giovedì 18 aprile 2024

Cosa sono i santuari, le «fattorie vegane» finite sulla copertina di Internazionale

 

a cura di Michela Becchi

 

È il modello del futuro? Chiede l’autore dell'articolo pubblicato su Internazionale, la storia degli allevatori svizzeri che hanno scelto di smettere di uccidere gli animali. La risposta esiste già da tempo.


Esistono gli animali da compagnia e poi quelli da reddito. Tra questi ultimi, quei pochi che riescono a essere salvati da morte certa nei macelli, finiscono nei santuari: rifugi per animali senza scopo di lucro, dove una squadra di volontari si prende cura degli ospiti, anche attraverso il sostegno economico di tanti animalisti.

Cosa vuol dire fattorie vegane

In Italia esiste una Rete dei Santuari con una Carta di Valori che ne regolamenta il funzionamento: nessun animale deve essere sfruttato per alcuna prestazione (no cibo, no lana, no latte e così via), e ogni santuario deve impegnarsi a promuovere un approccio gentile nei confronti degli animali, aprendo le porte al pubblico. Dietro, ci sono un’associazione o un ente no profit, che non possono pagare per recuperare più ospiti (altrimenti, si alimenterebbe ancora la concezione dell'animale-oggetto da acquistare; quelli dei santuari sono animali fuggiti, salvati per caso o donati spontaneamente dagli allevamenti ai volontari).

 

Le regole sono diverse, si trovano tutte sul sito della Rete, e il numero dei santuari presenti in Italia cresce sempre di più. In ogni paese, però, le cose funzionano diversamente. A riportare l'attenzione sul tema in questi giorni è l’ultima copertina di Internazionale (12/18 aprile 2024), con l’articolo di Christof Gertsch di Das Magazin, Svizzera, intitolato «Nella nuova fattoria».

Tobias Burren, l'allevatore pentito in Svizzera

Il pezzo racconta la storia di Tobias Burren di Liebwil, nel cantone svizzero di Berna: la sua è una famiglia di vecchi allevatori che negli anni ha fatto tanti sacrifici, ma un giorno, mentre cullava il suo bambino, Tobias ha sentito una mucca piangere incessantemente perché separata dal piccolo, e da allora tutto è cambiato. Con sua moglie Christine, cuoca ed economista aziendale, ha scelto di diventare vegano e trasformare la sua fattoria, convertendola in una «fattoria vegana», ma non prima di aver finito di macellare tutto il bestiame «in eccesso».

D’ora in avanti, le mucche mangeranno l’erba dei pendii scoscesi e forniranno letame con cui Tobias produrrà il concime per i campi. Sarà un allevamento meno costoso ma non a costo zero: i Burren dovranno fare affidamento sui contributi di chi vorrà adottare a distanza un animale (proprio come accade nei santuari italiani e nel resto del mondo, Svizzera compresa).

 

Non si limiteranno ad accudire gli animali, ma produrranno alimenti vegetali. Coltivazioni di lenticchie e lupini dolcimais da polenta e tante preparazioni fatte in casa per deliziare i propri ospiti. Papà Ruedi non ha preso bene questo cambiamento: «Sembra assurdo anche a me usare metà dei cereali mondiali per dar da mangiare agli animali. Ma c’è davvero bisogno di scelte estreme come quella di Tobias? Non basterebbe mangiare tutti un po’ meno carne?».

L'agricoltura postletale che non uccide

Una domanda piuttosto comune in Svizzera, dove solo il 5% della popolazione segue una dieta vegetariana, meno dell’1% una vegana. Il format dei santuari è ancora tutto da scoprire: Stefan Mann è un esperto di economia agraria che ha coniato il termine agricoltura postletale, ovvero un’agricoltura che non uccide. È anche, però, rappresentante del consiglio di amministrazione di Agroscope, centro nazionale di ricerca del settore agricolo, e alla richiesta di intervista da parte del giornalista svizzero è stato piuttosto evasivo.

 

La lobby degli agricoltori contro le fattorie vegane

Dopo aver accettato, Mann ha annullato l'appuntamento «su consiglio dei miei superiori». L'intervista, alla fine, è stata fatta ma alla presenza di un’addetta stampa, un rappresentante di Agroscope e un Mann di pochissime parole. In sostanza, Agroscope non vuole rovinare i rapporti con i contadini «e la loro lobby nell’assemblea federale» spiega l’autore, considerando che l’istituto riceve circa 170 miliardi di franchi l’anno dallo stato.

Smettere di uccidere gli animali per Mann è sempre stato doveroso dal punto di vista etico, ma al giornalista ha dichiarato che tra le linee di ricerca dell’istituto oggi non esiste il concetto di agricoltura vegana. Eppure, si tratta di un tema scottante considerando che a livello globale «la biomassa del bestiame supera la biomassa di tutti gli esseri umani e di tutti gli animali selvatici messi insieme» spiega Gertsch. A quanto pare, siamo in piena era della carne.

I terreni svizzeri non adatti all'agricoltura a uso umano

Ma non sarebbe sufficiente, come ha detto il papà di Tobias, che tutti ne consumassero un po’ meno? Urs Niggli, a capo dell’istituto di ricerca per l’agricoltura biologica - e consulente di Agroscope - ha detto che in Svizzera circa metà dei terreni a uso agricolo sono inadatti alla coltivazione di prodotti vegetali a uso umano, «perché troppo ripidi, troppo sassosi o troppo argillosi»: per ricavarne grandi quantità, bisognerebbe destinarli al pascolo dei ruminanti (questo, però, è il panorama svizzero, diverso rispetto a molti altri paesi). Conclude dicendo che «dobbiamo ringraziare per ogni vegano e ogni agricoltura che si converte perché la carne è troppa, ma lasciare inutilizzati tutti i pascoli sarebbe assurdo» (ricordiamo, di nuovo, che è anche lui consulente di Agroscope).

Nessuno vuole salvare il mondo

Insomma, nessuno si prende la briga di rispondere in maniera chiara e decisa a questa domanda, scomoda da tanti punti di vista. C'è, però, chi nei santuari ci crede fino in fondo: sono persone che non hanno la presunzione di salvare il mondo «ma loro stessi». Ex allevatori pentiti (in Italia un caso simile è quello di Massimo Manni a Nerola, in provincia di Roma, con il Santuario Capra Libera Tutti) che «fanno quello che possono».

Le vecchie generazioni, come spesso accade, faticano a stare al passo, temono per gli affari di famiglia. Ma Tobias e Christine, così come tanti altri «fattori vegani» hanno preso la loro decisione e non torneranno indietro, a costo di doversi reinventare da capo e cominciare un nuovo lavoro. Perché sì, il futuro, è proprio questo.

da qui

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