto il distanziometro che attualmente, sia a livello regionale sia comunale, prevede che sale dedicate e esercizi commerciali con azzardo, non possano essere aperti a una distanza inferiore a 3-500 metri da “luoghi sensibili” come scuole, chiese, oratori, centri sociali, impianti sportivi, centri anziani.

La proposta del governo fa un primo importante intervento distinguendo tra esercizi certificati e non certificati. “La certificazione – si legge nella proposta – attesta la maggiore professionalità e affidabilità degli esercizi nell’attività di raccolta di gioco, in relazione alla prevenzione dei disturbi da gioco d’azzardo patologico e al rispetto del divieto del gioco minorile”. Si prevede così “una specifica formazione degli esercenti, particolari controlli dell’accesso agli esercizi e la presenza di personale addetto al controllo all’interno delle sale”. Però sarà tutto da regolamentare e organizzare, mentre nel frattempo per questi esercizi la distanza minima dai luoghi sensibili si azzera. E le sale “certificate” potranno essere aperte accanto a questi luoghi. Anche quelle non certificate ricevono uno sconto, scendendo a 200 metri.

 

Storia di un giocatore d'azzardo patologico

 

Un danno alla salute dei cittadini

Ad aggravare la proposta è la riduzione drastica proprio dei luoghi sensibili. Per il governo devono essere solo “le scuole secondarie di primo e secondo grado” e “strutture sanitarie che ospitano centri per la cura delle dipendenze”, i Serd. Tutte gli altri previsti nelle leggi regionali e nelle ordinanze dei sindaci sono esclusi. Così, ad esempio, una sala scommesse potrà operare accanto a una parrocchia, a un oratorio, a un centro anziani. Proprio i luoghi più a rischio, con soggetti fragili come minori e pensionati, purtroppo molto attirati dall’illusione del “gioco”. E questo è uno dei punti sui cui gli enti locali proprio non ci stanno.

Così nella controproposta hanno previsto una distanza minima di 300 metri (e 200 tra una sala e l’altra) e reinserito luoghi di culto, centri di aggregazione giovanile, centri anziani, strutture sanitarie e socioassistenziali, università. E lo fanno forti delle sempre più numerose sentenza dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato che bocciano i ricorsi di sale giochi e scommesse proprio contro il distanziometro, per “ragioni di utilità sociale”, come la tutela delle fasce di popolazione più vulnerabili e la prevenzione del gioco patologico. Come affermato dal cardinale Zuppi: “Lo Stato deve mettere sempre al primo posto la salute dei cittadini”.

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mercoledì 29 gennaio 2025

Contro Meloni una strategia già vista: non basta aspettare i barbari per sembrare civili - Marco Aime

  

Nella celebre poesia di Kostantin Kavafis Aspettando i barbari, tutto il popolo è riunito in piazza: le donne indossano i loro abiti migliori, i gioielli più ricchi, gli uomini hanno preparato grandi discorsi: “Che aspettiamo, raccolti nella piazza? / Oggi arrivano i barbari… / S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. / Taluni sono giunti dai confini, / han detto che di barbari non ce ne sono più. / E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? / Era una soluzione, quella gente”.

Versi che sembrano scritti apposta per descrivere la situazione della sinistra italiana, e non solo, che continua a svenarsi nell’attaccare le tante, tantissime nefandezze della destra di governo, senza però mai proporre una narrazione alternativa. È inutile criticare Meloni & C per le politiche sull’immigrazione, senza però mettere sul piatto qualche idea concreta su come affrontare questo fenomeno. Lo stesso vale per le accuse di sudditanza verso gli Stati Uniti, sacrosante, ma occorre avere una qualche idea di politica estera diversa. Non parliamo poi della posizione nei confronti dei conflitti internazionali, a proposito dei quali l’ambiguità della sinistra tra un pacifismo timidamente evocato e un appoggio condizionato alle forniture di armi, rende ancora più opaca la posizione del Pd.

Assistiamo alla riproposizione della strategia – perdente – contro Berlusconi, alla costruzione di una retorica che si limita ad attaccare l’avversario, finendo per scivolare sul suo terreno di gioco, nel farsi dettare l’agenda da lui, mossa che risulta inevitabilmente perdente. Se la sinistra si dimentica di essere sinistra e gioca con gli schemi della destra, la gente finirà per scegliere l’originale. Questo è uno scenario che abbiamo già visto. Non basta puntare il dito per indicare il cattivo.

La demonizzazione del nemico sta alla base di tutte le forme di accuse di stregoneria: immaginare che esista qualcuno di cattivo, diverso da noi, fuori dai nostri ambiti, per poterci pensare buoni. Così come i barbari servono a pensarci civili, i neri e pensarci bianchi e così via. Una strategia, peraltro, adottata molte volte in politica estera: quante volte abbiamo visto governi imbarcarsi in guerre o scontri dialettici con un ipotetico nemico, per fare passare in secondo piano i problemi interni? Dalle Falkland a Gaza l’elenco è lungo.

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È questa la sindrome che colpisce la sinistra italiana e in particolare il Pd, ma è una sindrome monca, a metà. La costruzione dell’altro come icona del male dovrebbe servire a una costruzione speculare e opposta del “noi”, definito per sottrazione e pertanto migliore. Non è così e non lo sarà fino a quando non si riuscirà a proporre una visione diversa della società. Sembra che la parola “ideologia” sia diventata tabù, ma in fondo cos’è un’ideologia se non il sogno di un’umanità a cui aspirare? La politica, oggi, ha il fiato corto, è vero, ma è falso che sia finita l’epoca delle ideologie, delle grandi narrazioni.

La realtà è che c’è solo un’ideologia dominante ed è quella del capitalismo liberista, che nella sua versione più attuale, definita anarco-capitalismo, risulta quanto mai pericolosa per ogni forma di democrazia. Se la sinistra non è capace, dimenticando Blair e la terza via, di immaginare un futuro diverso, una società fondata su valori che non siano solo l’utilitarismo, se si limita ad attaccare le manifestazioni più teatrali della destra, senza colpirne i contenuti, la battaglia è persa.

Diritti, uguaglianza, solidarietà: sono questi i terreni su cui bisogna costruire una visione del domani condivisa, che parta dai giovani, che restituisca dignità al lavoro e soprattutto che si batta per dei diritti collettivi di tutti, non solo delle minoranze. La frammentazione della domanda di diritti indebolisce ogni sforzo, ma soprattutto occorre ripartire dal principio che tali diritti non sono dovuti solo perché ci si considera discriminati, oppressi, minoranza: sono dovuti perché è giusto, perché stanno nella nozione fondamentale di umanità. Ed è questa nozione che deve fare da timone a una sinistra che si voglia proporre come alternativa al modello dominante.

Non basta aspettare i barbari per sembrare civili, come non basta attaccare la destra, per essere di sinistra.

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martedì 28 gennaio 2025

Los Angeles brucia, Trump vuole la Groenlandia. Surreale? Forse no - Loretta Napoleoni

 

Mentre Los Angeles brucia il futuro presidente degli Stati Uniti minaccia di annettersi il Canada e la Groenlandia per motivi di sicurezza nazionale, se necessario anche con la forza. Surreale? Forse no. Da sempre il nemico esterno, ossia lo straniero, oscura quello in casa e la sicurezza nazionale ha il sopravvento sull’ordine pubblico. Dai tempi della rivoluzione e della guerra d’indipendenza americane nell’immaginario collettivo della popolazione il mondo rappresenta la minaccia principale al punto da far passare in secondo piano quelle, molto più reali, interne, ad esempio la violenza razziale della polizia, le stragi per mano di singoli individui o le carenti infrastrutture che periodicamente provocano disastri apocalittici.

In California gli incendi legati al cattivo funzionamento della rete elettrica sono da anni un fenomeno ricorrente. Il motivo? Il sistema è vecchio e deve essere modernizzato, ma le imprese elettriche non vogliono investire per migliorarlo e l’amministrazione locale e statale non ha introdotto una legislazione per costringerle a farlo. Spessissimo la causa degli incendi è proprio la vecchia infrastruttura nazionale. Nel 2019, la maggiore impresa elettrica dello stato, la PG&E Corp., è andata fallita dopo una serie di incendi causati dal cattivo funzionamento della sua rete elettrica.

Eddison International’s l’impresa elettrica della California del sud è già nel mirino della magistratura che sta investigando la causa dell’incendio di Los Angeles e le è stato chiesto di conservare tutti i dati relativi al funzionamento della rete prima che questo scoppiasse.
Nel mirino anche The Los Angeles Department of Water and Power (LADWP), il servizio pubblico che fornisce acqua ed elettricità a quattro milioni di residenti di Los Angeles. La magistratura sospetta che il management non abbia interrotto la rete elettrica in tempo per evitare che i forti venti la trasformassero in una micca. Dopo il grande incendio di Maui, il peggiore nella storia americana per più di un secolo prima di quello di Los Angeles, la Hawaiian Electrical, l‘impresa elettrica dell’isola, accettò di pagare 2 miliardi di dollari in danni alle vittime proprio per questo motivo.

Se la rete elettrica della California è spesso una miccia la cattiva gestione del territorio lo trasforma in un fattore che alimenta gli incendi. Gli incendi di Los Angeles stanno mettendo a nudo l’assenza di prevenzione in un territorio particolarmente predisposto ai grandi incendi.

Il Sud della California è spesso vittima di siccità, ciò che sta avvenendo al momento, è da aprile dello scorso anno che non piove. Questo è anche l’anno della Nina che devia le perturbazioni provenienti dal Pacifico verso il nord ovest, a tutto ciò si aggiunge un fenomeno atmosferico atipico che ha bloccato l’aria fredda e le perturbazioni provenienti dal golfo dell’Alaska.

Un fenomeno atmosferico ricorrente si è pero’ verificato, i venti di Sant’Ana che a gennaio soffiano sempre dalle montagne della California verso la costa, si tratta di venti caldi e secchi che rendono la vegetazione particolarmente prona a bruciare. Da sempre la stagione dei venti ha causato fuochi selvaggi in California, il problema è quando questi raggiungono le zone urbane. E questo avviene perché troppo spesso le abitazioni lungo la costa sono vicinissime, troppo vicine alle aree a rischio fuochi.

L’assenza di un piano regolatore ad hoc ha sicuramente contribuito alla devastazione in atto a Los Angeles, senza barriere anti incendio le fiamme sono saltate da una casa all’altra, bisogna ricordare che tutte le strutture delle abitazioni in America sono fatte di legno e i rivestimenti delle case sono anche in legno.

Per completare il quadro di incompetenza e inefficienza, in California c’è poca acqua. Le fiamme hanno più volte avuto il sopravvento sui pompieri perché mancava la pressione dell’acqua e non riusciva a farla arrivare sulle colline, è successo ad Hollywood, proprio dove vivono i grandi divi.

Tornando a Trump, che ha accusato l’amministrazione di Biden, ed i democratici che gestiscono da sempre la California, di incompetenza, staremo a vedere se una volta insediatosi alla Casa Bianca affronterà il nemico interno il cui operato regala al mondo immagini dell’America da terzo mondo, ossia i fuochi incontrollabili di Mawi e Los Angeles, le stragi nelle scuole e nei cinema, i neri uccisi dalla polizia per strada e, perché no? Anche gli assalti a Capitol Hill.

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lunedì 27 gennaio 2025

Il Lupo e la Volpe - Grig

Piccola finestra di etologia sul Lupo (Canis lupus) e la Volpe (Vulpes vulpes).

La pagina Facebook Io non ho paura del Lupo ha pubblicato (14 gennaio 2025) un interessante resoconto su un particolare rapporto intraspecifico fra Lupo e Volpe.

Eccolo.



Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

La volpe e il lupo.

Nel video, registrato alcuni giorni fa, assistiamo a una scena curiosa: una volpe segue un lupo, il maschio riproduttore di uno dei branchi monitorati in alta valle del Taro. Non è la prima volta che accade, qualche mese fa, infatti, avevamo già assistito alla stessa scena.

Il lupo, tranquillo e sicuro, è ben consapevole di essere seguito ma si comporta come se la volpe non ci fosse: ispeziona e marca su un sito di marcatura “senza degnarla di uno sguardo” se non per voltarsi un attimo verso di lei giusto prima di proseguire il cammino.

Ma cosa sta succedendo? E perché una volpe segue un lupo? Forse perchè si è perdutamente innamorata? O forse perchè sta pensando: “Meglio stare vicino al capo, non si sa mai!”  Certamente la volpe, non è lì per caso, e se segue il lupo una ragione ci sarà!

 Le volpi sono animali astuti ed estremamente intelligenti e questa potrebbe essere una strategia: seguire il lupo potrebbe significare trovare cibo senza troppo sforzo ma anche sfruttare la sua presenza come “scudo” contro possibili pericoli o minacce. La scena è un perfetto esempio di relazione interspecifica, ovvero il tipo di interazione che si verifica tra specie diverse. In natura, queste relazioni possono essere:

Mutualistiche, quando entrambe le specie traggono beneficio (come nel caso di uccelli che rimuovono parassiti dai grandi mammiferi).

Commensalistiche, quando una specie trae vantaggio senza danneggiare l’altra (ad esempio, la volpe che potrebbe trovare cibo seguendo il lupo).

Parassitarie, quando una specie ha un beneficio a spese dell’altra. Questo tipo di interazioni ci insegnano quanto siano complesse, e spesso ancora non sufficientemente approfondite, le relazioni tra i viventi.

Per approfondire altri casi di interazioni interspecifiche tra volpi e altri canidi https://link.springer.com/article/10….

https://www.nature.com/articles/s4159…

https://academic.oup.com/biolinnean/a…

https://www.nature.com/articles/s4159…

Video: Daniele Ecotti


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domenica 26 gennaio 2025

Il "sole artificiale" cinese ha appena distrutto i record di fusione, generando plasma per oltre 17 minuti

 

(di Xinhua)

Ci siamo appena avvicinati a un'energia pulita quasi senza limiti.

 

Il reattore Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST) ha sostenuto plasma super caldo per 1.066 secondi, più del doppio del suo precedente record di 403 secondi.

 

La fusione, che imita il processo di produzione di energia del Sole fondendo atomi di luce in quelli più pesanti, potrebbe fornire una fonte di energia praticamente inesauribile senza emissioni di gas serra o scorie nucleari significative.

 

Nonostante questa svolta, la tecnologia della fusione è ancora nelle sue fasi di sviluppo, richiedendo decenni più ricerche prima di diventare una soluzione energetica praticabile.

 

I progressi di EAST, tra cui un sistema di riscaldamento aggiornato, sono un passo fondamentale verso gli anelli di plasma autosufficienti necessari per le future centrali elettriche a fusione. Attualmente, tutti i reattori a fusione consumano più energia di quanta producano, ma sforzi come EAST contribuiscono a progetti internazionali come ITER, un reattore a fusione su larga scala in costruzione in Francia.

 

Mentre le sfide rimangono, queste pietre miliari avvicinano l'umanità a sfruttare il "Santo Graal" dell'energia pulita. I ricercatori sottolineano l'importanza della collaborazione internazionale per realizzare il potere della fusione.

 

(Traduzione di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli)

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sabato 25 gennaio 2025

Dallo spazio comunitario a quello multinazionale: come la "svolta green" annulla la cultura antropologica

La speculazione energetica in Sardegna. Intervista (di Angela Fais ) all'antropologo Armando Maxia, fondatore e Direttore dell’ “Eco-museo della montagna sarda”

La folle transizione energetica in Sardegna ha profonde ricadute da un punto di vista anche antropologico e culturale, delle quali troppo poco si parla. Si è comprensibilmente più preoccupati dalle conseguenze di ordine ecologico che avranno una portata devastante sotto il profilo dell’impatto ambientale, o da quelle di natura economica. La svolta ‘green' infatti rappresenterà una irrimediabile iattura per l’economia dell’isola e delle famiglie sarde.  

Ricordiamo che la Sardegna costituisce ‘un unicum’ dal punto di vista archeologico. Ha uno sviluppo che viaggia continuo nel corso dei millenni che precedettero il periodo punico-romano, con più di diecimila monumenti archeologici. Ottomila torri megalitiche (più note come nuraghes) risalenti alla età del bronzo nuragica, e quattromila e oltre domus de janas, menhir o dolmen che risalgono a un periodo ancora più antico. E fa male al cuore sapere che sono state già richieste autorizzazioni per installare impianti anche sopra siti di interesse archeologico ancora non scavati.  E ancor più sconcertante è scoprire che, a fronte di questa immensa eredità che un paese come il nostro non dovrebbe mai svendere, si celano intrecci che riconducono a scenari “interessanti”. Per cui dietro una società da diecimila euro che ha presentato un progetto per un impianto di 800 ettari di pannelli a Saccargia, in realtà c’è il più ricco oligarca ucraino, R.L. Achmetov, che è anche proprietario della Azovstal, l’acciaieria in cui era asserragliato il battaglione Azov durante la fase finale della battaglia di Mariupol’. 

La speculazione energetica altro non è che il più recente e terribile capitolo di uno sfruttamento che purtroppo si inscrive nella storia della Sardegna stessa. 

Basti pensare che l’isola è già colonia militare, subendo una occupazione Nato con quarantamila (40.000) ettari occupati da poligoni militari che fanno sì che su di essa insistano il 60% delle servitù militari d’Italia, pur rappresentando solo il 2% della popolazione. Come Lampedusa è un’isola militarizzata in cui, seppur in modalità differenti, si vive il dramma di trovarsi ospiti in casa propria.

Come altre volte detto, se tutti i progetti presentati dovessero essere approvati, sulla scorta di iter autorizzativi consentiti da decreti e norme che sembrano concepiti proprio per favorire gli interessi dei colossi multinazionali, a essere dedicata agli impianti sarebbe una area di 70mila ettari. 

Facendo riferimento all’estensione interessata dagli impianti si ragiona sempre in termini di suolo. In realtà se parliamo anche di eolico non sono semplicemente la superficie, il suolo a essere “consumati” perchè le pale, alte più di 200 mt, si vedono sino anche a 70km di distanza. A essere consumato è anche paesaggio, non solo suolo. Si disegna un altro paesaggio, che racconta un’altra storia.

Di tutto ciò abbiamo parlato con il Dottor Armando Maxia, antropologo, fondatore e Direttore dell’ “Eco-museo della montagna sarda”, museo etnoantropologico diffuso che si trova nel territorio di Aritzo, in Barbagia, provincia di Nuoro. Autore di numerosi testi, parecchi dei quali tradotti anche in russo, il Dottor Maxia si è molto soffermato sul tema della lingua sarda e sopratutto sul legame tra il territorio e le comunità. Gli abbiamo chiesto quali possano essere le ricadute della speculazione da un punto di vista antropologico-culturale per una terra come la Sardegna. Non ha dubbi nel dirci che certamente ci sono importanti risvolti da un punto di vista paesaggistico, essendo questi impianti destinati a ‘spazi rilevanti in senso antropologico-culturale’. Dove per ‘spazi rilevanti dal punto di vista antropologico-culturale’ dobbiamo considerare il fatto che in Sardegna, essendo essa in gran parte una terra il cui territorio conosce poco l’habitat disperso e che anzi - afferma il dott. Maxia- è in essa tradizionalmente assente, il territorio si colora di fortissime connotazioni simboliche. Ci spiega Maxia: “Occorre richiamare, per chi ancora non lo sapesse, che in gran parte della Sardegna rurale vige ancora, e per fortuna aggiungerei, una concezione e una percezione dello spazio di ‘antico regime’ perché rispetto ad altri luoghi diverse sono state le pratiche di umanizzazione e addomesticamento dello spazio e di manipolazione del territorio, ad eccezione infatti delle 4 cuspidi geografiche rappresentate dalla Nurra, Sulcis, Gallura e Sarrabus Gerrei in cui erano presenti insediamenti di pastori e contadini stabili. Quel che si dice ‘un habitat disperso’ appunto. Nel resto dell’isola invece persiste una concezione e una pratica dicotomica dello spazio  - prosegue Maxia - che viene rappresentato come un dentro e un fuori: ‘sa idda’ e ‘su monte’, ossia il villaggio e la montagna. Il primo rappresenta il luogo in cui la vita sociale si svolge al suo massimo grado e in cui si risiede con la famiglia; il secondo, il monte, è il luogo in cui ci si reca per svolgere esclusivamente le attività lavorative ma lì non si risiede coi familiari. Lo spazio del monte, anche a causa di una esigua presenza di lavoro femminile, è scarsamente antropizzato e storicamente esposto al rischio di regressione allo status selvatico. Però è una risorsa percepita, anche da un punto di vista simbolico, come richiamabile nei momenti di crisi sul piano comunitario e individuale anche quando questo spazio non è più parte degli usi comunitari ed è ormai inserito in pieno regime di proprietà privata”, conclude il dott. Maxia.

Si, perchè sino al 1820 i due terzi dell’isola erano ancora proprietà collettiva: dei Comuni, dello Stato , delle comunità di villaggio. Poi con la “legge delle chiudende” nel 1820, i piemontesi cercarono di modernizzare la Sardegna col tentativo di introdurla a pieno nella economia capitalistica; essendo essa già all’interno della economia di mercato, ma ancora prevalentemente legata a una economia  comunitaria. Dunque questi spazi, anche quando in seguito diventano proprietà di privati, continueranno e continuano a essere percepiti, sul piano simbolico e dell’attaccamento affettivo, come spazi comunitari. Adesso però saranno completamente sconvolti da questo intervento devastante che sfigurerà il volto dell’isola. Oltretutto E’ chiaro che la diffusione di impianti sottrae territorio a una Regione che vive ancora di pastorizia e di agricoltura.

Ci spiega Maxia che la montagna, ‘su monte’, è “un precipitato di usi, di pratiche ergologiche, di memoria comunitaria e di storie intorno a cui viene strutturata l’autorappresentazione personale e di gruppo”. Sulla scorta di quanto detto però immaginiamoci quale peso possa acquisire tale mutamento: è lo sdradicamento dei popoli, l’annullamento della cultura antropologica. Trovarsi a vivere in dei veri e propri “non luoghi” per dirla con Marc Augè: omologati, appiattiti, non identitari e non relazionali, non storici, non antropologici. Nei quali non abita nessuno e in cui la storicità è marginalizzata. Cancellato il passato, se esiste solo il presente, si cancella anche il futuro. “Lo spazio viene prodotto su scala industriale quindi non ha più individualità storica perché è prodotto in serie, mentre tradizionalmente esso è fatto di sedimentazioni storiche e simboliche. Non si legge più l’originario tessuto storico-antropologico”. E’ chiaro, e Maxia concorda, che qui il punto focale è proprio l’annullamento della cultura antropologica. Si annichilisce l’umanità nel nome di una politica scellerata al servizio di colossi privati.  E questo riguarda l’umanità, non solo la Sardegna e la sua cultura: “Un luogo vissuto simbolicamente riceve maggiore salvaguardia dalla comunità, ad es. nel caso di un incendio. Ora si stravolge lo spessore storico- antropologico. Ma gli impianti non appartengono a noi sardi. Si sostituisce lo spazio comunitario con 'lo spazio multinazionale’ ”, spiega animatamente il Dott. Maxia, concludendo la nostra conversazione. 

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venerdì 24 gennaio 2025

PFAS: le nostre analisi sull’acqua potabile rivelano dati preoccupanti in tutte le Regioni d’Italia - Giuseppe Ungherese

 

La nostra spedizione ”Acque senza Veleni”, che ha avuto luogo tra settembre e ottobre 2024 per verificare la contaminazione da PFAS (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche) dell’acqua potabile in tutte le regioni d’Italia, è nata per rispondere alla crescente preoccupazione della popolazione e per sopperire alla mancanza di dati pubblici a riguardo. I PFAS, noti anche come “inquinanti eterni”, sono sostanze chimiche usate in numerosi processi industriali e prodotti di largo consumo, che si accumulano nell’ambiente e che sono da tempo associate a gravi rischi per la salute.

Ben prima di enti pubblici e agenzie governative abbiamo:

1) Realizzato la prima mappa nazionale della contaminazione da PFAS nelle acque potabili italiane, misurando la presenza di queste molecole nelle reti acquedottistiche di tutte le Regioni italiane;

2) Monitorato 58 sostanze, ovvero più del doppio delle 24 molecole che la nuova direttiva europea impone di quantificare;

3) Analizzato la presenza di molecole ultracorte (ad esempio Acido Trifluoroacetico, TFA, e Acido Acido perfluoropropionico, PFPrA) su cui, nonostante le preoccupazioni della comunità scientifica internazionale e dei legislatori comunitari per i loro effetti sulla salute umana, non esistono dati pubblici anche laddove si effettuano i controlli sui PFAS.

Per realizzare la prima mappa nazionale indipendente della contaminazione da composti poli- e per-fluoroalchiliche (PFAS) nell’acqua potabile, abbiamo raccolto 260 campioni in 235 comuni appartenenti a tutte le Regioni e Province autonome italiane. La quasi totalità dei campioni è stata prelevata presso fontane pubbliche e, una volta raccolti, i campioni sono stati trasportati presso un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei PFAS.

Per ogni provincia, i campionamenti hanno interessato tutti i comuni capoluogo e almeno un altro comune. In alcune grandi città sono stati eseguiti due campionamenti (Ancona, Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Genova, L’Aquila, Milano, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Torino, Trieste, Venezia). L’obiettivo della nostra indagine è fare luce su una delle forme di inquinamento più pericolose che abbia mai colpito il nostro Paese e spingere le istituzioni a mettere in atto misure concrete per proteggere la popolazione contro i PFAS.



CONSULTA LA MAPPA DEI RISULTATI

INDICE

I risultati delle analisi

Le regioni più contaminate

Le città più contaminate

I problemi della futura normativa anti-PFAS

La contaminazione da PFOA nei Comuni

La contaminazione da PFOS nei Comuni

La contaminazione da TFA nei Comuni

Conclusioni

I risultati delle analisi: PFAS presenti nel 79% dei campioni di acqua potabile analizzati

In 206 campioni su 260 analizzati, è stata trovata almeno una delle 58 sostanze PFAS monitorate: ciò significa che il 79% dei campioni di acqua potabile risulta contaminato

Solo in 54 campioni (21%), non è stata registrata la presenza di alcun PFAS. 

Consulta il report completo con tutti i risultati delle analisi PFAS divisi per Regione.

 

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In ogni Regione almeno 3 campioni di acqua potabile sono contaminati 

Pur essendo stato analizzato un numero di campioni differente, sono almeno 3, in ogni Regione, i campioni risultati contaminati da PFAS, eccezion fatta per la Valle d’Aosta (qui i campioni contaminati erano 2 su un totale di 2 analizzati).

Le Regioni in cui la contaminazione da PFAS è più grave

Al netto del numero differente di campioni analizzati per ogni Regione, è possibile avere un’indicazione della diffusione della contaminazione su scala regionale considerando il numero di campioni contaminati rispetto al totale analizzati. Le situazioni più critiche si registrano in Liguria (8/8), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2), Veneto (19/20), Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31).

Le Regioni in cui si riscontrano meno campioni contaminati sono, nell’ordine Abruzzo (3/8), l’unica regione con meno della metà dei campioni positivi alla presenza di PFAS, seguita da Sicilia (9/17) e Puglia (7/13)…

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giovedì 23 gennaio 2025

Eni denuncia un professore di storia per aver detto la verità - Ultima Generazione


Ultima Generazione rende noto la denuncia da parte dell’Eni contro il professore di storia Giuli per aver detto la verità e invita il presidente Mattarella, non stare a guardare mentre il Governo difende i potenti


Le chiamano querele temerarie; sono quelle denunce che le grandi aziende e uomini politici fanno a privati cittadini – in genere giornalisti – per intimidirli e zittirli. Ultimamente Eni sembra averci preso gusto. Alla denuncia ad Antonio Tricarico di ReCommon è seguita, nella giornata di ieri, la denuncia a Giuli, un professore di storia aderente ad Ultima Generazione. Qui la sua testimonianza. Le accuse, assurde e strumentali, sono di diffamazione a mezzo stampa per delle affermazioni rilasciate sui social e persino di istigazione a delinquere. Il Prof. Giuli ha denunciato, e continuerà a denunciare, il ruolo criminale di Eni nel aggravare la crisi climatica. I fatti sono chiari: è dagli anni settanta che Eni è al corrente dei rischi derivanti dalle emissioni e continua ad investire nell’estrazione dei combustibili fossili facendo affari con regimi dittatoriali. Querelare chi dice la verità è un attacco alla libertà di espressione. Ma ciò che è ancora più grave e inaccettabile è l’atteggiamento complice di un governo che non solo chiude gli occhi di fronte a questo attacco sfacciato alla libertà di espressione, ma addirittura lo facilita. Il cosiddetto “ddl sicurezza” non è altro che l’ennesimo bavaglio imposto a chi alza la voce. È vergognoso che in un paese democratico si permetta un simile scempio dei diritti fondamentali, mentre i veri responsabili degli abusi e della crisi climatica restano impuniti. Per questo chiediamo al Presidente della Repubblica di non prestarsi a una firma vigliacca del ddl Sicurezza.

Le affermazioni contestate

Quali sono le affermazioni contestate? Sono due:

  1. “Eni continua a portare avanti affari illeciti dettando politiche energetiche all’Italia e sfruttando in modo coloniale le risorse di paesi come Nigeria e Mozambico”
  2. Eni è “colpevole e criminale” affermando che “non sta rispettando alcun accordo internazionale e invece sta aumentando gli investimenti in combustibili fossili” e ancora “ Eni sapeva fin dagli anni settanta perché aveva pubblicato degli studi privati che dicevano, testuali parole che ci sarebbero state delle conseguenze devastanti se avessero continuato ad immettere anidride carbonica nell’atmosfera”


La verità è una sola

Cominciamo dall’ultima affermazione (Eni conosceva i rischi delle emissioni). Da un’ inchiesta di ReCommon infatti sono emersi report del centro di ricerche di Eni che, già negli anni settanta, avvertiva dei rischi derivanti dalle emissioni. Avvertimenti che evidentemente sono stati ignorati. Ancora, dire che Eni: “… sta aumentando gli investimenti in combustibili fossili” è dire la verità. L’organizzazione Oil Change International basandosi su documenti ufficiali di Eni, pubblica un rapporto che riporta che il 90% del capitale investito di Eni riguarda progetti di estrazione ed esplorazioni di nuove fonti fossili. In più, veniamo a scoprire come nell’anno 2022 Eni, a fronte di un miliardo investito in Plenitude (il segmento “rinnovabile delle sue attività”) ha investito 15 miliardi nel segmento legato ai combustibili fossili. Dunque dire che Eni “sta aumentando gli investimenti in combustibili fossili”, fregandosene dei parametri stabiliti in sede internazionali per arrestare la crisi climatica, è dire la verità. Quanto all’accusa di “colonialismo”. Eni ha forti interessi in Africa, nei paesi citati dal Prof. Giuli, Nigeria e Mozambico, ma ha proficui rapporti anche con l’Egitto, cioè con un regime dittatoriale e spietato che, tra i tanti crimini, si è reso responsabile della morte del ricercatore italiano Giulio Regeni; è stata proprio la denuncia di questi rapporti a portare alla denuncia per diffamazione di Antonio Tricarico.

Eni, lo strapotere del fossile

Il maggior azionista di Eni è lo stato Italiano, attraverso il ministero di Economia e Finanza. Eppure si ha l’impressione che il rapporto gerarchico sia al contrario , cioè che sia Eni a dominare l’Italia. Claudio Descalzi è un uomo potentissimo, benvoluto da destra e sinistra (è ad di Eni da dieci anni, “sopravvissuto” a quattro governi), certamente molto più influente del Ministro dell’Ambiente Picchetto Fratin. Eni inoltre ha costruito un’immagine di fiducia con gli italiani, colonizzandone (è proprio il caso di dirlo) l’immaginario, attraverso le pubblicità greenwashing e le sponsorizzazione ai grandi eventi culturali (Sanremo, concerto del Primo maggio) e sportivi.

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