venerdì 19 agosto 2022

Interessi Privati Protetti (con tanti saluti alla tutela ambientale) in quel di Villasimius - Grig

 

È una storia emblematica, quella di Porto Giunco (Villasimius), splendido compendio di dune, mare cristallino, stagno di retro-spiaggia e formazioni di macchia evoluta di particolare pregio (ginepri) nel bel mezzo dell’Area Marina Protetta (?) di Capo Carbonara.

Emblematica di come, anche in un territorio sulla carta super-protetto, i valori ambientali possono allegramente (tristemente) soccombere brutalmente per non disturbare l’interesse privato, peraltro di natura fortemente speculativa.

Ci riferiamo al settore più meridionale della spiaggia, quello che confina con il promontorio roccioso alla cui sommità svetta la splendida torre aragonese del XVI secolo.

Si tratta di una sottile striscia di arenile racchiusa tra il mare e un costone collinare ricco di ginepri e altre essenze della macchia mediterranea.

È forse il tratto più pregevole – ambientalmente e paesaggisticamente – dell’intero compendio ma anche quello più fragile, la cui esistenza si regge su delicati equilibri ecologici, che l’hanno (avevano) finora protetto da un’erosione sempre in agguato. 

Il perno principale su cui tale equilibrio si regge è la banquette di posidonia, il formidabile baluardo naturale che nei millenni ha protetto quella lingua di sabbia dalle mareggiate di scirocco.

Anche quest’anno la natura il suo dovere l’aveva fattotirando su quella intricata struttura di foglie di posidonia e sabbia che rappresenta una barriera particolarmente efficace a difesa dei sedimenti sabbiosi.

Una tutela ambientale degna di questo nome ne avrebbe preservato l’integrità, magari sottraendola in toto all’utilizzo balneare (circa 100 m di arenile su un totale di oltre 850 m). 

Siamo o non siamo nel pieno di un’Area Marina Protetta?

Ma l‘interesse privato – una concessione demaniale per uno stabilimento incredibilmente concessa anni addietro in quell’esile lingua di sabbia – ne avrebbe patito, perché, si sa, la posidonia accumulata sulla spiaggia non gode di buona reputazione tra gli amanti della tintarella. 

E dunque, con un intervento di assai dubbia legittimità, si è pensato bene di rimuoverla brutalmente, quella banquette di posidonia.

E con essa un bel po’ di tonnellate di sabbia, di fatto operando una vera e propria asportazione parziale della spiaggia, di cui, come dovrebbe esser ben noto ai gestori di un’Area Marina Protetta, il mix sabbia/posidonia è parte costitutiva.  

Peraltro, un’operazione di tal fatta non causa soltanto una mutilazione “volumetrica” ma anche una destrutturazione del sistema arenile per cui anche i sedimenti rimasti patiscono un’accresciuta vulnerabilità all’erosione.

I risultati di questa brillante operazione non si sono fatti attendere, come dimostra la drammatica riduzione della striscia di sabbia, ridotta a pochi metri di profondità, con la conseguenza che persino il costone collinare retrostante risulta ormai esposto al moto ondoso, fatto certamente inedito quanto meno nell’ultimo secolo, come testimoniano gli antichi ginepri il cui apparato radicale è ora alla mercè delle mareggiate. Un danno ambientale pesante e probabilmente irreversibile.

E dire che la soluzione che potesse contemperare l’interesse privato e quello pubblico alla tutela ambientale –  in teoria preminente (tanto più in un’AMP) –  era davvero a portata di mano: sarebbe stato sufficiente traslare l’area data in concessione verso la parte centrale dell’arenile, esente da fenomeni erosivi.

Certo, in una porzione di spiaggia meno glamour sarebbe stato più difficile affittare un ombrellone e due sdraio a 60 Euro al giorno e un gazebo a 120 e allora meglio lasciar perdere. La tutela ambientale può attendere, l’interesse privato no.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

da qui

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