Il Gange è molto più di un fiume. Rappresenta l'essenza stessa dell'India, ne racconta la vita spirituale, culturale, ecologica ed economica. Senza il Gange l'India non potrebbe materialmente sopravvivere, non sarebbe neanche nata, perché la nostra millenaria storia si è sviluppata attorno, dentro e grazie al Gange. Esistiamo grazie alla generosità del fiume. Io stessa, come miliardi di persone, sono nata su questo fiume. Ho imparato a parlare, a leggere, a sopravvivere su questo fiume. Anche i nostri morti, se ne vanno via con lui.
Restando parte di una storia che il Gange scrive ogni giorno, con ciascuno di noi singolarmente e tutti assieme.
E poi, ingannandoci, lo abbiamo tradito. Abbiamo cominciato a farlo quando ci siamo convinti che per essere più ricchi ci servivano più cose. Abbiamo avvelenato il Gange con gli scarichi industriali, che generano cose che non vivranno mai abbastanza per ripagarci della perdita del fiume. Lo abbiamo soffocato con megalopoli senza anima. Lo abbiamo strozzato con dighe e interventi che gli hanno imprigionato l'anima, per ottenere più elettricità. Per accendere una luce oggi, spegniamo il futuro. Il movimento per salvare il Gange e il flusso delle sue acque non è solo un movimento per salvare un fiume. Si tratta di un movimento per salvare l'anima travagliata dell'India, che è inquinata e soffocata da un consumismo crasso e dall'avidità, scollegato dalla sua esistenza in armonia con la natura e dalle sue fondamenta culturali. Per questo ci battiamo, per questo organizziamo i campi di lavoro con i giovani, sul fiume, per la democrazia dell'acqua. Per ricordare loro da dove veniamo e che non saremmo qui, oggi, senza il fiume Gange. E non ci saremo domani, senza il Gange…
giovedì 27 ottobre 2011
Abbiamo tradito il Gange - Vandana Shiva
mercoledì 26 ottobre 2011
olive in Palestina
La grande diplomazia non segue le stagioni della terra. Neanche quando si tratta di Medio Oriente. Il Quartetto ha deciso che bisogna battere il ferro del cosiddetto processo di pace tra israeliani e palestinesi, e allora sta per arrivare per far partire contatti indiretti tra i due contendenti. Non diretti, come auspicherebbe Benjamin Netanyahu. Perché, ha detto ieri anche Salam Fayyad, non ci sono “le condizioni giuste per i negoziati”.
Condizioni giuste? Sembra una definizione astratta, quella di Fayyad. A vivere da queste parti, però, si capisce subito che le “condizioni giuste” non riguardano tanto e solo i grandi eventi, il discorso di Abu Mazen all’Onu, la richiesta del riconoscimento dello Stato di Palestina, la liberazione della prima tranche di palestinesi nello scambio mille a uno tra i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane e Gilad Shalit. Riguardano la vita quotidiana. Olive comprese.
L’autunno, qui, è una stagione delicata. Forse ancor più delicata delle altre. C’è la raccolta delle olive, che comincia un po’ prima di quanto succede in Italia. Causa clima. E proprio a ridosso della stagione della raccolta, ci si trova a dover raccontare – ancora una volta – di olivi sradicati dai coloni, di scontri tra contadini palestinesi e coloni israeliani, di lacrimogeni e arresti. Il tutto, in Cisgiordania. E la raccolta delle olive, per l’economia palestinese, non è per nulla un settore residuale. Al contrario. Al netto del milione di ulivi che sono stati sradicati per costruire il Muro di Separazione, di piante ce ne sono 12 milioni, attualmente...
martedì 25 ottobre 2011
Le mani delle multinazionali sui prodotti agricoli
Il brevetto per strappare al resto del mondo l'esclusiva della patata, del pomodoro, del broccolo, della bistecca, secondo le associazioni di difesa della natura e della materia vivente come Equivita in Italia, è ormai una strategia portata avanti a carte scoperte da multinazionali come Monsanto, Dupont, Syngenta, Bayer, Basf solo per citare alcune tra le più potenti. Domani appunto l'Ufficio europeo dei brevetti annullerà il ricorso contro il brevetto sul broccolo (EP10698199), e in quel giorno è convocata la manifestazione davanti alla sua sede nella capitale bavarese. Poi seguirà il brevetto sul pomodoro (EP1211926). In altre parole, per spiegare tutto ai profani: chi vorrà coltivare pomodori dovrà pagare ogni anno al detentore del brevetto, cioè a una multinazionale, una royalty, un diritto di brevetto. Cioè coltivare broccoli o pomodori, materia vivente e patrimonio alimentare comune dell'umanità, verrà equiparato a produrre una bella Bmw o Mercedes, cioè ovviamente diritto esclusivo del produttore d'auto, e dei suoi team di ingegneri, ricercatori e operai che hanno sviluppato l'auto messa poi in vendita...
lunedì 24 ottobre 2011
Condividere per non consumare - Maurita Cardone
’Time Magazine’ lo annovera tra le dieci idee dell’anno che rivoluzioneranno il mondo.Qualcuno lo chiama collaborative consumption, altri parlano di sharing economy. È un concetto nuovo e radicale che, se applicato su larga scala, potrebbe davvero cambiare le regole delle nostre società.
Per capire di cosa si tratta basta guardarsi intorno: possediamo decine di oggetti che non ci servono o che hanno smesso di servirci, siamo circondati da cose che non usiamo o che usiamo molto raramente. Cose che possiamo dare in affitto, barattare, regalare o condividere. E non si tratta solo di oggetti: abbiamo spazi, tempo, capacità, conoscenze con un potenziale inutilizzato.
Il collaborative consumption si basa sull’idea che tutto ciò possa essere utilizzato collettivamente. Di fatto si tratta di sostituire l’idea del possesso con quella dellacondivisione. Un concetto che getta i semi per una società post-consumista, con vantaggi economici, ambientali e sociali. Alla base c’è internet, c’è lo sfruttare al massimo il potenziale di rinnovamento della rete, l’applicazione dell’idea dei social media alle abitudini di consumo.
I primi esempi di collaborative consumption nascono alla fine degli anni ‘90 con lacondivisione di prodotti culturali. Ad aprire le porte a quest’idea è stato Napster, il primo sistema per la condivisione di musica, online che ha reso l’acquisto di cd un’abitudine obsoleta. Open source, file sharing e social media si pongono sulla scia della condivisione, che si tratti di programmi per il computer, prodotti culturali o esperienze di vita. La parola chiave è peer-to-peer ovvero da pari a pari, una struttura, nata nell’ambito dell’informatica, che ribalta l’ordine gerarchico in favore dello scambio su tutti i livelli.
Nel giro di pochi anni sono nate decine di siti dove poter consumare musica, film, immagini, software, e-book senza bisogno di pagare. Le regole del copyright hanno iniziato a traballare. Dai prodotti culturali ai generi di largo consumo il passo è breve. Aggiungendo al mix la capacità dei social media di espandere il proprio potenziale sociale e creare connessioni in base a interessi o posizione geografica, il risultato è uno stile di consumo rivoluzionario. Oggi esistono decine di servizi attraverso cui si può ottenere qualsiasi cosa pagando poco o niente. Il car e il bike sharing, i servizi per lo scambio di casa, il couchsurfing, Airbnb, Freecycle, le banche del tempo, gli swap market, tutto fa parte della stessa tendenza, di una rivoluzione dei consumi che antepone l’utilitarismo della fruizione al mero piacere di possedere. Al contrario di quanto avveniva nella società del boom economico, il fine non è accumulare, bensì avere a disposizione beni e servizi nel posto giusto al momento giusto. Allo stesso tempo, il reimmettere quei beni su un mercato secondario (di risulta, potremmo dire), crea valore aggiunto. Un valore che viene generato su cose già acquistate e che già possediamo. La riduzione dei volumi di beni acquistati – e quindi immessi sul mercato – ha degli evidenti vantaggi ambientali. Inoltre lo scambio, la comunicazione e il consumo collaborativo, creano e rafforzano le relazioni sociali, rovesciando il presupposto individualistico del consumerismo...
domenica 23 ottobre 2011
dopo la fine del petrolio
Puntando sulle proprie competenze, parla da fisico, non da economista né da scienziato dell'ambiente: questo gli consente di tenere i piedi per terra, ragionando su vincoli e leggi della fisica fondamentali. E sfocia su una conclusione sorprendente: dovremo continuare a fabbricarci qualcosa che assomigli a petrolio, benzina e cherosene, perché né l'idrogeno né l'atomo né il solare potranno completamente sostituirsi all'efficienza di questi carburanti. Ma li produrremo sinteticamente grazie all'agricoltura. "Non sottraendo raccolti alla stessa agricoltura che alimenta gli esseri umani; bensì coltivando oceani e deserti"...
mercoledì 19 ottobre 2011
a Zegg
A circa 80 chilometri a sud-ovest di Berlino, è una realtà piuttosto versatile. Fondata nel 1991, ha passato varie fasi. In principio era un omogeneo gruppo di pionieri che si è poi trasformato in un network di diverse attività di natura politica, artistica e spirituale. È abbastanza centrale la ricerca di nuovi modelli di espressione della sessualità e di un equilibrio ed una pace interiori avendo, come corollario, un costante lavoro su “l’essere trasparenti”, nei riguardi di se stessi e degli altri.
A questo riguardo credo meriti menzione il Forum, uno spazio, dotato di palcoscenico, in cui possano essere espressi e “teatralizzati” pensieri, sentimenti e volizioni per promuovere la trasparenza degli individui nei più importanti ambiti del vivere individuale e collettivo.
La comunità dispone di 15 ettari di terreno con un grande orto biologico ed in cui si opera in sintonia con i principi della permacultura, una foresta, una casa per bambini, bar, una piscina, laboratori, uno studio d’arte ed altro.
A Zegg si organizzano seminari e molte conferenze attraverso la Zegg GmbH (una limited di cui sono soci alcuni residenti, proprietaria del terreno su cui sorge l’ecovillaggio).
È complessivamente una realtà piuttosto attiva. Ha ospitato l’incontro del GEN Europe nel luglio 2004.
Sono 87 i residenti di cui 13 bambini.
L’economia è soprattutto di tipo privato (alcuni residenti lavorano nell’ambito della limited citata, altri hanno lavori autonomi all’interno o meno della comunità) e le decisioni vengono prese per consenso.
Si utilizza l’acqua di un pozzo comunitario ed un filtro naturale, il riscaldamento è integralmente a legna ed alcune automobili “vanno ad olio vegetale”. Zegg non è una realtà isolata sul territorio ma collabora costantemente con altre realtà locali per potenziare un’economia sostenibile su base regionale.
In ambito comunitario viene, infine, valorizzata una dieta di tipo vegetariano o vegano.
Martin Caparròs
...Giornalista e scrittore argentino, 54 anni, Caparròs ha conosciuto l'esilio - a Parigi - durante la dittatura militare nel suo Paese. Una penna graffiante, allergica al comune senso della retorica. Questo libro è un invito a coltivare il dubbio. Perché i suoi viaggi, in luoghi del pianeta ''dove la notte è notte e non c'è luce che la distragga'' sono una sfida. A mettere in discussione una serie di concetti che siamo stati educati a sentire come nostri. Ma non è chiaro dopo quanta, reale, riflessione.
Lo scrittore argentino, mettendo in discussione in primo luogo sé stesso, parte da quello che lui ha sentito come un furto. ''Quando la destra si è appropriata del cambiamento?''. In prima battuta, rispetto al tema del libro, sembra che si parli solo del cambiamento climatico, il cosiddetto riscaldamento globale. Manila e le isole Marshall, il Marocco e la Nigeria, Sidney e le Hawaii. Storie, persone. Quelle che, davvero, soffrono le conseguenze di un mutamento che non sanno spiegare. Se non con le parole d'ordine di questi anni: riscaldamento globale.
L'approccio più ingenuo a un libro come questo sarebbe quello negativo. Caparròs, come tanti scienziati prezzolati in giro per il mondo, non nega che abbiamo un problema nel rapporto tra lo stato di salute del pianeta e sviluppo economico dello stesso. Lo scrittore non nega nulla, ma si chiede perché. Perché, in primo luogo, non venga messo in discussione questo modello sociale, economico, culturale che, dopo la caduta del muro di Berlino, appare dominante.
Rispetto all'aspirazione legittima di paesi emergenti a uno sviluppo economico, qual'è la risposta? Per Caparròs è troppo semplice, adesso, per i paesi ricchi dire che non si può, non a quelle velocità, non con quel modello di sfruttamento delle risorse. Buoni a dirlo solo ora, come i politici citati ad esempio da Caparròs: Al Gore e Kofi Annan. Quando erano, rispettivamente, vice presidente degli Usa e segretario generale dell'Onu non hanno mosso un dito. Adesso, a capo di fondazioni milionari, diventano i paladini dell'energia pulita. Business pure quello.
Caparròs ce l'ha con quelli che chiama ecololò, i militanti sempre radical, spesso chic, che dalcomodo scranno dell'opulenza lanciano strali contro l'inquinamento del mondo. Per l'autore argentino, però, contribuiscono a un arrocco conservatore che non ha più nulla dell'anelito internazionalista della sinistra storica. Salvare le tradizioni, senza capire chi è che le sceglie, le tradizioni da salvare.
Un invito, il dubbio come sale del pensiero. Una rivoluzione che deve partire dalla società, dalle società globali. Mettendo in discussione quello che ha creato questa situazione, non stabilendo che per salvare quello che resta si deve perpetuare l'esclusione di una parte di mondo dallo sviluppo.
Un libro politico, senza alcuna pretesa tecnica. Caparròs si presenta per quello che è, un ''voyeur che l'ha trasformato in un mestiere''. Non è un climatologo che deve rispondere alle sue provocazioni, ma un politico. E tutti quelli che si sentono parte di una società globale che deve continuare a porsi domande.
mercoledì 12 ottobre 2011
O la Borsa o la vita - editoriale di "Nigrizia"
…Abbiamo sostenuto un sistema che premia il vizio, il gioco d’azzardo degli speculatori, degli acrobati della finanza, arricchitisi in modo osceno. Ci hanno detto: «Arricchitevi e siate avidi, perché solo così riuscirete a conquistare la felicità in terra». Ci hanno convinto che l’unico modo per lavorare nell’era della globalizzazione era accettare lo sfruttamento, la cancellazione dei diritti. Così, abbiamo sostituito il cittadino con il consumatore, per poi accorgerci che solo a poche sanguisughe è concesso il privilegio di consumare e sperperare in abbondanza. Abbiamo costruito un modello di sviluppo iniquo e socialmente ed ecologicamente insostenibile, quasi fossimo in grado di produrre e consumare all’infinito. E chi per anni ha puntato il dito contro questa verità adulterata è stato battezzato una “Cassandra” da una classe dirigente (politica, economica, intellettuale) senza valori, che non siano quelli quotati in Borsa.
Ma il bubbone doveva scoppiare. Per quanto tempo ancora, infatti, si poteva sopportare una struttura sociale in cui un manager guadagna in un mese lo stipendio che un suo dipendente guadagna in 27 anni? Come si può accettare che l’1% della popolazione italiana (per restare a casa nostra) detenga la stessa percentuale di ricchezza che è ripartita fra il 60% della popolazione che è chiamato ogni giorno a tirare la cinghia? A questo 60%, anche oggi, i tecnocrati di Roma stringono forte il cappio al collo per strizzargli le ultime risorse utili a risanare un bilancio pubblico anoressico.
L’ascensore sociale, sul quale ci avevano promesso che tutti saremmo saliti, è in discesa da tempo. Per questo, cresce la sfiducia della popolazione. Aumenta l’insoddisfazione sorda. La ripartizione iniqua dei costi della crisi e dei provvedimenti di austerity rischia di generare forti tensioni sociali. Gli indignados, la cui giornata internazionale di mobilitazione contro il neoliberismo è stata fissata per il 15 ottobre, aumentano di rabbia e di numero. Capiscono che il default – termine dotto per dire fallimento – del paese ricadrebbe principalmente e ancora una volta sulle loro spalle.
La soluzione sarebbe un’uscita “dolce” dal capitalismo. Ma, come ha scritto Serge Latouche, il teorico della decrescita, implicherebbe «un cambiamento di civiltà, né più né meno ». Non è possibile in tempi stretti? Si adottino, allora, misure che vadano ad accorciare, non ad allungare, le distanze tra gli ultimi e i primi della società. Gli stessi superricchi si sono accorti che, per continuare a fare affari, serve loro una società intatta e con una buona e stabile coesione. Quindi, meglio tasse più alte per loro, secondo la ricetta del miliardario Buffet, che disordini e moti sociali…
Lavorare meno e meglio: chi sfrutta l’uomo uccide la Terra - Julio García Camarero
Penso che il fondamento dell’ecologismo sia, in termini generali, osservare e denunciare i mali che si producono sulla natura, ma senza soffermarsi troppo a considerarne le cause, cioè lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, cosa che implica anche lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo. Per questo motivo, perché contiene queste premesse, il marxismo mi ha sempre interessato. L’ecologismo ha criticato molte volte il marxismo per essere eccessivamente operaista e produttivista, a volte a giusta ragione. Ma personalmente difendo una decrescita correlata al marxismo, che elimini lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il lavoro alienato, il consumismo e il produttivismo. Queste idee si possono ritrovare nel pensiero di Marx.
Decrescita e socialdemocrazia non sono compatibili. La socialdemocrazia propende per il produttivismo. Quanto ai sindacati, potrebbero mettere in atto un grande lavoro per radicare le idee decresciste, ma se fossero dei sindacati che agissero in modo diverso rispetto alle conferedazioni spagnole Ccoo e Ugt. Penso che, invece di rivendicare aumenti salariali per aumentare il consumo, dovrebbero puntare a una riduzione dell’orario di lavoro, con l’obiettivo di trasformare il lavoro in un’attività volontaria e creativa. Il che avrebbe come fine la realizzazione personale e la qualità della vita delle persone. Ci vorrebbero dei sindacati che difendessero questi principi.
È vero che ci sono correnti anglosassoni che mettono l’accento sul ritiro in campagna o nei villaggi, e mettono in evidenza anche strade di tipo mistico. Ma una parte significativa di autori invece fanno questa critica alla proprietà privata dei mezzi di produzione. La denuncia è implicita quando si indica che, come minimo, il 50% di quanto consumiamo sono pseudobisogni, dettati in buona misura dalle mode. E anche quando si critica l’obsolescenza programmata, cioè la produzione di oggetti deperibili a breve scadenza con l’unico fine di non far smettere di funzionare il meccanismo capitalista…
domenica 9 ottobre 2011
la bellezza del cielo
Nick Risinger ha viaggiato oltre 60.000 km attraversando diversi continenti per scattare con la sua macchina fotografica da 5 megapixel ben 37.440 foto della volta celeste. Questo lungo viaggio è stato necessario per catturare nelle foto la visualizzazione del cielo notturno in diversi punti della terra, luoghi dove l'inquinamento luminoso fosse minimo.
L’inquinamento luminoso è un alterazione della quantità naturale di luce presente nell’ambiente notturno provocata dall’immissione di luce artificiale, ad esempio generata dai lampioni delle città. L'inquinamento luminoso ci priva della possibilità di ammirare come realmente sia il cielo di notte.
Dopo questo lungo viaggio e dopo effettuata l'elaborazione delle foto, il risultato è stato quello di ottenere una unica grande foto panoramica interattiva. Viene rapresentato l'intero cielo, e si può "giocare" con la versione interattiva effettuando un zoom nella immagine o apponendo sulla foto una mappa che rappresenta le costellazioni. Le immagini sono nitide e chiare, molto ricche di dettagli
Ricordiamo che già Google Sky http://www.google.com/intl/it/sky/ permette da anni di effettuare una tale visualizzazione del cielo. Il sistema scarica dinamicamente solo le parti dell'immagine che si sta guardando, è impressionante la quantità di lavoro che è stata necessaria per questa realizzazione
Potete visitare questa fantastica foto qui
mercoledì 5 ottobre 2011
Teologia degli Animali - Paolo De Benedetti
Tuttavia il libro vale la gioia di essere letto, pieno com’è di acute riflessioni, toccanti testimonianze, sacrosante retrocessioni dell’essere umano da Signore della Terra a creatura fra le creature…