In
Danimarca, a differenza di quanto fatto finora in Italia, è lo Stato ad aver
individuato – previa procedura di valutazione
ambientale strategica (V.A.S.) – i siti nel mare del Nord e nel Mar Baltico per
l’installazione delle centrali eoliche offshore (vari progetti
per complessivo GW 40 di potenza) attraverso uno studio dell’Agenzia Danese per l’Energia (DEA).
Successivamente
le concessioni vengono messe a gara, lo Stato evita il Far West degli speculatori
dell’energia e, in più, ci guadagna.
E’, in
sostanza, una delle richieste dalla petizione nazionale Si
all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! promossa dal Gruppo
d’Intervento Giuridico (GrIG), che ha abbondantemente superato le ventimila
adesioni.
C’è un
fatto, però, che fa capire molte cose: in assenza di incentivi e sostegni
pubblici l’affare non è più conveniente.
Infatti, l’asta pubblica indetta dall’Agenzia Danese per l’Energia (DEA) per la realizzazione di tre centrali
eoliche offshore nel mare del Nord (North Sea I A1, A2 e A3)
da complessivi 6 GW (elevabili a 10 GW) di potenza è andata deserta.
Alla
scadenza del termine del 5 dicembre 2024 non si è presentato nessun concorrente.
In Italia,
non c’è alcuna pianificazione degna di questo nome e nessun asta di
alcun genere, in tutto il territorio nazionale le istanze di
connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore
della rete elettrica nazionale) al 31 agosto 2024 risultano complessivamente
ben 5.999 pari a 342,10 GW di potenza, suddivisi in 3.850 richieste di impianti
di produzione energetica da fonte solare per 151,45 GW (44,27%), 2.017
richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per
107,82 GW (31,52%) e 132 richieste di impianti di produzione energetica da fonte
eolica a mare 82,83 GW (24,21%).
La
Commissione europea – su richiesta del Governo Italiano – ha recentemente
approvato (4 giugno 2024) un regime di aiuti di Stato “volto
a sostenere la produzione di un totale di 4 590 MW di nuova capacità di energia
elettrica a partire da fonti rinnovabili”. In particolare, “il
regime sosterrà la costruzione di nuove centrali utilizzando tecnologie
innovative e non ancora mature, quali l’energia geotermica, l’energia eolica
offshore (galleggiante o fissa), l’energia solare termodinamica, l’energia
solare galleggiante, le maree, il moto ondoso e altre energie marine oltre al
biogas e alla biomassa. Si prevede che le centrali immetteranno nel sistema
elettrico italiano un totale di 4 590 MW di capacità di energia elettrica
prodotta da fonti rinnovabili. A seconda della tecnologia, il termine per
l’entrata in funzione delle centrali varia da 31 a 60 mesi”.
Il costo del regime di
aiuti in
favore delle imprese energetiche sarà pari a 35,3 miliardi di euro e, tanto per
cambiare, sarà finanziato “mediante un prelievo dalle bollette elettriche
dei consumatori finali”.
La
Soprintendenza speciale per il PNRR, dopo approfondite valutazioni, ha
evidenziato in modo chiaro e netto che “… è in atto una complessiva
azione per la realizzazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile
(fotovoltaica/agrivoltaica, eolico onshore ed offshore) … tanto da prefigurarsi
la sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio con
impianti di taglia industriale per la produzione di energia elettrica oltre il
fabbisogno … previsto … a livello nazionale, ove le richieste di connessione
alla RTN per nuovi impianti da fonte rinnovabile ha raggiunto il complessivo
valore di circa 328 GW rispetto all’obiettivo FF55 al 2030 di 70 GW” (nota
Sopr. PNRR prot. n. 51551 del 18 marzo 2024)”.
Il fenomeno
della speculazione energetica è pesantemente presente in modo
particolare nella Tuscia, in Puglia, nella Maremma, in Sardegna, in Sicilia, sui crinali appennnici.
Qui siamo
alla reale sostituzione paesaggistica e culturale, alla sostituzione
economico-sociale, alla sostituzione identitaria.
Pagata con i
soldi pubblici, cioè dei cittadini, cioè nostri.
Alla faccia
del benché minimo buon senso.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
da Il
Sole 24 Ore, 9 dicembre 2024
Flop in Danimarca dell’eolico: va deserta la gara per
il più grande parco marino.
Senza
incentivi statali, nessun investitore si è presentato per la concessione di 30
anni nel Mare del Nord. Pure il campione nazionale Orsted, numero uno al mondo,
si defila. (Simone Filippetti)
La Danimarca
fa un clamoroso flop nelle energie pulite: va deserta l’asta per il più grande
parco eolico in alto mare del paese. Il paese più “verde” d’Europa non è
riuscito ad attrarre nemmeno un investitore per costruire pale nel Mare del
Nord. Sta forse per scoppiare la bolla dell’energia eolica? L’asta non
prevedeva sussidi statali, ossia soldi dei contribuenti.
Il clamoroso flop
Neii giorni
scorsi, l’Agenzia Danese per l’Energia (DEA) ha comunicato di non aver ricevuto
offerte per nessuno dei tre parchi eolici offshore nel Mare del Nord che erano
stati messi in gara a inizio Novembre: si trattava dei primi 3 Gigawatt di un
grande progetto più ampio. Non si è presentato nessuno, nemmeno la danese
Orsted, il campione nazionale dell’eolico che giocava in casa.
«Questo è un
risultato molto deludente. Le circostanze per l’eolico offshore in Europa sono
cambiate in modo significativo in un tempo relativamente breve, compresi grandi
aumenti di prezzi e tassi di interesse» ha masticato amaro Lars Aagard,
ministro per il clima, l’energia e i servizi pubblici del paese.
Annus Horribilis
A inizio
anno, la Danimarca aveva lanciato la più grande gara d’appalto per un parco
eolico marino della sua storia: erano stati messi all’asta un minimo di 6
Gigawatt di nuova capacità in sei siti nel Mare del Nord, con l’opzione di
sovra-piantumazione che consente di aggiungere 10 Gigawatt. Ora, c’è il rischio
che tutto il mega-progetto salti.
Il progetto
messo all’asta avrebbe dovuto essere costruito senza sussidi statali, motivo
per cui tutti gli investitori privati si sono defilati. In più, era richiesto
un pagamento annuale del canone di concessione: per i successivi 30 anni, i
gestori dovrebbero pagare al governo di Copenaghen il diritto di utilizzare il
fondale marino. Infine, lo Stato danese sarebbe stato comproprietario di
ciascuno dei parchi eolici con una quota di minoranza del 20 per cento. Il
fallimento è un duro colpo per la politica energetica verde del paese che a
oggi conta una capacità installata di 2,7 Gigawatt.
Il caso Orsted
Se un’asta
nazionale per un parco eolico, nel paese bandiera della “Transizione Verde”, è
già di per sè un segnale preoccupante, è ancor più strano che non si sia
presentato nemmeno il colosso nazionale Orsted: l’azienda è il più grande
produttore e installatore di pale eoliche al mondo. Perché snobba il suo stesso
paese? Perchè è da tempo in difficoltà finanziarie: dal 2021 a oggi ha bruciato
il 60% del sul valore alla Borsa di Copenaghen. Gli investitori stanno
scappando dal titolo: a Novembre dell’anno scorso, dopo aver annunciato di
ritirarsi da una gara in New Jersey, e aver fatto una svalutazione di bilancio
da 4 miliardi di Dollari, le azioni sono crollate del 30% in un giorno. Ai
massimi del 2020, quanto tutti erano entusiasti per l’energia eolica, Orsted
quotava quasi 1.200 Corone Danesi. Oggi langue attorno alle 360 Corone, che
valutano l’intera società appena 20 miliardi di Euro.
L’energia
eolica sta diventando un pessimo affare: a mercato, senza aiuti pubblici,
l’energia prodotta dal vento ha prezzi negativi, almeno quella del Mare del
Nord, dunque si produce in perdita. Ma un’industria privata che sta in piedi
solo se lo Stato paga, è sostenibile o è una bolla speculativa?
Nessun commento:
Posta un commento