’Time Magazine’ lo annovera tra le dieci idee dell’anno che rivoluzioneranno il mondo.Qualcuno lo chiama collaborative consumption, altri parlano di sharing economy. È un concetto nuovo e radicale che, se applicato su larga scala, potrebbe davvero cambiare le regole delle nostre società.
Per capire di cosa si tratta basta guardarsi intorno: possediamo decine di oggetti che non ci servono o che hanno smesso di servirci, siamo circondati da cose che non usiamo o che usiamo molto raramente. Cose che possiamo dare in affitto, barattare, regalare o condividere. E non si tratta solo di oggetti: abbiamo spazi, tempo, capacità, conoscenze con un potenziale inutilizzato.
Il collaborative consumption si basa sull’idea che tutto ciò possa essere utilizzato collettivamente. Di fatto si tratta di sostituire l’idea del possesso con quella dellacondivisione. Un concetto che getta i semi per una società post-consumista, con vantaggi economici, ambientali e sociali. Alla base c’è internet, c’è lo sfruttare al massimo il potenziale di rinnovamento della rete, l’applicazione dell’idea dei social media alle abitudini di consumo.
I primi esempi di collaborative consumption nascono alla fine degli anni ‘90 con lacondivisione di prodotti culturali. Ad aprire le porte a quest’idea è stato Napster, il primo sistema per la condivisione di musica, online che ha reso l’acquisto di cd un’abitudine obsoleta. Open source, file sharing e social media si pongono sulla scia della condivisione, che si tratti di programmi per il computer, prodotti culturali o esperienze di vita. La parola chiave è peer-to-peer ovvero da pari a pari, una struttura, nata nell’ambito dell’informatica, che ribalta l’ordine gerarchico in favore dello scambio su tutti i livelli.
Nel giro di pochi anni sono nate decine di siti dove poter consumare musica, film, immagini, software, e-book senza bisogno di pagare. Le regole del copyright hanno iniziato a traballare. Dai prodotti culturali ai generi di largo consumo il passo è breve. Aggiungendo al mix la capacità dei social media di espandere il proprio potenziale sociale e creare connessioni in base a interessi o posizione geografica, il risultato è uno stile di consumo rivoluzionario. Oggi esistono decine di servizi attraverso cui si può ottenere qualsiasi cosa pagando poco o niente. Il car e il bike sharing, i servizi per lo scambio di casa, il couchsurfing, Airbnb, Freecycle, le banche del tempo, gli swap market, tutto fa parte della stessa tendenza, di una rivoluzione dei consumi che antepone l’utilitarismo della fruizione al mero piacere di possedere. Al contrario di quanto avveniva nella società del boom economico, il fine non è accumulare, bensì avere a disposizione beni e servizi nel posto giusto al momento giusto. Allo stesso tempo, il reimmettere quei beni su un mercato secondario (di risulta, potremmo dire), crea valore aggiunto. Un valore che viene generato su cose già acquistate e che già possediamo. La riduzione dei volumi di beni acquistati – e quindi immessi sul mercato – ha degli evidenti vantaggi ambientali. Inoltre lo scambio, la comunicazione e il consumo collaborativo, creano e rafforzano le relazioni sociali, rovesciando il presupposto individualistico del consumerismo...
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