Caro direttore, ho 19 anni, abito
ad Arzachena e frequento l’Università di Sassari. Scrivo queste poche righe a
lei perché non ho la forza, né il coraggio di rivolgerle alla mia famiglia.
Pochi giorni fa è venuta a mancare mia nonna, Anna Ragnedda di 83 anni,
travolta dal nubifragio che ha colpito Olbia. Ripenso ancora a due mesi fa,
quando mi faceva gli auguri per l’Università e immaginavo la gioia che avrebbe
provato nel divenire bisnonna per la terza volta. È morta nella maniera
peggiore, da sola, al primo piano del suo condominio, come un topo in gabbia,
senza il conforto di una voce amica che potesse rassicurarla, senza che nessuno
di noi potesse fare niente. Esprimere il dolore che ho nel cuore è estremamente
difficile, perché le parole che fuoriescono dalla mia bocca sono solo inutili,
insignificanti suoni che appaiono sempre più distanti, sempre più impotenti,
sempre più insensibili. Ogni giorno chiamo mia madre. Il come stai che le
rivolgevo qualche settimana fa si è trasformato in un frastornante silenzio
inframmezzato da un cosa fai?, state bene?, grazie al cielo qui a Sassari va
tutto bene, perché so perfettamente cosa prova, quale stato d’animo si cela
dietro la sua voce fioca e tremolante, sempre più ansiosa per la mia stessa
incolumità. Mi sento impotente, inutile…
mercoledì 27 novembre 2013
lunedì 25 novembre 2013
Man - Steve Cutts
grazie a Daniela per la segnalazione
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Terra
domenica 24 novembre 2013
Urbanistica: avanti il prossimo idiota! - Fabrizio Bottini
Dato che il territorio è il posto su cui tutti,
nessuno escluso, appoggiamo i piedi, tutti nessuno escluso hanno pienamente
diritto ad esprimersi a proposito di organizzazione del territorio, vista la
loro comprovata specifica competenza ed esperienza. Esiste però,
qui come sempre, un certo limite alle legittime espressioni dell’istinto
induttivo: non è detto che quanto mi va bene qui e ora possa andar bene a tutti
gli altri sempre e comunque. Soprattutto considerando che le trasformazioni del
territorio sono per loro natura praticamente irreversibili, nel senso che
restano lì per l’eternità, le appioppiamo non solo ai nostri contemporanei, ma
a tutte le stirpi della discendenza settanta volte sette eccetera. Quindi
andiamoci piano con l’istintiva induzione, mi scappa di fare una cosina e la
lascio lì per sempre su tutto l’universo.
Ma andatelo a spiegare a certa politica dal fiato
corto, sempre trafelata dietro la ricerca di facili consensi e pronta a tutto
pur di aumentarli e orientarli ai fatti propri. In Italia proprio in questi
giorni sono esposte agli occhi di tutti le arrampicate (orgogliose e ostentate
arrampicate) sugli specchi di un presidente di regione a statuto autonomo che
nega l’evidente. Ovvero il disastro di un certo modello di
trasformazioni territoriali di fronte agli eventi naturali, solo per compiacere
una certa sua committenza di interessi, ritenuti legittimi a prescindere perché
dovrebbero (pura fede, e pure un po’ fanatica) contribuire ad arricchire tutti.
Preso dalla foga inciampa anche sul generale e sul
particolare, mettendo ben in luce almeno un aspetto: delle cose che dice non
glie ne frega niente, i suoi obiettivi sono altri, e nemmeno tanto nascosti.
Sono quelli della fede cieca di cui sopra: l’ambiente serve a far quattrini da
spendere in consumi voluttuari, se no che ci sta a fare? Il resto è poesia
infantile…
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Sardegna
sabato 23 novembre 2013
La annunciata tragedia in Sardegna: non deresponsabilizziamo i colpevoli - Giorgia Foddis
Una strana coincidenza quella che sto vivendo, una sarda alla
Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Varsavia. L’evento è
solenne, vi è assoluta urgenza di agire, occorre sensibilizzare la popolazione,
fare pressione sui negoziatori per far si che il riscaldamento globale sia
limitato, che i maggiori danni dall’accertato cambiamento climatico siano
limitati. Nel mentre un violentissimo nubrifagio colpisce per l’ennesima volta
la mia terra, causando morti, feriti, sfollati, distruzione.
Accade quindi che la triste vicenda che sta colpendo la Sardegna riceva la massima attenzione mediatica. Ne ha parlato la BBC, e, mentre pranzavo nella Food Court del National Stadium, pure la CNN mandava in onda un servizio di due minuti con immagini che mi hanno fatto passare l’appetito. In fondo, penso, dovrei essere contenta della pubblicità che sta avendo, almeno la tragedia non passa inosservata.
Eppure…
In tanti scrivono, in tanti provano a spiegare le cause di questo triste avvenimento. E allora ricorrono parole come cambiamento climatico e triste fatalità, a volte accostate a generici e deboli richiami alla necessità di fare prevenzione. L’impressione che si ha è che si sia impotenti, che non sia stato possibile fare nulla per evitare la calamità.
Non c’è ancora spazio per la parola ‘responsabilità’ in questi discorsi, eccetto rarissimi casi a livello regionale.
È vero, le precipitazioni sono state intensissime (circa 500mml, corrispondente alla quantità media di precipitazioni di un semestre). È vero, gli eventi ‘estremi’ sono già più frequenti e sono destinati ad esserlo ancora di più, come sottolineato dal V Rapporto dell’IPCC. È vero, è importante sensibilizzare la popolazione sul tema del cambiamento climatico. Eppure, in tanti usano questo argomento solo per deresponsabilizzarsi, si chiama ‘emergenza’ ciò che ormai è divenuto ordinarietà…
Accade quindi che la triste vicenda che sta colpendo la Sardegna riceva la massima attenzione mediatica. Ne ha parlato la BBC, e, mentre pranzavo nella Food Court del National Stadium, pure la CNN mandava in onda un servizio di due minuti con immagini che mi hanno fatto passare l’appetito. In fondo, penso, dovrei essere contenta della pubblicità che sta avendo, almeno la tragedia non passa inosservata.
Eppure…
In tanti scrivono, in tanti provano a spiegare le cause di questo triste avvenimento. E allora ricorrono parole come cambiamento climatico e triste fatalità, a volte accostate a generici e deboli richiami alla necessità di fare prevenzione. L’impressione che si ha è che si sia impotenti, che non sia stato possibile fare nulla per evitare la calamità.
Non c’è ancora spazio per la parola ‘responsabilità’ in questi discorsi, eccetto rarissimi casi a livello regionale.
È vero, le precipitazioni sono state intensissime (circa 500mml, corrispondente alla quantità media di precipitazioni di un semestre). È vero, gli eventi ‘estremi’ sono già più frequenti e sono destinati ad esserlo ancora di più, come sottolineato dal V Rapporto dell’IPCC. È vero, è importante sensibilizzare la popolazione sul tema del cambiamento climatico. Eppure, in tanti usano questo argomento solo per deresponsabilizzarsi, si chiama ‘emergenza’ ciò che ormai è divenuto ordinarietà…
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giovedì 21 novembre 2013
Il “Ciclone Cleopatra”, ennesima “calamità innaturale” - Raniero Massoli Novelli
Le
immagini purtroppo osservate sui media circa la tragica alluvione in Sardegna
dimostrano chiaramente che strade e ponti costruiti negli ultimi decenni
nell'isola sono opere realizzate in maniera speculativa e collaudate perlomeno
con approssimazione.
Le
piogge sempre più forti e concentrate le manda Madre Natura ma le strade, i
canali, i fiumi, i loro alvei, i versanti collinari e montani, sono gestiti
dall’uomo.
Per
tali motivi a mio avviso i 17 morti in Sardegna richiedono da un lato un ben
diverso modo di progettare, costruire, collaudare; da un altro che si accertino
le responsabilità di chi ha speculato sul territorio.
Sono
decenni che i geologi a tutti i livelli denunciano la fragilità idrogeologica
di gran parte del territorio sardo ed i rischi connessi con il costruire case e
strade negli alvei fluviali od in zone franose. Inutilmente.
I
fondi per sanare o limitare il diffuso rischio idrogeologico risultano sempre
di meno, mentre al contrario le imprese, gli amministratori locali ed alla fine
i politici da essi sollecitati, i fondi per costruire li trovano sempre.
Infatti non sono pochi in Sardegna i casi di amministrazioni comunali che hanno
premuto continuamente sugli uffici regionali per avere le autorizzazioni a
costruire anche laddove è palesemente pericoloso.
Senza
dimenticare la piaga degli incendi boschivi, un fenomeno che, assieme alla
presenza diffusa di rocce impermeabili come i graniti, facilita non poco
la veloce discesa a valle delle acque meteoriche e rende le alluvioni sempre
più pericolose e diffuse.
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Raniero Massoli Novelli,
Sardegna
mercoledì 20 novembre 2013
L'alluvione sarda e i fantocci impiccati - Pino Cabras
Gli hanno
dato molti nomi: ciclone, Cleopatra, uragano, bomba d'acqua. La mia terra gli
ha dato un tributo di vite umane. Il presidente della regione Ugo Cappellacci,
pronto ad aggiornare l'elenco di piaghe descritte nel Libro dell'Esodo, gli ha
dato la definizione di "piena millenaria". La tempesta che ha
rovesciato sui suoli sardi sei mesi d'acqua in appena mezza giornata ha saputo
guadagnarsi così il primo posto nella borsa mediatica delle catastrofi, in
Italia e nel mondo, prima di essere inevitabilmente sostituita da altre
notizie.
I lutti e i
danni, tuttavia, non sono tutti dovuti al meteo cinico e baro. Questa
devastazione deriva da un equivoco di fondo che la Sardegna di oggi e l'Italia
sin dai tempi del Vajont si portano dietro: avere un suolo prevalentemente
montagnoso e collinare, ma percepirsi come un paese di pianura, dove la pianura
ha dimenticato per sempre tutta quella inutile materia fangosa e
"prevalente" che sta a monte.
È uno spazio
addomesticato, quella pianura ideale, segnato da linee d'asfalto, case,
scantinati, capannoni, e mille altri segni di "sviluppo" che la
separano dal passato rurale e la proiettano in un mondo magico e progressivo
che fa a meno della geologia.
Olbia alla
fine della seconda guerra mondiale era un borgo di diecimila abitanti, oggi ne
ha sei volte di più. E dove ha fatto il nido tutta questa gente nuova? Lo ha
fatto là dove volevano gli speculatori e dove la portava la corrente
dell'abusivismo: dove un tempo c'erano stagni e dove scorrevano magri torrenti.
Le
"piene millenarie", proprio perché hanno memorie lunghissime,
ricordano ogni tanto che dove il fiume è già passato tanti anni fa, prima o poi
ci ripassa ancora…
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Pino Cabras,
Sardegna
venerdì 15 novembre 2013
vicini di casa
Commento di Alberto Contri:
In una
notte di luna i vicini di casa di un giovanotto che si esercita alla batteria,
si lamentano con lui per il rumore che esce dalla sua finestra disturbando
tutto il circondario.
Il ragazzo decide di fare un esperimento, facendo uscire a tutto volume dal suo impianto Hi-Fi la registrazione di una litigata con rumori di botte e urla di una coppia.
Alle grida di aiuto di lei, però, nessuno si presenta alla porta del giovanotto, nemmeno per vedere cosa succede. Un altro bell’esempio di come una associazione che lotta contro la violenza alle donne sia stata capace di usare l’ironìa per sottolineare quanto il problema sia sottovalutato nella vita di tutti i giorni.
Il ragazzo decide di fare un esperimento, facendo uscire a tutto volume dal suo impianto Hi-Fi la registrazione di una litigata con rumori di botte e urla di una coppia.
Alle grida di aiuto di lei, però, nessuno si presenta alla porta del giovanotto, nemmeno per vedere cosa succede. Un altro bell’esempio di come una associazione che lotta contro la violenza alle donne sia stata capace di usare l’ironìa per sottolineare quanto il problema sia sottovalutato nella vita di tutti i giorni.
mercoledì 13 novembre 2013
Stop ai nuovi incentivi per le energie rinnovabili elettriche!
Una lettera con la richiesta di moratoria a incentivi per nuove centrali eoliche è stata inviata da tredici associazioni ambientaliste ai ministri Zanonato, Orlando e Bray. Le associazioni intervengono a proposito del provvedimento annunciato dal Ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato per dilazionare parzialmente gli oneri che gravano sulle bollette di famiglie e imprese italiane a causa degli incentivi alle rinnovabili elettriche che ammontano ormai a 11,2 miliardi annui e che presto sfonderanno, per pura inerzia, anche il tetto dei 12,5 miliardi di oneri (6,7 per il Fotovoltaico più 5,8 per le restanti tecnologie) come stabilito dalla riforma dello scorso anno.
“Se il Governo intende intervenire per attenuare questo aggravio dei costi dell’elettricità che compromette ogni possibilità di ripresa economica, noi concordiamo con questa finalità, maosserviamo che prima ancora di cambiare tempi e regole per il pagamento degli incentivi già assegnati occorre smettere di assegnarne di nuovi. Ci riferiamo all’organizzazione delle aste competitive del prossimo anno per l’assegnazione di ulteriori incentivi alle fonti di produzione diverse dal fotovoltaico. Per il solo eolico on-shore (e per i soli impianti di potenza superiore ai 5 MW) s’intendono assegnare altri incentivi a un contingente di 500 MW di potenza!
Rimarchiamo che ogni nuovo impianto che fornisce energia intermittente (eolico e fotovoltaico in primis), oltre a nuovi oneri diretti di incentivazione, comporta ulteriori costi, in particolare:
- per risolvere i problemi di dispacciamento,
- per costruire nuovi elettrodotti, generalmente in aree a scarsa magliatura elettrica, con ulteriori danni ambientali,
- per rispondere all’aspettativa di un “capacity payment” che mantenga remunerativi e in esercizio gli impianti a idrocarburi fossili che devono per forza fungere da riserva “calda” a impianti che, per loro natura, non sono programmabili: non autosufficienti e non “alternativi”, con conseguente duplicazione dei costi.
Facciamo, inoltre, notare che gli obblighi assunti in sede europea dal Governo italiano nel 2010 per il raggiungimento della quota del 26,39% della produzione elettrica da FER sui consumi nazionali nel 2020, e per cui gli incentivi vennero a suo tempo stanziati, sono già stati raggiunti l’anno scorso e saranno largamente oltrepassati quest’anno.
Altri settori, più performanti nella lotta ai gas serra e più utili all’ambiente e all’economia del nostro Paese come le rinnovabili termiche e l’efficienza energetica, non hanno beneficiato di analoghe politiche.
Un provvedimento di moratoria a incentivi per nuovi impianti di rinnovabili elettriche intermittenti si rende indispensabile per non vanificare ogni possibile intervento di contenimento dei costi di incentivazione in bolletta e persino per evitare di dover tagliare retroattivamente incentivi già assegnati.
E’ inutile tentare di svuotare la vasca con un secchiello se il rubinetto rimane aperto ed è paradossale che società spagnole stiano per piazzare ulteriori centrali eoliche in Italia, mentre in Spagna è applicata una tassa del 6% sui ricavi da generazione elettrica.
Da Associazioni ambientaliste sensibili alla tutela del territorio, ci siamo espressi fin dall’iniziocontro gli incentivi che hanno favorito la speculazione a danno del paesaggio, della natura, dei territori collinari e montani, sui crinali appenninici e nel Mezzogiorno, senza portare riduzioni significative, a livello complessivo, dei gas climalteranti.
Facciamo notare che, se le nostre osservazioni fossero state accolte, non ci troveremmo in questa grave situazione, al punto da richiedere l’assunzione di provvedimenti, almeno in parte, retroattivi e con un territorio sfigurato che rischia di ricevere il colpo di grazia”.
giovedì 7 novembre 2013
Dalle Fiji all'Italia: comunità di ecoturismo si stanno sviluppando in tutto il mondo
Un nuovo modello di ecoturismo sostenibile sta godendo di
un enorme successo, grazie ai contributi che provengono da tutto il mondo
attraverso la rete. Dalle Fiji alla Sierra Leone, fino ad arrivare al cuore
dell'Italia, sono nate delle comunità gestite a livello locale che accolgono
visitatori pronti a lasciarsi coinvolgere nelle varie attività di questi posti
meravigliosi, sia di svago che lavorative.
Tutto è iniziato nel 2006, quando gli imprenditori
sociali Ben Keene e Filippo Bozotti lanciarono una comunità online o “tribù”
chiamata TribeWanted [en,come tutti gli altri link,
eccetto ove diversamente segnalato]. L'obiettivo era quello di costruire
una comunità di turismo sostenibile a Vorovoro, isola appartenente
all'arcipelago delle Fiji, in collaborazione con gli abitanti del posto.
La campagna riscosse subito un grande successo: nel giro
di poche settimane, 1.000 persone da 21 Paesi diversi supportarono il progetto
con una donazione media di 250 dollari a testa. Nel corso dei successivi
quattro anni, un gruppo a rotazione di 15 membri della tribù ha dato vita a una
comunità interculturale sull'isola, insieme ai proprietari terrieri e a 25
dipendenti locali.
Dal successo di questa impresa sono nati presto nuovi
eco-villaggi: presso la spiaggia John Obey, in Sierra Leone, nel 2010 (sul sito
si possono trovare i loro bellissimi video) e a Monestevole, in Italia,
nel 2013.
Queste comunità vengono
finanziate da membri provenienti da tutto il mondo [it], con un contributo mensile
iniziale di 10 sterline a testa (circa 12 euro). Tutti i membri possono votare
tramite internet i nuovi luoghi destinati a ospitare le comunità e la
distribuzione delle eccedenze, possono mettersi in contatto con esperti di
sostenibilità e prenotare un soggiorno in una delle comunità Tribewanted a
tariffa ridotta…
mercoledì 6 novembre 2013
dolore Guarani
Damiana, leader di una piccola comunità guarani, ha
appena guidato una coraggiosa “retomada” (rioccupazione) della sua terra
ancestrale. I sicari assoldati dagli allevatori hanno già circondato la sua
comunità.
Dopo essere stata sfrattata con la forza dalla terra ancestrale per fare spazio alle piantagioni di canna da zucchero, Damiana è stata costretta a vivere per dieci anni come una rifugiata sul ciglio di una strada, in squallide baracche di lamiera e teli di plastica neri separate dalla sua terra da un sottile filo spinato.
Nel corso della sua vita, Damiana ha dovuto assistere a una terrificante epidemia di suicidi tra i giovani del suo popolo. Ha visto bambini morire di malnutrizione, sua zia è stata avvelenata dai pesticidi spruzzati dagli aerei sopra la comunità, e ha perso il marito e tre figli, investiti e uccisi uno dopo l’altro lungo la pericolosa superstrada che passa a pochi metri dal quel misero riparo che è costretta a chiamare “casa”. Come se non bastasse, il mese scorso il suo accampamento è bruciato in un incendio sospetto, e i suoi pochi beni sono andati completamente distrutti.
Nonostante la paura, le umiliazioni e i lutti, Damiana continua a resistere. La sua speranza è quella di poter restare in quel piccolo fazzoletto di foresta verde che ha appena rioccupato. “Vogliamo dire a tutti che abbiamo deciso di resistere proprio qui, vicino al ruscello al margine della foresta, nella nostra terra rioccupata.”
Dopo essere stata sfrattata con la forza dalla terra ancestrale per fare spazio alle piantagioni di canna da zucchero, Damiana è stata costretta a vivere per dieci anni come una rifugiata sul ciglio di una strada, in squallide baracche di lamiera e teli di plastica neri separate dalla sua terra da un sottile filo spinato.
Nel corso della sua vita, Damiana ha dovuto assistere a una terrificante epidemia di suicidi tra i giovani del suo popolo. Ha visto bambini morire di malnutrizione, sua zia è stata avvelenata dai pesticidi spruzzati dagli aerei sopra la comunità, e ha perso il marito e tre figli, investiti e uccisi uno dopo l’altro lungo la pericolosa superstrada che passa a pochi metri dal quel misero riparo che è costretta a chiamare “casa”. Come se non bastasse, il mese scorso il suo accampamento è bruciato in un incendio sospetto, e i suoi pochi beni sono andati completamente distrutti.
Nonostante la paura, le umiliazioni e i lutti, Damiana continua a resistere. La sua speranza è quella di poter restare in quel piccolo fazzoletto di foresta verde che ha appena rioccupato. “Vogliamo dire a tutti che abbiamo deciso di resistere proprio qui, vicino al ruscello al margine della foresta, nella nostra terra rioccupata.”
All’inizio dell’anno i pubblici ministeri avevano ordinato
la chiusura della Gaspem, descrivendo l’agenzia come una “milizia
privata…che usa violenza contro i Guarani…per mano di persone violente assunte
come ‘guardie di sicurezza’”.
Questa ritorsione è la risposta alla recente
rioccupazione, da parte dei Guarani, di una porzione della terra ancestrale che
circa 40 anni fa gli fu rubata per far posto a un allevamento di bestiame.
All’inizio di ottobre, infatti, circa 500 Guarani della
comunità di Yvy Katu sono ritornati nella loro terra perchè incapaci di
sopportare ulteriormente le squallide condizioni del piccolo appezzamento in cui hanno
vissuto dal 2004.
Migliaia di Guarani brasiliani chiedono la restituzione
della terra ancestrale secondo quanto garantito dalla costituzione. Tuttavia,
il processo di mappatura del loro territorio ancestrale ha subito una battuta
d’arresto, costringendo gli Indiani a sopportare malnutrizione, malattia,
violenza e uno dei tassi di suicidio più alti al
mondo.
Gran parte della terra guarani è stata trasformata in
ampie piantagioni da cui compagnie straniere, come il gigante americano Bunge,
ricavano canna da zucchero (*).
Numerosi sono i leader guarani assassinati dai sicari armati a seguito della
rioccupazione di parte della propria terra ancestrale.
Il gigante alimentare americano Bunge si rifornisce di canna da zucchero
nella terra ancestrale dei Guarani del Brasile. La compagnia, infatti,
compra il raccolto dagli imprenditori agricoli che hanno aperto vaste
piantagioni nella terra dove un tempo sorgeva la foresta della tribù. Gli
Indiani sono stati sfrattati dalle loro case, e oggi vivono in condizioni
terribili.
I Guarani della comunità di Jata Yvary denunciano che l’invasione di
piantagioni di canna da zucchero, che alimenta l’industria brasiliana dei
biocarburanti, li sta danneggiando seriamente. “Vogliamo preservare la foresta”
dicono, “ma altri la stanno distruggendo per fare soldi illegalmente.”
Per favore, scrivi all’amministratore delegato di Bunge Brasile per
chiedere che la compagnia smetta immediatamente di comprare la canna da zucchero
coltivata nella terra guarani. Basteranno pochi secondi perchè
il link sottostante ti porterà a un’e-mail già compilata e pronta per essere
spedita. Grazie!
da
quimartedì 5 novembre 2013
Morire di cancro a otto anni, per colpa dello smog
E’ la
più giovane morta al mondo per cancro
ai polmoni determinato dallo smog, in particolare il PM2,5.
L’avevamo immaginato, da tempo. Ora lo sappiamo con certezza.
Lo smog provoca un aumento esponenziale del
tumore al polmone, grazie alle polveri sottili.
Lo hanno affermato i risultati del progetto
“Medparticles”, pubblicati su Environmental
Health Perspectives.
Per ogni incremento di 5 μg/m3 di PM2,5 il rischio di tumore al polmone
aumenta del 18%, mentre per ogni aumento di 10 μg/m3 di PM10 aumenta
del 22%: più le polveri sono sottili e più sono nocive, in poche
parole. E non sembra esserci una soglia sotto la quale
l’effetto cancerogeno viene meno.
Forse in Italia, in Sardegna, non ci
comportiamo in modo molto diverso.
Che cavolo di esseri
umani siamo, in Cina, in
Italia, in Sardegna?
da
qui
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