mercoledì 31 agosto 2022

L’aria inquinata uccide 10 milioni di persone ogni anno - Christa Dettwiler

 

Quasi nessuno riesce più a sfuggire all’inquinamento atmosferico, che è una delle principali cause di mortalità a livello mondiale.

I dati sono incredibili: 973 persone su 1.000 sulla terra respirano regolarmente sostanze inquinanti. Questa statistica è stata resa nota il mese scorso dal progetto “Air Quality Life Index” (AQLI) dell’Università di Chicago. L’indice AQLI è considerato una voce molto autorevole a livello mondiale nell’ambito della ricerca sulla qualità dell’aria. Gli ultimi risultati fanno riferimento ai limiti ridotti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità lo scorso autunno da dieci a cinque microgrammi di particolato per metro cubo di aria.

Non c’è da sorprendersi che la qualità dell’aria sia peggiore nei Paesi poveri, dove l’industrializzazione è solo agli albori. Ma anche nelle regioni più ricche l’aumento è drammatico. Negli Stati Uniti la percentuale era intorno all’8% prima della nuova regolamentazione dell’OMS, ora è al 93%. E in Europa la percentuale è salita dal 47 al 95,5%. Oggi non c’è un solo Paese al mondo che raggiunga gli standard dell’OMS, solo tre minuscole isole hanno un’aria che può essere considerata salubre.

Ma quanto è davvero nociva l’aria inquinata? L’aria non è ugualmente inquinata dappertutto, ma a livello globale gli effetti sono preoccupanti.

·          Si stima che ogni anno causi la morte di dieci milioni di persone.

·          Circa otto milioni di questi decessi sono da attribuirsi all’inquinamento atmosferico da combustibili fossili. Si tratta di un decesso su cinque.

Anche se le stime possono differire, si tratta pur sempre di milioni. Ogni anno l’aria inquinata causa circa dieci milioni di vittime, 100 milioni in un decennio e 400 milioni nel corso di un arco di vita medio. “Cifre sbalorditive”, scrive David Wallace-Wells sul “New York Times”. Wallace è l’autore del libro “The uninhabitable Earth” (La terra inabitabile).

Tuttavia, l’inquinamento atmosferico non compare quasi mai nelle statistiche come causa ufficiale di morte. Nessun medico scrive sul certificato di morte “inquinamento atmosferico” come causa. Nel Regno Unito, dove si stima che 40.000 persone muoiano ogni anno a causa della pessima qualità dell’aria, per la prima volta nel 2020 l’inquinamento atmosferico è stato registrato come causa di morte per una bambina di nove anni, Ella Adoo-Kissi-Debrah, deceduta di asma. La sua morte ha dato origine a una nuova legge: la legge di Ella, che sancisce ai cittadini britannici il diritto all’aria salubre.

Due terzi della popolazione mondiale respirano aria inquinata, con più di 25 microgrammi di sostanze nocive per metro cubo, un valore cinque volte superiore al nuovo limite dell’OMS. In India, secondo AQLI, il rispetto dei nuovi valori allungherebbe di oltre cinque anni l’aspettativa di vita di un miliardo di persone. A Delhi, addirittura di dieci anni.

Come per gli altri inquinanti, l’aria malsana non influisce solo sul tasso di mortalità, ma comporta anche tutta una serie di problemi: malattie respiratorie, cardiopatie, cancro, ictus, Alzheimer, Parkinson, demenza… l’elenco è lungo. A questi si aggiungono: deficit cognitivi, disturbi della memoria e del linguaggio, nascite premature o sottopeso, sindrome da deficit di attenzione e iperattività, autismo, malattie mentali, depressione, suicidi.

Secondo lo “State Global Air Report 2021”, l’inquinamento atmosferico provoca ogni anno la morte di mezzo milione di neonati, pari a un quinto di tutti i decessi, e secondo la rivista scientifica The Lancet, causa circa 349.000 nati morti e aborti spontanei all’anno nell’Asia meridionale, interessando più di una gravidanza su 15. In India circa 100.000 casi di morti neonatali sono da attribuirsi all’inquinamento atmosferico. Altri studi stimano circa sei milioni di nascite premature e circa tre milioni di nascite sottopeso all’anno.

Il “Clean Air Act”, introdotto negli Stati Uniti a causa dell’inquinamento atmosferico, dimostra che le contromisure fanno la differenza: si stima che salvi 370.000 vite ogni anno. E la Cina, dove tra il 2000 e il 2016 oltre 30 milioni di decessi sono stati attribuiti all’aria estremamente inquinata, ha ridotto l’inquinamento di quasi la metà. Come conseguenza, l’aspettativa media di vita si è allungata di circa due anni. Ma ancora circa un milione di persone ne muore ogni anno. Cifre simili valgono per il continente africano, che è molto meno densamente popolato.

L’abbandono dei combustibili fossili dovrebbe avere effetti significativi. L’inquinamento atmosferico sembra causare circa lo stesso numero di morti del cancro, al quale comunque contribuisce. Ma meno delle malattie cardiache, delle quali peraltro è una concausa. Tuttavia, a differenza di altri agenti nocivi per la salute, come l’alcool o il tabacco, quasi nessuno può sfuggirvi.

Di Christa Dettwiler per il giornale on line svizzero INFOsperber

Questo articolo riassume un contributo di David Wallace-Wells sul “New York Times”.

Traduzione dal tedesco di Barbara Segato. Revisione di Thomas Schmid.

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martedì 30 agosto 2022

L’Alto Mare come lo spazio: il nuovo selvaggio West - Geraldina Colotti


L’intreccio deflagrante fra crisi, guerre, e catastrofi ambientali mostra le irrisolvibili contraddizioni della società moderna e l’ipocrisia che maschera l’inevitabile anarchia del capitalismo. Si può leggere anche così il nulla di fatto con cui si concludono vertici e convegni sull’ambiente, organizzati dalle Nazioni unite.

L’Onu è, d’altronde, un’istituzione elefantiaca da oltre 3 miliardi di dollari, quasi 1 miliardo e 144.000 milioni di dollari per spese d’ufficio e di rappresentanza e per gli altissimi stipendi degli oltre 37.000 dipendenti sparsi per il mondo, che guadagnano in media 9.000-10.000 euro al mese, e i cui spostamenti aerei non contribuiscono certo alla riduzione delle emissioni. Per non parlare delle consulenze, eccetera eccetera.

Un’istituzione in crisi conclamata, il cui ruolo nei conflitti è inoltre sempre più esautorato, o ignorato, come nell’imposizione di misure coercitive unilaterali illegali ai Paesi che non si inginocchiano ai voleri degli Stati Uniti, il più grande contributore Onu, responsabile del 22% del suo bilancio operativo.

Promette di concludersi con un gran dispendio per poco costrutto, anche la quinta sessione della Conferenza intergovernativa sulla biodiversità marina delle aree al di là della giurisdizione nazionale (Bbnj). In corso a New York nella sede delle Nazioni unite, la conferenza durerà fino al 26 agosto e si propone la firma di un trattato per la protezione dell’oceano, un Trattato per la protezione dell’Alto Mare (UN High Seas Treaty). Un impegno a tutelare il 30% dell’oceano entro il 2030 attraverso la creazione di una rete di Aree Marine Protette (attualmente solo l’1,2% dell’oceano è giuridicamente protetto). Inoltre, le delegazioni dei Paesi in via di sviluppo che non hanno sbocco al mare, come la Bolivia, cercheranno di ottenere un accesso più equo alle Marine Genetic Resources (Mgr), il materiale biologico proveniente da piante e animali dell’oceano utile allo sviluppo e al benessere della società per la produzione di farmaci, per uso industriale o alimentare.

Non che il tema della Conferenza non sia perciò emblematico e particolarmente urgente nell’incombere delle catastrofi ambientali annunciate dal cambio climatico. Solo che un Trattato Onu sull’Alto Mare richiederebbe l’impegno vincolante della maggioranza dei Paesi del mondo, ovvero un cambio di marcia strutturale rispetto ai criteri che guidano il modello capitalista, imperante a livello globale. Infatti, le discussioni sulla protezione dell’Alto Mare vanno avanti da dieci anni e, anche in questa occasione, la guerra e i conflitti geopolitici che attraversano il pianeta, in special mondo il conflitto in Ucraina e la messa sotto accusa della Russia, stanno occupando il centro della scena.

Così, diversi Paesi europei, insieme agli Stati uniti, premono perché venga consentita con maggiore facilità l’estrazione mineraria sui fondali marini. A marzo, l’International Seabed Authority, che regola queste attività, ha dato il via libera a 31 concessioni per esplorare le profondità marine alla ricerca di minerali. E dalla Silicon Valley sono già in corso dal 2019 finanziamenti per ricerche miliardarie di minerali e terre rare in Groenlandia: ovviamente in nome della “transizione ecologica” del capitalismo. Secondo uno studio del Plymouth Marine Laboratory, gli ecosistemi marini globali valgono più di 48 trilioni di euro.

Gli oceani producono il 50% dell’ossigeno del pianeta e assorbono circa il 30% delle emissioni di CO2. Il livello del mare, però, cresce (4,5 centimetri nell’ultima decade, durante la quale l’aumento annuale è stato oltre il doppio che tra il 1993 e il 2002). Aumentano anche le ondate di calore, mentre si riduce il lasso di tempo di recupero. Sempre più frequenti sono le tempeste tropicali, gli uragani e le inondazioni.

La dilatazione termica fa sì che l’acqua si surriscaldi, si espanda e occupi più spazio. Un numero crescente di persone è costretto ad abbandonare i territori costieri, ricoperti dalle acque che prima non c’erano. Negli ultimi decenni, il riscaldamento della superficie dell’acqua, fino ai 2.000 metri di profondità, ha raggiunto livelli senza precedenti. I ghiacciai hanno iniziato a sciogliersi. Dal 1950 a oggi, si sono ridotti di 33,5 metri e il 76% di questa perdita si è prodotta dal 1980.

Si considera Alto Mare l’area situata oltre 200 miglia nautiche dalla costa, solitamente dichiarata dagli Stati Zona Economica Esclusiva (ZEE), pari a circa due terzi degli oceani. Circa il 70% dell’oceano è Alto Mare, l’ultima zona selvaggia e non propriamente regolamentata del pianeta. La vita marina che vive in queste zone è a rischio di sfruttamento, estinzione ed è vulnerabile alle crescenti minacce della crisi climatica, della pesca eccessiva e del traffico marittimo.

La pesca industriale interessa già oltre il 55% degli oceani e oltre 100 specie marine sono a rischio. Per tutelare gli interessi delle grandi multinazionali, nei Paesi del Sud, le oligarchie locali sono disposte a giocarsi il tutto per tutto quando vedono minacciati i propri interessi. Basti ricordare il golpe contro Chávez in Venezuela, nel 2002, a seguito di una serie di decreti esecutivi per tutelare le risorse nazionali, tra i quali la proibizione della pesca a strascico.

Quelle di Alto Mare, sono acque internazionali, dunque al di fuori delle giurisdizioni nazionali, accessibili quindi a tutti gli Stati, che vi possono transitare, pescare, o fare ricerca. Zone vitali per la difesa dell’ambiente dal cambio climatico, poiché albergano preziosi ecosistemi, peraltro già a rischio, considerando che tra il 10% e il 15% delle specie marine potrebbe estinguersi.

Eppure l’Alto Mare, come lo spazio, promette di diventare il nuovo selvaggio West.

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domenica 28 agosto 2022

Emergenza bollette, gli aumenti? Non per tutti. Ecco la differenza tra chi è in “tutela” e chi ha contratto a prezzo bloccato sul mercato libero - Michele Zaccardi

  

I clienti domestici ancora sul mercato tutelato sono il 35%. Tra ottobre 2021 e settembre 2022 spenderanno in media per l'elettricità oltre 1000 euro (+91%) e per il gas 1.700 (+71%) e per il terzo trimestre sono attesi ulteriori rincari. Per quanto riguarda il mercato libero il governo ha bloccato le modifiche unilaterali fino alla prossima primavera. C'è però un rischio boomerang se questo causerà fallimenti a catena, come teme l'authority.

 

Con l’avvicinarsi dell’autunno e il fisiologico aumento dei consumi l’emergenza bollette è tornata alla ribalta. E se ne sono accorti anche i leader in piena campagna elettorale. Come sottolineato dall’autorità di regolazione del settore energetico Arera in un documento inviato a governo e Parlamento il 29 luglio scorso, senza interventi da parte dell’esecutivo gli aumenti per il trimestre ottobre-dicembre sarebbero di oltre il 100% e il decreto Aiuti bis non basta per evitare “variazioni mai verificatesi”. Questo mentre le forniture di gas russo sempre più incerte. L’ultimo segnale è stato l’annuncio da parte di Gazprom della decisione di interrompere per manutenzione dal 31 agosto al 2 settembre i flussi nel gasdotto Nord Stream 1.

Per avere un’idea di quanto gli aumenti dei prezzi dell’energia abbiano inciso finora sui consumatori bisogna distinguere tra i clienti del mercato tutelato e quelli che sono passati al mercato libero. Va ricordato che il servizio di tutela terminerà, per le famiglie, nel gennaio 2024 per l’energia elettrica e già a gennaio 2023 per il gas. Stando ai dati Arera, per quanto riguarda l’elettricità i clienti domestici che non hanno ancora scelto un fornitore e si affidano ancora alla tutela sono il 35,81% (su un totale di quasi 30 milioni di punti attivi) mentre quelli del mercato libero il 64,19%. Nel settore del gas naturale le percentuali sono simili: 35,6% gli utenti in tutela, pari a 7,3 milioni su un totale di 20,4 milioni. Con le quotazioni sui mercati internazionali del tutto fuori controllo, chi aveva sottoscritto un contratto a prezzo bloccato sul mercato libero in questo periodo è stato a differenza che in passato più protetto rispetto ai clienti in regime di tutela.

Nell’ultimo aggiornamento delle tariffe, quello del 30 giugno, l’Autorità ha calcolato che la spesa della “famiglia tipo” tutelata per la bolletta elettrica si attesterà a 1.071 euro nell’anno scorrevole che va dal primo ottobre 2021 al 30 settembre 2022, un balzo del 91% rispetto ai 12 mesi precedenti. Nello stesso periodo, invece, il gas peserà per 1.696 euro sulle tasche dei clienti in tutela, un incremento pari al 70,7%. Nel terzo trimestre la situazione è destinata a peggiorare. E questo nonostante gli oltre 30 miliardi di euro stanziati dal governo Draghi a partire dall’autunno dell’anno scorso per contrastare i rincari. In assenza di interventi, stima Arera, nel terzo trimestre 2022 invece di una variazione nulla per il gas e dello 0,4% per l’elettricità gli aumenti sarebbero stati rispettivamente del 45% e del 15%.

L’Autorità ha tentato di correre ai ripari modificando le modalità con cui viene determinato il prezzo del gas per i clienti in tutela: da ottobre l’indicizzazione delle tariffe non avverrà più sulla base delle quotazioni dei contratti future a tre mesi scambiati al Ttf di Amsterdam, ma sarà agganciata alla media mensile dei prezzi del mercato all’ingrosso italiano, il Psv (Punto di scambio virtuale). Inoltre, anche per tenere conto delle iniziative che potrebbero – ma a questo punto sembra difficile – essere assunte a livello europeo e italiano per limitare i prezzi del gas, come il famoso price cap, l’aggiornamento delle tariffe non sarà più trimestrale ma mensile. La speranza è che la nuova metodologia, rispecchiando più fedelmente il costo del gas, risulti più vantaggiosa. Di quanto, però, non è ancora dato sapere.

Spetta comunque al governo stanziare i fondi che l’Autorità può impiegare per contenere i costi a carico dei consumatori. L’ultimo intervento di Palazzo Chigi, il decreto Aiuti Bis del 9 agosto, ha destinato al contrasto dei rincari di bollette e carburanti 8,4 miliardi di euro, prorogando gli sconti previsti dai precedenti decreti. Tra le varie misure adottate c’è una novità che risulterà gradita ai consumatori ma rischia di rivelarsi un boomerang per i conti pubblici. Si tratta dell’articolo 3 che prevede, fino al 30 aprile del 2023, la moratoria delle modifiche unilaterali dei contratti nel mercato libero. In altre parole, le aziende che si occupano della vendita al dettaglio di gas ed energia elettrica non potranno cambiare i prezzi. “Fino al 30 aprile 2023” si legge nel decreto “è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte”.

La previsione va nella direzione di tutelare i clienti che, magari in virtù di un contratto siglato anni fa, possono contare su prezzi ridotti rispetto a quelli attuali. Anche se non “salverà” chi sta per arrivare alla scadenza del periodo con prezzo bloccato. Ma c’è il rischio che si verifichino fallimenti a catena dei rivenditori che, rifornendosi su un mercato le cui quotazioni sono esplose, saranno costrette a erogare gas ed elettricità a prezzi in pratica bloccati. Se dovessero verificarsi dei default – cosa del resto già avvenuta in diversi Paesi Europei, da ultimo la Germania – a pagare sarebbero i consumatori attraverso “un aumento dei costi da socializzare a carico della generalità dei clienti finali”, come ha avvertito Arera.

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sabato 27 agosto 2022

Il dugongo è stato dichiarato estinto: la mucca di mare non si vede più dal 2008



…Anche in relazione alle loro abitudini alimentari, i Dugonghi sono anche chiamati “mucche di mare”.
La loro dieta è infatti esclusivamente vegetariana ed incentrata sul consumo di fanerogame marine, ossia piante acquatiche, che sono una fonte di cibo utilizzato solo da poche specie animali, essendo un alimento poco nutriente. In ambiente acquatico, infatti, data l’elevata quantità di cibo a disposizione, gli animali vegetariani sono pochi e concentrati principalmente nelle acque tropicali.
In Mediterraneo, ad esempio, le specie animali in grado di nutrirsi di fanerogame marine sono solo tre. Nelle acqua tropicali, dove la grande quantità di specie esistenti crea una forte competizione, l’evoluzione spinge gli organismi ad evolversi in modo da essere in grado di sfruttare ogni possibile risorsa disponibile, selezionando perciò una maggior quantità di specie principalmente erbivore.
I Dugonghi adulti, data la grande dimensione, hanno pochi nemici naturali, mentre i cuccioli possono essere preda di grossi squali i quali, per avere la meglio sul piccolo, dovranno comunque affrontare le madri che coraggiosamente lottano contro questi temibili cacciatori.

Purtroppo, il primo vero nemico del Dugongo è, come spesso accade, l’uomo. La caccia indiscriminata ha portato questa specie sull’orlo del collasso e tutt’ora il Dugongo è classificato tra le specie a rischio di estinzione. Sebbene tra alcune popolazioni sia ancora ricercato per le carni squisite e la pelle straordinariamente resistente, in gran parte dell’areale in cui vive il Dugongo è protetto dalle leggi locali sulla salvaguardia degli animali…

https://www.viaggipersub.it/biologia-marina/dugongo/


venerdì 26 agosto 2022

Tra le foreste eoliche della Spagna - Raffaele Crocco

 

A Pamplona, versando una birra piccola e preparando tapas, il cameriere dice che “sono le nostre nuove foreste. Anche se di verde hanno poco e fanno davvero impressione”. Ha ragione, basta guardare la campagna appena fuori dalla città: sono davvero migliaia le pale per l’energia eolica che si incontrano attraversando la Spagna. Fra Bilbao e Pamplona e giù, sino all’Aragona, l’orizzonte è pieno di pale che girano, ruotano, si muovono. Sono foreste bianche, imponenti, anche un po’ inquietanti.

L’energia rinnovabile nella Spagna del secondo decennio di questo secolo è nell’eolico. Madrid ha puntato su quello, abbandonando forse definitivamente – nonostante il dibattito degli ultimi mesi – il nucleare. Francisco Valverde, consulente della società energetica Menta Energía, ha le idee chiare sul tema. “L’energia eolica- sostiene - dominerà la rete elettrica spagnola per molto tempo. In questo momento, sono le rinnovabili che fanno soldi. Nonostante nel dibattito pubblico il nucleare sia tornato di moda, la realtà è che il nucleare è praticabile solo se è sostenuto dallo Stato. E poi la Spagna ha tutto: abbiamo più vento e più sole di qualsiasi altro Paese europeo”.

I dati gli danno ragione. Nel 2021, il 47% dell’energia elettrica spagnola è stata prodotta dalle fonti rinnovabili. Un bel risultato. Di queste, quasi il 50% è dovuto all’eolico, poi c’è la solare e infine l’idroelettrico. Insomma, l’acqua conta poco e in questa annata di siccità furiosa la cosa non guasta. Le riserve d’acqua sono in negativo, gli esperti dicono che la penisola iberica non sopportava condizioni simili da almeno 1.200 anni. Le campagne verso Saragozza sono in evidente difficoltà e il fenomeno potrebbe intensificarsi nei prossimi 10 anni.

Per fortuna, ci pensa il vento ad alimentare le centrali elettriche spagnole. Anche se non sempre e non tutti sono d’accordo. In Galizia, gli ambientalisti si oppongono al nuovo parco eolico sul monte Castrove. Chiedono che i progetti per installare le pale non vengano varati sulla pelle di chi vive nella regione e che vengano rispettate le aree naturali protette. Inoltre, fanno notare che i lavori d’impianto sono particolarmente invasivi, con scavi in profondità del terreno e grandi movimenti di mezzi per settimane. 

Una cosa è certa: le rinnovabili cresceranno, le altre no”, taglia corto Natalia Fabra, economista dell’Università Carlos III di Madrid. La Spagna ha messo in campo un piano per raddoppiare la capacità di produzione di energia eolica entro il 2030 e per quadruplicare quella solare sempre alla stessa data. Un piano imponente, che dovrebbe dimezzare l’uso di energia derivante dal nucleare e fare di eolico e solare le due fonti principali, con il 74% della produzione totale. L’obiettivo finale è arrivare entro il 2050 ad avere solo energia prodotta da fonti rinnovabili. Una grande ambizione. Sulla strada che porta a Saragozza non c’è spazio dell’orizzonte che non sia occupato da grandi pale. Le grandi foreste eoliche continueranno a crescere in Spagna.

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mercoledì 24 agosto 2022

Cento anni da ricordare - Silvia Ribeiro

 

Nei giorni scorsi il direttore globale di Bayer (proprietaria della Monsanto) è venuto in visita in Messico. Ha annunciato – come si trattasse di concedere un favore e non di far maggiori profitti – che stanno valutando la possibilità di investire 361 milioni di dollari, “sebbene [il Messico] dovrebbe migliorare le condizioni per favorire investimenti nel suo territorio”, per poi sottolineare che dunque chiederanno di modificare a favore dell’investimento le normative esistenti.

L’occasione della visita era di commemorare i 100 anni della presenza in Messico. In un secolo la Bayer ha accumulato ogni tipo di ignominia a livello globale. Ad esempio, la vendita di eroina come rimedio per la tosse, con la creazione del consorzio tedesco IG Farben (in seguito scorporato in Bayer, BASF e Hoechst), che ha inventato e venduto anche un pesticida altamente tossico, meglio noto come Zyklon B gas.

IG Farben ha collaborato con il nazismo ha fornito quel gas per l’utilizzo nelle camere di sterminio dell’olocausto, mentre si arricchiva con il lavoro schiavo dei campi di concentramento. Al di là di un noto analgesico, il core business della Bayer è stato la vendita di veleno caratterizzata da un’assoluta mancanza di scrupoli.

Anche la Monsanto ha una storia tremenda: fabbricazione di armi chimiche, come il noto Agent Orange; imbrogli per trarre profitto dalla vendita di sostanze tossiche, dai PCB al glifosatodicamba e altri. L’utilizzo dei veleni non è riservato solo all’agricoltura, ci sono anche gli ormoni transgenici per il bestiame e i discussi additivi per mangimi. L’acquisto di Monsanto da parte di Bayer ha messo insieme la storia nera di ciascuna di esse e reso più evidente l’etica che le anima.

Sarebbe una vergogna per chiunque ricordare 100 anni così, tutto indica invece che il motivo di questa visita di Bayer sia piuttosto fare una dichiarazione, lanciare un avvertimento in difesa del mais transgenico e dei veleni agricoli come il glifosato e fare una velata denuncia sui cambiamenti che hanno autorizzato in Messico l’acquisto ufficiale di medicinali attraverso l’ONU.

Nell’autunno del 1941, ad Auschwitz, venne messa a punto, quasi per caso, una nuova tecnica per lo sterminio sistematico. L’idea, molto semplice, venne al comandante del campo, Rudolf Höss e tecnicamente realizzata dall’ufficiale SS Kurt Gerstein: poiché nel campo erano presenti ingenti scorte di un gas a base di acido prussico, denominato Zyklon B, che serviva per disinfestare le baracche e le divise dei prigionieri dai parassiti, si pensò che avrebbe potuto servire anche per l’eliminazione dei prigionieri (tratto da “Le camere a gas nel lager di Auschwitz” http://www.lanzone.it). L’immagine è
tratta invece da https://www.oorlogsmuseum.nl/en/news/zyklon-b/

Bayer-Monsanto è attualmente la più grande azienda al mondo nella vendita di sementi industriali, la prima nella vendita di semi transgenici, la seconda nelle vendite globali di prodotti chimici per l’agricoltura e una delle 10 maggiori aziende farmaceutiche mondiali. Il Messico è un mercato importante per Bayer-Monsanto. Ad esempio, insieme a Corteva (fusione delle società DuPont e Dow) controlla oltre il 90 per cento della vendita industriale di semi di mais.

Nel luglio scorso, il giudice Francisco Javier Rebolledo ha concesso alla Monsanto una proroga nei confronti di un decreto presidenziale del dicembre 2020 che ordina alle agenzie corrispondenti di non approvare la semina di mais transgenico e di sostituire l’uso del glifosato in vista della sua eliminazione nel 2024. Sebbene questo decreto consenta di utilizzare degli escamotage per continuare a importare mais transgenico e utilizzare il glifosato, l’industria agrochimica vuole impedire qualsiasi cambiamento, motivo per cui sono stati presentati più di 40 amparos contro di esso.

Quelle eccezioni concesse alla Bayer-Monsanto prendono in esame solo dati forniti dalla transnazionale e non tengono conto del gran numero di documenti scientifici che mostrano invece l’elevata tossicità del glifosato, compreso il suo potenziale cancerogeno, così come stabilito dall’OMS nel 2015 e come mostrato in altri studi scientifici recenti.

Allo stesso modo, ignorano del tutto il fatto che in varie zone rurali dello Stato di Jalisco (e in altri Stati della federazione del Messico) sono stati trovati residui di glifosato e altri pesticidi nelle urine di tutti i bambini delle scuole prelevati, una situazione gravissima che richiede cambiamenti immediati.

Dopo l’acquisto della Monsanto, Bayer ha dovuto affrontare più di 138mila procedimenti giudiziari relativi al glifosato solo negli Stati Uniti, sono stati intentati da parte di vittime di cancro o delle loro famiglie. Da allora, la Bayer ha perso tre cause legali emblematiche – promosse da Dewayne Johnson, Edwin Hardeman e dalla coppia Pilliod – in cui è stato dimostrato che la Monsanto sapeva che il glifosato era altamente pericoloso e potenzialmente cancerogeno e lo nascondeva. È stato questo l’elemento decisivo per i giudici per concordare con i promotori delle cause e decidere per ciascuno dei casi presi in esame di pagare decine di milioni di dollari di danni e risarcimenti. Bayer ha portato il caso alla Corte Suprema, che si è pronunciata nel 2021 a favore delle vittime.

Nel processo, un giudice della California ha ordinato di rendere pubbliche migliaia di pagine di documenti che la Monsanto manteneva riservati. Dimostrano che l’azienda sapeva della pericolosità del glifosato, che falsificava documenti scientifici, che cercava di influenzare con metodi dubbi, fuorvianti o probabilmente illegali le decisioni delle agenzie di regolamentazione e di altri.

Questa valanga di prove è diventata Monsanto Papers https://usrtk.org/monsanto-papers/ ), parte dei dossier si può leggere anche in spagnolo (https://monsantopapers.lavaca.org/ e qui una copertina di Internazionale dedicata al caso nel 2017).

Per cercare di fermare la pubblicità negativa, Bayer ha accettato un accordo in via extragiudiziale per la quale ha stanziato finora 16,5 miliardi di dollari. Ci sono tuttavia ancora circa 30mila cause pendenti. Allo stesso tempo, Bayer ha annunciato che nel 2023 avrebbe smesso di vendere il glifosato per uso domestico e giardinaggio negli Stati Uniti.

Si tratta, con ogni evidenza, di un altro esempio dell’etica della Bayer-Monsanto: si dimostra che conosce i danni, smette persino di vendere negli Stati Uniti in alcuni settori, ma vuole che il Messico non possa decidere liberamente come proteggere la salute dei suoi abitanti.

Fonte: La Jornada

Traduzione per Comune-info: marco calabria

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martedì 23 agosto 2022

Nel Sahel l’insicurezza è più cronica che da cronaca – Mauro Armanino

 

Nel Sahel, da cui sono tornato da qualche settimana, l’insicurezza è più cronica che da ‘cronaca’. Il quotidiano ne è totalmente colonizzato e la sabbia, da questo punto di vista, ne costituisce una delle metafore più convincenti. In bilico tra fragilità ed eternità, la sabbia ben rappresenta la permanente sfida ad ogni pretesa di vana sicurezza. In quella porzione dell’Africa tutti sono coscienti che è la precarietà a dettare il ritmo e le stagioni del tempo. La vita, il lavoro, la pioggia, i raccolti, il cibo, i viaggi, i matrimoni, la salute, la scuola, la politica, i progetti, la fede religiosa, gli appuntamenti, le amicizie, la pace e gli amori. Tutto sembra condizionato dal sapore dell’insicuro umano transitare. La ‘sicurezza’ è un’utopia nella quale pochi hanno creduto. Naturalmente hanno ragione loro e la sabbia, dalla quale tutti discendiamo. Ci sono momenti storici nei quali le promesse arroganti e illusorie della sicurezza, la greca hybris, sono smascherate e appaiono nella loro nudità. Come tombe ricoperte di sabbia che il vento torna a rendere visibili agli occhi distratti dei passanti, così viene a riconfigurarsi la percezione dell’esistenza.

È bastata l’iniqua risposta ad una malattia, né migliore né peggiore di altre che hanno caratterizzato la storia delle epidemie, per mettere in ginocchio buona parte del mondo ‘civilizzato’. Le telecamere della video-sorveglianza, sparse ovunque, i tracciamenti dei movimenti delle persone e l’abusiva supervisione del loro stato di salute non sono stati altro che tragiche cifre di una sconfitta. Paure, di cui la storia dell’Europa è stata accompagnata e marcata, che sono riapparse, dissepolte, riviste, corrette e pronte per l’uso. La morte, espunta dall’immaginario come una vergognosa debolezza da cui sfuggire, la fragilità dei corpi, le solitudini degli anziani e l’incomprensione dei giovani, hanno mostrato quanto si teneva, volutamente, nascosto. L’uso politico della paura ha contribuito a creare quanto fino a poco tempo fa sarebbe apparso inconcepibile: una selezione tra i cittadini di uno stesso Paese, discriminati, eliminati, condannati e socialmente disprezzati. L’insicurezza si è gradualmente impadronita del tessuto sociale, già sconnesso e preparato da anni di scientifica divisione consumista.

Appare dunque particolarmente eloquente e fuorviante, per esempio, quanto letto su uno dei vari manifesti di propaganda per la prossima campagna elettorale. ‘Stop Sbarchi – Più Sicurezza’, la data messa bene in mostra è quella del 25 settembre prossimo. Per chi sarebbe concepita una sicurezza che scaturisce dall’insicurezza di chi parte da lontano per sfuggirla e si trova a ‘sbarcare’ in una società che le vicende sanitarie e belliche ha ulteriormente reso fragile? Sarebbe più onesto riconoscerci come ‘associati’ di un mondo che, attraversato dalla fragile precarietà del momento, accoglie l’insicurezza come un’apocalisse che ci rivela un comune destino.

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domenica 21 agosto 2022

Gli insulti di Jovanotti alla cultura ecologica e il silenzio di convenienza della politica - Paolo Pileri

  

La vicenda dei concerti in ecosistemi fragili conferma che in Italia se sei famoso, ricco e mobiliti consensi di massa puoi fare quel che vuoi e il ceto politico resta a guardare. Una questione grave, commenta il prof. Pileri, in un Paese che già umilia chi si occupa di tutela e di divulgazione ambientale, salvo poi piangere Piero Angela

 

Torno su uno dei tanti fatti inaccettabili che stanno macchiando questa estate bollente: le dichiarazioni di Jovanotti intorno al suo JovaBeachParty. Ci torno innanzitutto perché non posso accettare di ricevere dell’”econazista” - io come tanti altri che hanno “osato” sollevare dubbi- per di più nel bel mezzo di un tempo storico dove le destre e i nostalgici del fascismo potrebbero prendere il potere e farci tornare nel buio più buio. E non ci sto neppure a sopportare il silenzio di quasi tutti i politici che occupano le prime pagine di social e media i quali nulla dicono e han detto sull’accaduto, nulla sulle parole impronunciabili rivolte agli attivisti ambientali e nulla sulle mancate scuse da parte dell’artista pop a cui peraltro nessuno ha dato del “popnazista”. Probabilmente hanno fatto i loro conti e sanno che a dire qualcosa ci si potrebbe scottare e perdere molti voti. E così fan finta di niente e giocano la carta colpevole dell’inazione, della bocca cucita: giusto per non sbagliare. E invece sbagliano, eccome se sbagliano.

Per chi si è perso i fatti, questi sono semplici. Un cantante vuole fare i suoi concerti sulle spiagge italiane e li vuole fare pure sventolando ai quattro venti che sono una esperienza green; un gruppetto di ambientalisti gli fa notare che non è proprio così e che le coste sono ambienti fragili; e lui gli scodella addosso, in men che non si dica, che sono degli econazisti; il 9 agosto interviene a loro difesa (e a difesa delle coste) Mario Tozzi sulle pagine de La Stampa spiegando, pacatamente e con dati scientifici alla mano, i danni che eventi del genere procurano, facendo anche notare la sgradevole e irricevibile uscita con cui si è rivolto agli oppositori; il Jova replica l’11 agosto dando le sue ragioni, sventolando l’appoggio del Wwf e il fatto di aver tutti i permessi e che i ripristini che farà renderanno addirittura migliori le spiagge oltre al fatto che nei suoi concerti si fa educazione ambientale. E non si scusa affatto di aver detto “econazisti” a chi ha sollevato ragionevoli dubbi (in un Paese che ad oggi è ancora abbastanza democratico).

La questione rimane quindi grave. Grave perché innanzitutto ci conferma che se in questo Paese sei famoso, ricco e mobiliti consensi di massa, puoi fare quel che vuoi e la politica sta a guardare. C’è chi si è fatto un vulcano nella propria villa, chi se ne costruisce una sul mare e chi organizza i suoi concerti a pagamento per sé sulle spiagge di tutti e della natura innanzitutto. Quindi la morale è: se pago, se sono famoso, se sono ricco, posso pretendere e gli altri stiano muti. Quel che è accaduto fa passare questo messaggio che è dannosissimo per la cultura ecologica ma anche, attenzione, per quella democratica. Ed è su questo punto scivoloso che dovrebbero intervenire la politica e i politici mettendoci la faccia. Ma non mi pare sia accaduto.

Ho scorso i siti dei principali partiti: nulla di nulla. Non vi sono state repliche sui media. Nessun appoggio dai politicanti a Mario Tozzi. I neocandidati dei Verdi, con il loro leader, non hanno neppur cinguettato un tweet. Insomma, c’è uno che va sulle spiagge di mezza Italia sparando a zero su quelli che non sono d’accordo e dandogli pure dei nazisti, seppur green, e nessuno dei big democratici fiata? Evviva. Quale transizione ecologica ci attende da costoro se nessuno di loro ha il coraggio di metterci la faccia? Quale cambiamento di modello di sviluppo può mai arrivare da chi sta zitto davanti a tutto ciò anteponendo il proprio tornaconto elettorale alla necessità di dichiarare da che parte stare? Un brutto schiaffo anche per i giovani e la loro educazione. Già perché lo spettacolino loro offerto è quello di un loro leader pop che schiaccia come formiche, con grande rispetto per costoro, le ragioni ambientaliste. Hanno imparato che i vincenti sono quelli che alzano la voce, insultano e sono ricchi e gli altri sono perdenti: tanto vale stare con i vincenti. E dire che proprio qualche giorno prima di tutto ciò (8 agosto su la Repubblica), in risposta a un mega appello di alcuni ecoscienziati, nove sindaci smart si sono riempiti la bocca dicendo che occorrono politiche coraggiose. Ecco la spiaggia dove mostrare il vostro coraggio. È qui che serve, ma nessuno ce l’ha messo. Temo perché non gli convenga o, diranno loro, non gli compete rifugiandosi dietro la foglia di fico della burocrazia delle competenze che un attimo prima loro stessi contestavano perché gli lega le mani. Ed è la convenienza egoista il motore di tutta questa vicenda, uno dei pilastri del pensiero consumistico che ovviamente è disinteressato ai beni comuni, alla cosa di tutti, alla natura come bene universale. A cui piace la secessione, l’autonomia differenziata, la flat tax e cose del genere. Ed è questo accettare silenziosamente la convenienza come principio su cui poggiare un progetto di democrazia che dovrebbe ancor più farci andare su tutte le furie. Si fa quel che conviene in funzione di un profitto personale. Se a uno conviene star zitto in previsione di un proprio vantaggio politico, sta zitto e rinuncia a fare il politico. Se uno vuol fare il botto con i concerti e sceglie di farli “diversi” perché gli conviene, lo fa. E questo virus della convenienza egoistica che non riconosce limiti né nell’interesse comune né men che meno nell’interesse ecologico è una patologia grave di questo tempo e non certo un pilastro di cui andare fieri.

Vengo ora, pur in breve, alla replica di Jovanotti su La Stampa (11 agosto) perché anche qua ci sono passaggi inaccettabili, oltre a un tono arrogante e accusatorio (si veda il Ps), che rischiano di passare non solo per normali ma addirittura per giusti ed ecologici, piegando ovviamente il concetto di ecologia all’interesse di pochi o svilendolo a una buona azione green. Va da sé, come ho già detto, che la replica inizia proprio affermando di non volersi pentire per le affermazioni precedenti.

Concentriamoci su un paio di “argomenti ecologici” che il Jova usa. A un certo punto, per auto approvarsi, dice che le spiagge selezionate per i concerti sono quelle “dove le ruspe ci passano quasi tutte le mattine da maggio a ottobre”, non rendendosi conto di almeno due cose. La prima è che le ruspe non dovrebbero proprio passarci sulle spiagge perché danneggiano un ecosistema delicato, torturandolo solo a fini commerciali e speculativi, quelli degli stabilimenti balneari, peraltro, spesso inaccessibili alle fasce più deboli (e tema esplosivo per i governi). La seconda, forse più grave, è che la premessa di un danno o di un uso non ecologico diviene il lasciapassare incontrovertibile per un ulteriore uso non ecologico, e questo è il principio di ogni fine delle tutele (peraltro il divo pop sta dicendo, senza rendersi neppur conto, che i concerti impattano eccome). Jovanotti sta usando la teoria del vetro rotto a suo vantaggio: laddove tutto è eccezionalmente bello (lui cita la spiaggia di Budelli) allora lasciamo così, laddove c’è qualche danno, allora tanto vale aggiungerne altri. Ma è pazzesco. Bisognerebbe ragionare al contrario: dove la natura è compromessa, soccorriamola per ripristinare le sue migliore condizioni. E dove sta bene, eleviamo le tutele affinché non venga in mente a qualcuno di fare cose “pazze”.

Lasciar correre questo uso e abuso della teoria del vetro rotto da parte di un influencer come Jova significa poi ritrovarci i suoi effetti altrove e ovunque: se la periferia è brutta, possiamo farci una discarica; se un campo è abbandonato, possiamo asfaltarlo; se un bosco è stato danneggiato, possiamo abbatterlo; se un campo è piccolo, possiamo cementificarlo. Insomma le vittime non meritano più cure ma ancor più danni. Capite il disastro culturale? Vi è un altro passaggio grave tra i tanti. Jovanotti chiude poi il suo articolo invitando Tozzi a prendere una birra al suo concerto. Una specie di fine a taralluci e vino. Così Tozzi si potrà rendere conto che usano contenitori “compostabili”. Ed ecco un’altra follia culturale che passa per normale e anzi fa dell’uomo qualunque un eroe ecologico: basta fare la raccolta differenziata, usare un bicchiere compostabile e il nostro “dovere” ambientale lo abbiamo fatto, l’assoluzione è ottenuta. Non solo: la questione culturale si schiaccia di nuovo su un oggetto che incorpora una prestazione ambientale trasferendo così al suo utilizzatore una sorta di patente da buon ambientalista. Sappiamo che non è così, ovviamente. Questa non è che una neo frontiera del consumismo che si veste di verde e continua a non cambiare il modo di pensare noi stessi sul pianeta. Ridurre l’ambientalismo al bicchiere compostabile è puro pensiero ecologista superficiale, direbbe Arne Naess, teorico dell’ecologia profonda.

Non ci rendiamo conto, e di nuovo mi rivolgo all’inaccettabile silenzio dei politici, che queste risposte da parte di persone influenti hanno gravissime ricadute sulle persone e non ci fanno cambiare, ma anzi irrobustiscono la nostra spocchia di sapiens dominanti che tutto possono fare e hanno diritto di fare in perfetto stile “pago pretendo”. Penso a quanto degli sforzi immensi dei nostri insegnanti vengono bruciati dalla risposta di Jovanotti, laddove nelle classi spiegano con fatica la natura e il suo rispetto, ancor più quando è già compromessa e degradata. Ma penso, purtroppo, che tutta questa vicenda, oltre a mettere in mostra la miseria di chi ha un ruolo pubblico e di rappresentanza e tace, mostra ancora una volta che la nostra cultura ecologica è fragile e basta poco a spazzarla via. Se nessuno fiata, non rilevando in questa vicenda un profilo di gravità, forse è proprio perché non abbiamo gli strumenti per riconoscere a sufficienza cosa è un ecosistema e quali danni si generano deturpandolo. Pensate che bello sarebbe stato e sarebbe, sentire i leader dei partiti in lizza per la prossima legislatura dire a gran voce (e riempire una pagina di giornale) che verranno quintuplicati gli investimenti in cultura, ricerca e soprattutto in divulgazione ambientale. Ma nessuno dice questo sebbene tutti si siano accodati a piangere, giustamente, la scomparsa di Piero Angela, grandissimo divulgatore. Peccato che nessun programma politico preveda uno straccio di investimento nella divulgazione scientifica (men che meno nella formazione ecologica di aspiranti politici): probabilmente basta mettere dei bicchieri compostabili alla Camera e al Senato e fare così di un Parlamento un ecoParlamento. E vissero tutti felici e contenti: loro, non l’ambiente, non gli altri.

 

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

 

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sabato 20 agosto 2022

Felice giorno dell’infanzia in Argentina, ma per chi? - Maria Teresa Messidoro

 

 

In Argentina, da quasi dieci anni, nella terza domenica del mese di agosto, si celebra il Dia de la infancia (il giorno dell’infanzia); quest’anno sarà dunque il 21 agosto.

Per molte famiglie, questa ricorrenza sarà soltanto una occasione in più per acquisti e consumi, come ci sta abituando un sistema mondiale che trasforma ogni momento in merce.

Così non la pensa il Movimiento de Mujeres Indígenas por el Buen Vivir, che ha appena emesso un comunicato molto duro, in cui prima di tutto si chiede l’abolizione definitiva dell’aberrante pratica del chineo e la fine della sofferenze subite dall’infanzia nei territori abitati dalle popolazioni indigene, sofferenze dovute alla fame imperante, alla militarizzazione del territorio, alla violenza istituzionale, alla criminalizzazione dei parti in casa, alla proibizione delle medicine tradizionali e al vuoto del sistema di salute occidentale.

 

Nel documento si afferma che “non è denutrizione, è No nutrizione, mancanza di acqua potabile, genocidio silenzioso, spogliazione del territorio e impoverimento sistemico” (1).

Ma cos’è il chineo?

Viena definito così quel “costume culturale” secondo il quale alcuni uomini bianchi si ritrovano e decidono di sequestrare una bambina o una adolescente indigena, portarla in montagna, violentarla ripetutamente in gruppo e poi lasciarla, viva o morta. Si chiama chinear perché le bambine indigene hanno gli occhi molto simili a quelli della popolazione cinese. Se la famiglia, o la comunità della vittima, decide di denunciare quanto successo, non ottiene nessuna condanna perché gli stessi giudici considerano l’accaduto una pratica appunto “culturale”.

Ma il chineo, che spesso sfocia in un delitto, dovrebbe essere considerata secondo il Codice Penale argentino, come gesto di violazione e stupro, accompagnato a volte da un assassinio. Inoltre, le comunità indigene coinvolte denunciano anche che negli ospedali viene quasi sempre negata una diagnosi che referti la violazione; quando sarebbe necessario, non si procede alla somministrazione di un anticoncezionale di emergenza, né si prescrivono esami per evitare eventuali trasmissione di malattie sessuali.

A febbraio di quest’anno, una bambina di appena 12 anni è stata assassinata. Si chiamava Pamela Flores, e non potrà più dare vita ai suoi sogni (2).

Nel caso di Pamela, c’è un detenuto di 17 anni, che si è dichiarato colpevole, senza però voler descrivere esattamente cosa è successo. Probabilmente i responsabili sarebbero 4 uomini.

I familiari di Pamela chiedono soltanto giustizia: così come per il caso dell’agosto dello scorso anno, quando un’altra bambina wichi è morta dopo una gravidanza a rischio, probabilmente risultato di un  atto di chineo.

E come la chiedono i famigliari di Florencia Torres, di 14 anni, ammazzata 21 giorni dopo Pamela, esattamente 48 ore prima della giornata della donna (3).

Durante una sua visita in maggio a Salta, per l’organizzazione del terzo  Parlamento Plurinacional de Mujeres y Diversidades Indígenas por el Buen Vivir, l’attivista Moira Millán aveva dichiarato “Il chineo è una violazione delle bambine indigene, che nasce con l’arrivo degli spagnoli e perdura ancora oggi. I violatori di ieri godevano dell’impunità, come la godono i violatori di oggi. Scelgono le bambine che vivono il momento della pubertà, per loro questi corpicini saranno un trofeo. Camminando in questi territori, parlando con molte bambine, molte di loro mi hanno raccontato che quando giunge la prima mestruazione piangono perché sanno di poter essere la prossima vittima. Per questo, spesso abbandonano anche la scuola rinunciando ai propri diritti. Fortunatamente, in questo mio viaggio, ho incontrato donne coraggiose, che non scelgono il silenzio, ma continuano a lottare e lo faranno fino a quando questo crimine non cesserà di esistere” (4)

 

Nel contesto della campagna #AboliciónDelChineoYa, rilanciata il giugno scorso (5),,  il Movimiento de Mujeres Indigenas sottolinea che con l’abolizione del chineo si vuole aprire una strada per ampliare i diritti delle donne e diversità indigene e portare alla necessaria trasformazione della società nel suo complesso., recuperando l’armonia ed il rispetto delle 40 popolazioni indigene presenti sul territorio argentino. Denuncia inoltre che fino ad oggi lo Stato Argentino non ha nemmeno preso in considerazione le due richieste di impegnarsi in una abolizione immediata del chineo, presentate dallo stesso Movimiento de Mujeres.

 

Per domenica 21 agosto è prevista una azione plurinazionale  che attraversi tutti i social con gli hashtags:

AbolicionDelChineoYa #DíaDeLasInfanciasNadaQueFestejar

Las Vidas indígenas también importan.#AbolicionDelChineoYa

Chi vuole, può aderire qui https://cutt.ly/3XfJaZ0

La foto di copertina dell’articolo è tratta da https://www.resumenlatinoamericano.org/2022/05/24/pueblos-originarios-en-la-tercera-jornada-del-parlamento-de-mujeres-y-diversidades-indigenas-se-abordo-el-lacerante-tema-del-chineo/

 

 

1.      https://www.resumenlatinoamericano.org/2022/08/16/pueblos-originarios-dia-de-las-infancias-no-es-un-dia-de-festejo-abolicion-del-chineo-ya/

1.      https://www.resumenlatinoamericano.org/2022/01/24/pueblos-originarios-salir-a-chinear-la-costumbre-cultural-de-violar-en-grupo-la-historia-de-pamela-una-nena-wichi-de-12-anos/

2.      https://www.resumenlatinoamericano.org/2022/03/06/argentina-dolor-en-salta-a-48-horas-del-dia-de-la-mujer-asesinaron-a-otra-nina-wichi/

 

4.      https://latinta.com.ar/2022/05/tercer-parlamento-plurinacional/

5.      https://www.resumenlatinoamericano.org/2022/06/02/pueblos-originarios-comunicado-abolicion-del-chineo-ya/

 

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venerdì 19 agosto 2022

Interessi Privati Protetti (con tanti saluti alla tutela ambientale) in quel di Villasimius - Grig

 

È una storia emblematica, quella di Porto Giunco (Villasimius), splendido compendio di dune, mare cristallino, stagno di retro-spiaggia e formazioni di macchia evoluta di particolare pregio (ginepri) nel bel mezzo dell’Area Marina Protetta (?) di Capo Carbonara.

Emblematica di come, anche in un territorio sulla carta super-protetto, i valori ambientali possono allegramente (tristemente) soccombere brutalmente per non disturbare l’interesse privato, peraltro di natura fortemente speculativa.

Ci riferiamo al settore più meridionale della spiaggia, quello che confina con il promontorio roccioso alla cui sommità svetta la splendida torre aragonese del XVI secolo.

Si tratta di una sottile striscia di arenile racchiusa tra il mare e un costone collinare ricco di ginepri e altre essenze della macchia mediterranea.

È forse il tratto più pregevole – ambientalmente e paesaggisticamente – dell’intero compendio ma anche quello più fragile, la cui esistenza si regge su delicati equilibri ecologici, che l’hanno (avevano) finora protetto da un’erosione sempre in agguato. 

Il perno principale su cui tale equilibrio si regge è la banquette di posidonia, il formidabile baluardo naturale che nei millenni ha protetto quella lingua di sabbia dalle mareggiate di scirocco.

Anche quest’anno la natura il suo dovere l’aveva fattotirando su quella intricata struttura di foglie di posidonia e sabbia che rappresenta una barriera particolarmente efficace a difesa dei sedimenti sabbiosi.

Una tutela ambientale degna di questo nome ne avrebbe preservato l’integrità, magari sottraendola in toto all’utilizzo balneare (circa 100 m di arenile su un totale di oltre 850 m). 

Siamo o non siamo nel pieno di un’Area Marina Protetta?

Ma l‘interesse privato – una concessione demaniale per uno stabilimento incredibilmente concessa anni addietro in quell’esile lingua di sabbia – ne avrebbe patito, perché, si sa, la posidonia accumulata sulla spiaggia non gode di buona reputazione tra gli amanti della tintarella. 

E dunque, con un intervento di assai dubbia legittimità, si è pensato bene di rimuoverla brutalmente, quella banquette di posidonia.

E con essa un bel po’ di tonnellate di sabbia, di fatto operando una vera e propria asportazione parziale della spiaggia, di cui, come dovrebbe esser ben noto ai gestori di un’Area Marina Protetta, il mix sabbia/posidonia è parte costitutiva.  

Peraltro, un’operazione di tal fatta non causa soltanto una mutilazione “volumetrica” ma anche una destrutturazione del sistema arenile per cui anche i sedimenti rimasti patiscono un’accresciuta vulnerabilità all’erosione.

I risultati di questa brillante operazione non si sono fatti attendere, come dimostra la drammatica riduzione della striscia di sabbia, ridotta a pochi metri di profondità, con la conseguenza che persino il costone collinare retrostante risulta ormai esposto al moto ondoso, fatto certamente inedito quanto meno nell’ultimo secolo, come testimoniano gli antichi ginepri il cui apparato radicale è ora alla mercè delle mareggiate. Un danno ambientale pesante e probabilmente irreversibile.

E dire che la soluzione che potesse contemperare l’interesse privato e quello pubblico alla tutela ambientale –  in teoria preminente (tanto più in un’AMP) –  era davvero a portata di mano: sarebbe stato sufficiente traslare l’area data in concessione verso la parte centrale dell’arenile, esente da fenomeni erosivi.

Certo, in una porzione di spiaggia meno glamour sarebbe stato più difficile affittare un ombrellone e due sdraio a 60 Euro al giorno e un gazebo a 120 e allora meglio lasciar perdere. La tutela ambientale può attendere, l’interesse privato no.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

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