Né la pandemia e neppure l’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia sono riuscite ad intaccare il sistema-razzismo, come dimostra l’accoglienza selettiva di profughe/i provenienti dall’Ucraina, in base all’origine, al colore della pelle e così via. Tra l’altro, anche a svariate famiglie con bambini, di origine subsahariana, è stato impedito di varcare i confini in direzione dell’Europa.
Come sottolinea il Centro
Studi e Ricerche IDOS, in tal modo resta bloccata in
Ucraina, quindi esclusa dalla protezione europea, una parte ben rilevante dei
circa 5 milioni di stranieri presenti nel Paese, tra studenti, lavoratori,
richiedenti-asilo e categorie di migranti a breve termine.
E ciò a dispetto delle
convenzioni internazionali: chiunque fugga da una situazione pericolosa
ha il diritto, a prescindere dalle proprie origini, di poter varcare i confini
e fare richiesta di asilo. Tra l’altro, la gran parte delle
persone respinte non sono affatto delle marginali, bensì alquanto integrate:
per esempio, tra loro non poche sono quelle iscritte a qualche università
ucraina.
Solo il razzismo può
spiegare perché mai paesi quali la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria, che
notoriamente sono soliti praticare una politica di ostilità e rifiuto o di vero
e proprio razzismo verso migranti e potenziali rifugiate/i, che cerchino di
attraversare le loro frontiere, al contrario si siano rapidamente organizzati
per accogliere le persone ucraine ab origine in fuga dalla
guerra e dai suoi effetti drammatici. Si consideri, inoltre, che a
una tale discriminazione sono solite partecipare anche le autorità ucraine,
in particolare alla frontiera con la Polonia, selezionando tra i cittadine/i
“ucraine/i” e quelle/i “non ucraine/i” e respingendo perfino famiglie con
bambini, in quanto di origine subsahariana.
Quanto all’Europa e
all’Italia, in particolare e paradossalmente, mentre di solito sono respinte/i,
rifiutate/i, criminalizzate/i le/i profughe/i, soprattutto quelle/i provenienti
da paesi subsahariani, asiatici, mediorientali, e ciò anche se giungono da
situazioni drammatiche, questa volta una buona parte delle istituzioni e delle
popolazioni mostra e pratica solidarietà e accoglienza verso le persone
esiliate purché siano ucraine ab origine, per l’appunto.
A tal proposito,
esemplare è la vicenda raccontata il 22 marzo scorso da Riccardo Bruno
sul Corriere della Sera. Egli riporta la denuncia di una
suora, che aveva accolto due universitari ventenni di origine nigeriana,
fuggiti avventurosamente dall’Ucraina. Una donna le aveva promesso che li
avrebbe ospitati lei nella sua seconda casa. Ma, allorché ha scoperto che erano
nigeriani, ci ha ripensato, motivando il rifiuto esplicitamente: due
profughi bianchi potevano andar bene, negri assolutamente no.
Certo, l’accoglienza
di persone ucraine che fuggono dalla barbarie della guerra putiniana non può
che essere considerata positivamente e incoraggiata. Nondimeno essa rivela
l’ipocrisia – a dir poco – della politica europea e delle politiche dei singoli
Stati dell’Ue: l’una e le altre praticano un’accoglienza discriminante, che
distingue tra le persone rifugiate, perlopiù da accogliere o almeno da
accettare, e quelle migranti, soprattutto se
provenienti dal Sud del mondo.
Tuttavia, non
si creda che siano esclusivamente il colore della pelle e/o l’origine nazionale
a ispirare discriminazione, ripulsa e disprezzo verso le/gli altre/i. Come
ho scritto più volte, chiunque può essere razzizzata/o, soprattutto se
appartenente a una classe subalterna. Lo dimostra in modo esemplare la storia
dell’immigrazione albanese in Italia, che esordì il 7 marzo del 1991,
quando ben 27.000 migranti sbarcarono nel porto di Brindisi. Cinque mesi dopo,
l’8 agosto del 1991, la nave mercantile Vlora, stipata da 20.000 migranti,
attraccò nel porto di Bari. Da allora in poi, per non pochi anni le/gli
albanesi divennero capro espiatorio esemplare e oggetto di discriminazioni e
violenze razziste.
V’è da aggiungere che,
mentre in Ucraina furoreggiava e furoreggia tuttora la guerra putiniana, nel
Mediterraneo centrale si susseguivano le stragi di migranti. Gli ultimi novanta
o forse cento, che hanno perso la vita alla fine di marzo e di cui si è saputo
tardivamente, non sono stati ancora conteggiati. Ma alla data del 28
marzo, erano già 299 quelli morti o dispersi dall’inizio dell’anno nel
tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale. Di una tale
tragedia i media hanno parlato/scritto alquanto poco, tutti presi com’erano
dalla guerra in Ucraina.
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