Il G20 assicura una pioggia di sussidi pubblici alle fonti fossili: 142 miliardi di dollari in tre anni. L’Italia ne eroga più degli Usa
Il nuovo rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth Stati Uniti, a cui ReCommon ha contribuito, rivela come fra il 2020 e il 2022 le istituzioni finanziarie pubbliche dei paesi del G20 e le banche multilaterali di sviluppo hanno concesso al comparto fossile sussidi per 142 miliardi di dollari.
Il dato proviene da documenti accessibili su database pubblici, integrati
da quelli presenti su portali specializzati. Tuttavia, si riscontrano diverse
limitazioni dovute alla mancanza di trasparenza delle istituzioni finanziarie e
dei governi. Ciò significa che la cifra è, purtroppo, sottostimata. L’impiego
di questa ingente somma di denaro pubblico per le fonti fossili sta attivamente ostacolando
qualsiasi progresso verso una giusta transizione energetica e, più in
generale, ecologica.
La maggioranza dei finanziamenti pubblici per i combustibili fossili
è destinata al gas (estrazione, produzione, trasporto e stoccaggio), con
circa il 54% del totale, mentre il 32% va a progetti misti di
petrolio e gas.
La classifica dei paesi del G20 per sostegno pubblico all’industria
estrattiva vede l’Italia tristemente al comando tra quelli europei. Il
nostro Paese si posiziona al 5° posto a livello globale, scavalcando
addirittura gli Stati Uniti, la Federazione russa e l’Arabia Saudita.
Sono le agenzie di credito all’esportazione a tirare le fila di questo
esorbitante flusso di denaro destinato all’energia fossile: da queste è passato
il 65% di tutto il supporto finanziario pubblico a petrolio e gas tra il 2020 e
il 2022.
È per l’operatività della sua agenzia di credito all’esportazione che
l’Italia è così in alto nella classifica dei paesi finanziatori di petrolio e
gas. Controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, fra il 2016
e il 2023 SACE ha emesso garanzie (assicurazioni sui progetti o
garanzie sui prestiti per la realizzazione dei progetti) per il settore
degli idrocarburi pari a 20 miliardi di euro, che rappresentano una fetta
importante dei cosiddetti “sussidi ambientalmente dannosi” italiani. Una cifra
che equivale quasi a una manovra finanziaria.
Questo avviene perché l’Italia, insieme a Stati Uniti, Germania, Giappone e
Svizzera, non ha messo in atto serie politiche per porre fine al sostegno
pubblico internazionale ai combustibili fossili entro il 31 dicembre 2022,
venendo così meno all’accordo sottoscritto nel 2021 con la “Dichiarazione di
Glasgow”.
«La scarsa attuazione della Dichiarazione di Glasgow consente all’Italia
di sostenere con soldi pubblici progetti fossili almeno fino al 2028 e, grazie
a diverse scappatoie, praticamente per sempre. Al centro di questo sostegno
incondizionato c’è SACE», commenta Simone Ogno di ReCommon. «Con il calo
costante della domanda di gas in Italia, è ora che il governo smetta di
utilizzare la scusa della sicurezza energetica e implementi seriamente la
Dichiarazione di Glasgow con una politica adeguata, altrimenti è chiaro che ci
troviamo dinanzi all’ennesimo regalo alle multinazionali energetiche», conclude
il campaigner.
Una delle poche note positive riscontrate da Oil Change International e
Friends of the Earth Stati Uniti riguarda le politiche di esclusione del
carbone, che hanno contribuito a eliminare quasi del tutto i finanziamenti
pubblici internazionali per il più inquinante dei combustibili fossili. Il
sostegno al carbone è sceso da una media annuale di 10 miliardi di dollari nel
periodo 2017-2019 a 2 miliardi di dollari nel triennio successivo.
Inoltre, fra il 2020 e il 2022 all’energia pulita sono andati circa 34
miliardi di dollari all’anno. Si tratta della media annuale più alta per i
finanziamenti pubblici alle energie pulite dal 2013 – primo anno di
pubblicazione del rapporto, una cifra però ancora molto al di sotto di quanto
servirebbe per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C.
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