domenica 24 settembre 2023

DIMISSIONI DI MASSA DI MEDICI E INFERMIERI – LA FUGA METTE IN GINOCCHIO LA SANITA’ PUBBLICA - Raffaele Varvara


Assimilando il nostro SSN a un paziente in codice rosso, diremmo: “emorragia massiva con compromissione emodinamica”. Il sangue sono gli esercenti le professioni sanitarie, l’emorragia è la fuga dei sanitari dal pubblico verso il privato e la compromissione emodinamica sono le gravi conseguenze sistemiche che questo esodo provoca sulla copertura dei bisogni di salute della popolazione.

Prendiamo ad esempio l’ospedale Manzoni di Lecco dove si contano 1,6 abbandoni al giorno a gennaio 2022, 1,5 a febbraio 2022″, riferisce Francesco Scorzelli, 63 anni, infermiere da 37, dirigente sindacale Usb e delegato nella Rsu dell’ospedale di Lecco, che ha spulciato una per una tutte le delibere e le determine per tirare la somma della conta delle defezioni. Nel 2021 gli “abbandoni” sono stati 321 e il trend del 2022 è addirittura superiore. “I concorsi di ogni ordine e grado vengono banditi, non solo per i tecnici di radiologia, anche per infermieri, medici, tecnici di laboratorio, amministrativi, ma rapidamente le graduatorie vengono consumate – prosegue il sindacalista -. Per quanto riguarda quello degli infermieri, in pochi mesi, siamo già arrivati alla 400ª posizione in graduatoria”. Significa che non si riesce a rimpiazzare chi se ne va perché i nuovi arrivi spesso durano poco e non vogliono terminare nemmeno il periodo di prova. “E’ da tempo che denunciamo la scarsissima volontà di rendere “appetibile“ lavorare nelle strutture sanitarie pubbliche della nostra provincia”, spiega il dirigente dell’Usb dell’ospedale di Lecco(1).

Non è appetibile di certo un corpo professionale che, dopo la pandemia, soffre di quello che possiamo ribattezzare “disturbo post-traumatico da stress di categoria”. A fornire la radiografia di come stanno i nostri medici e infermieri è la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari e presentata a Milano al 28esimo Congresso Nazionale della Federazione.

In totale a dichiararsi in “burnout” è il 49,6% del campione ma la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri. E in entrambi i casi l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e la famiglia in genere.
Ad influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Fatto è che proiettando i dati più che significativi delle medicine interne sull’universo mondo dei professionisti della nostra sanità pubblica abbiamo oltre 56mila medici e 125.500 infermieri che lavorano in burnout. E che per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore. Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno nel 36% dei camici bianchi in burnout. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri medici da un totale di oltre 20mila errori gravi.

Discorso analogo per gli infermieri. Qui una serie di studi internazionali raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima siano addirittura il 57% gli errori clinici più o meno gravi commessi nell’arco di un anno. Dato che applicato sul numero degli infermieri pubblici operanti in Italia in burnout da altri 71.500 errori in fase di assistenza per un totale di almeno di 92mila, sicuramente qualcuno in più considerando che uno stesso operatore può essere incappato in più di un errore nel corso dell’anno (2).

Non solo errori, nella mia pratica clinica ho constatato empiricamente che il burnout dei sanitari ha un impatto sui processi di cura: non si cura la causa di una malattia andando alla ricerca dei fattori scatenanti profondi, ma si prescrivono decine e decine di farmaci allo scopo di gestire superficialmente i sintomi, mettendo pezze su pezze ai problemi di salute sottostanti. Noto inoltre come rispetto a tre anni fa, oggi c’è una certa facilità a intraprendere la strada della palliazione, al primo aggravamento dello stato clinico di una persona.

Il burnout dei sanitari non è un problema categoriale, del singolo medico o del singolo infermiere bensì un problema di sanità pubblica poichè ha un impatto sugli esiti di salute degli assistiti. Per questo motivo, alcuni ordini professionali stanno organizzando percorsi di cura per i professionisti sanitari. Tuttavia l’ansia, la depressione, l’irritabilità, la mancanza di energie motivazionali, vengono curate esclusivamente in maniera individuale-biografico-familiare; questi percorsi di cura non considerano che sta crollando un intero sistema di mondo e che di conseguenza il peso di quei disagi non può essere affrontato riduzionisticamente in maniera individuale, addossando la colpa al singolo professionista sanitario. Questi processi di elaborazione, quasi mai coinvolgono, i fattori storici e politici che influiscono in maniera determinante sulla salute dei sanitari e rappresentano le con-cause delle loro sofferenze. Se non si esprimono questi collegamenti, si rischia di far soffrire e di far sopportare l’enorme drammaticità della questione collettiva, come se fosse solo un problema di natura individuale, astratta e sciolta dai legami con i fattori storico-politici contemporanei. Per curare chi cura, servono percorsi di condivisione terapeutica, di socializzazione e politicizzazione del dolore, per collegare quei disagi alla fase storico-collettiva che viviamo e guarire con una terapia sistemica.

La terapia per fermare l’emorragia e il burnout che proponiamo al governo è il rifinanziamento del fondo sanitario nazionale per reggere la concorrenza con il privato. Le misure del governo per la sanità in manovra finanziaria sono, per tornare ai paragoni con la clinica, come un antibiotico sottodosato per un paziente in sepsi conclamata, ovvero nulle rispetto al fabbisogno.

Noi suggeriamo al ministro Schillaci la tassazione degli extraprofitti delle case farmaceutiche per smaltire le lunghissime liste d’attesa e rianimare il corpo professionale delle professioni sanitarie.

NOTE

  1. https://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/operatori-sanitari-in-fuga-appena-arrivati-gia-se-ne-vanno-5d7b9135
  2. https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/sanita/2023/05/06/ansa/il-burnout-dei-sanitari-causa-100mila-errori-lanno_87e232c5-6954-44c4-99bc-429af5f6ff61.html

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sabato 23 settembre 2023

Il lavoro da mille euro al giorno: così i privati si mangiano gli ospedali pubblici - Daniele Tempera

 

Secondo la Corte dei Conti dopo la pandemia i conti della sanità pubblica sono fuori controllo. Non per nuove assunzioni o ritocchi agli stipendi dei medici, rimasti spesso al palo, ma perché le commesse pubbliche sono andate a cooperative e società private che hanno raddoppiato il fatturato incrementando l’uso, sempre più privatistico, delle strutture pubbliche

 

“Si è cominciato con i consulenti. All’inizio si trattava di medici in pensione che davano una mano nei reparti. Oggi questa prassi è diventata sistematica: senza esterni non si va avanti”. È un grido di dolore, quello di M., medico oggi in pensione, ma che ha lavorato a lungo nell’ospedale di Castiglione del Lago, comune di quindicimila abitanti sul Lago Trasimeno, in provincia di Perugia. “I colleghi mi spiegano che impiegare professionisti a gettone è l’unico modo per mandare avanti i pronto soccorso e mi raccontano di guadagni assurdi per turni di 12 ore e più – racconta ancora a Today.it – La domanda che io faccio è: come è possibile fare queste turnazioni nella medicina di emergenza e che un medico in malattia lavori come gettonista in un altro ospedale pubblico senza che nessuno se ne accorga? E soprattutto dov’è chi deve controllare sulla qualità del servizio e sui lavoratori?”.

L’ospedale di Castiglione del Lago è finito nell’occhio del ciclone nell’ultima inchiesta dei carabinieri del Nas sullo scandalo delle liste di attesa pilotate. Qui i militari hanno scoperto infatti una radiologa, dipendente della Asl ma formalmente in malattia, che lavorava come medico a gettone in ospedali veneti per conto di due cooperative. Domicilio in Spagna, per evitare così le visite fiscali, certificati di malattia firmati da un medico probabilmente connivente e turni di lavoro di 12 ore profumatamente pagati. Il tutto mentre diventavano sempre più lunghe le liste di attesa per accertamenti diagnostici nell’ospedale dove doveva lavorare. Il caso insospettisce prima i vertici dell’ospedale e successivamente i nuclei anti-sofisticazione dei carabinieri che riescono a ricostruire le strategie della donna e indagarla per truffa. 

Si tratta di una delle storie più emblematiche emerse dall’inchiesta. La dimostrazione di come il business dei medici a gettone sia stato, nel post Covid, particolarmente ghiotto per i privati e non privo di ripercussioni per la sanità pubblica. Anche quando viene effettuato, come nella stragrande maggioranza dei casi, alla luce del sole. 

Un business fiorente per pochi che però paghiamo tutti 

Quando parliamo di medici a gettone parliamo di professionisti che lavorano a cottimo e guadagnano quasi sempre – a parità di ore lavorate – più degli assunti. Per un solo turno di lavoro i ‘medici in affitto’ possono arrivare anche a più di 1.000 euro, fino a 3.600 euro per 48 ore di lavoro in caso di turni accorpati. E a mancare sono spesso standard orari e qualitativi, con tutti i rischi che ne conseguono, anche per i pazienti. Vengono spesso reclutati in chat su internet da cooperative o società di consulenza che, da anni, hanno fiutato il business e lo cavalcano legittimamente.

Per rendersene conto è possibile visionare, online, le visure di alcune delle aziende che forniscono servizi di intermediazione sanitaria. Ci si accorge così di incassi quasi raddoppiati nel giro di 3 anni. È il caso, ad esempio, della ‘Medical Line Consulting’, società di consulenza romana, a cui sono stati affidati, tra gli altri, i turni dei pronto soccorso di Fondi, Latina e Terracina per sopperire alla drammatica carenza di personale (l’ultima delibera da 100mila euro firmata il 29 maggio 2023 dalla Asl di Latina per il solo servizio estivo). La società fa registrare un fatturato che supera i 20 milioni di euro nel 2022 e che raddoppiato rispetto al pre-pandemia. Ma sono molte le cooperative nate per fornire prestazioni di tipo medico-infermieristico dal 2020 a oggi. Ad alimentare il business c’è un giro di affari considerevole alimentato dai soldi pubblici, dalla drammatica e strutturale carenza di personale sanitario e da un paradosso tutto italiano che si chiama “tetto di spesa”. 

 

Lo spiega in modo esaustivo Pierino Di Silverio, segretario di Anaoo Assomed, il più rappresentativo sindacato di categoria per medici e dirigenti medici: “Si ricorre ai gettonisti perché c’è un tetto di spesa rigido per l’assunzione di personale che impedisce alle aziende ospedaliere, pur se volessero, di assumere. I medici a gettone ricadono invece in una voce denominata di ‘beni e servizi’, non sottoposta a queste limitazioni”. Il paradosso è che, per un semplice gioco amministrativo delle tre carte, spendiamo tutti di più, ottenendo servizi di qualità inferiore. 

Il report della Corte dei Conti: boom delle consulenze negli ultimi 3 anni 

A certificarlo c’è il report annuale della Corte dei Conti sul monitoraggio della spesa sanitaria. Per rendersi conto di quanto poco ci sono convenuti i professionisti a gettone in sanità è sufficiente guardare a due voci di spesa: da un lato il costo del personale, dall’altro ai cosiddetti “costi intermedi” per beni e servizi. Se i fondi statati destinati ai redditi da lavoro dipendente nella Sanità sono aumentati del 2% dal 2013, quelli per “i costi intermedi” sono aumentati del 10%. Nel corso di quasi dieci anni si passa così da 30 a 43 miliardi di euro di spesa destinati a “beni e servizi”.

Componente

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

Redditi da lavoro dipendente

-1,3%

-0,7%

-1,3%

-0,7%

-0,1%

2,5%

2,7%

1,8%

2,2%

Consumi intermedi

-1,4%

3,9%

3,1%

4,2%

3,0%

2,7%

0,1%

11,2%

10,1%

Spesa sanitaria corrente di CN

-0,6%

1,7%

0,3%

0,9%

1,1%

2,0%

1,1%

6,1%

4,2%

Una percentuale enorme su cui sicuramente incidono una grande pluralità di costi e attrezzature mediche, necessarie soprattutto nei difficili anni dalla pandemia, ma influenzata sicuramente anche dal business delle consulenze d’oro nella sanità. A scriverlo sono nero su bianco gli stessi magistrati contabili: “la crescita dei consumi intermedi è influenzata anche dal consistente ricorso alle forme di lavoro flessibile, previsto da specifiche disposizioni normative emergenziali intervenute nell’ultimo biennio”. Soldi su cui si sarebbe potuto forse assumere e formare nuovo personale, ma che si è preferito utilizzare per pagare, a peso d’oro, cooperative e aziende private. 

Un business fiorente di cui si sono avvantaggiati in pochi e che ha costituito spesso un problema, sia in termine di qualità che di spese, anche indirette, come spiega Di Silverio: “Con i medici a gettone si spende di più anche in maniera indiretta, anche perché non si può avere la continuità delle cure con un medico che lavora a cottimo – osserva Di Saverio – Se si avvicendano due medici, il secondo potrebbe chiedere al paziente di svolgere altri esami perché non conosce la sua storia clinica. Il rischio è quello di una lievitazione delle spese diagnostiche e terapeutiche” spiega a Today.it il segretario di Anaoo Assomed. 

La stretta sul personale a gettone del Governo e i problemi aperti 

Un’evidenza di cui si è reso conto anche il Governo che dallo scorso aprile ha predisposto una stretta sull’utilizzo dei cosiddetti gettonisti nella sanità con il decreto bollette. I medici a gettone possono ora essere utilizzati solo in caso di necessità e urgenza, in un’unica occasione e senza possibilità di proroga, dopo aver attentamente verificato che sia impossibile utilizzare personale già in servizio. La commessa non può durare più di dodici mesi e viene istituito un tetto alla loro retribuzione. Inizialmente si pensava di confinarli ai pronto soccorso, ma l’endemica carenza di personale medico ha indotto il governo a ritornare sui suoi passi ed estendere la possibilità del loro utilizzo a tutti i reparti. 

 

È presto per capire quali saranno gli effetti della norma: attualmente sono essenziali in molte strutture ospedaliere. Solo negli ospedali veneti questa tipologia di professionisti ha coperto circa 42mila turni . Ed è proprio nei pronto soccorso dove vengono maggiormente utilizzati. 

“Nei pronto soccorso c’è più presenza di medici a gettone perché c’è più carenza di personale. È un settore che è molto gravato, in questa fase storica, dai rischi correlati alle aggressioni, dalle potenziali denunce e da un carico di lavoro impressionante. Un medico di pronto soccorso deve gestire più di 90 pazienti che sono spesso critici o acuti che potrebbero cambiare codice, ovvero aggravarsi, da un momento all’altro” spiega Di Salverio presidente di Anaoo-Assomed. 

 

“Il decreto del governo è un segnale, ma è al momento una goccia nel mare. Il problema è che attualmente senza queste figure non si va avanti” gli fa eco Antonio Voza, presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza, che estende il problema a tutto il nostro sistema sanitario. “È un problema generalizzato a 360 gradi, noi siamo la rosa del vigneto, i primi ad ammalarci. Ma è tutto il sistema ospedaliero a essere in crisi. Ci sono sempre più specialisti che lasciano il lavoro pubblico per gli ambulatori privati” aggiunge Voza.

Quello che è certo è che più si fa ricorso a queste figure, più a risentirne è la qualità con conseguenze che possono essere anche drammatiche: “Un’organizzazione, come quella della medicina di emergenza, che fa ricorso sistematico a professionisti delle cooperative è sicuramente più debole e avrà una qualità inferiore in un campo molto delicato dove diagnosticare una patologia immediatamente può salvare una vita” chiosa.

È indubbio però che, quando parliamo di medicina d’urgenza, ci troviamo di fronte medici spesso sottoposti a turni più stressanti rispetto al resto del personale medico e che spesso non hanno le stesse opportunità di arrotondare che hanno gli altri con le visite intra ed extra-moenia. Due caratteristiche che rendono la professione sempre meno appetibile da parte dei giovani e il ricorso ad esterni sempre più probabile. 

Strutture pubbliche, affari privati 

Ma è anche il proliferare delle visite (pienamente legittime) svolte “privatamente” da dipendenti delle Asl all’interno di strutture pubbliche o convenzionate a segnalarci che la presenza di affari privati in strutture pubbliche è un problema complesso. Sono sempre i Nas, nel corso della già citata inchiesta sulle liste d’attesa, a segnalare la storia di un dirigente medico responsabile di un ambulatorio di gastroenterologia e colonscopia di Roma. Nonostante le liste pubbliche con ticket fossero bloccate da mesi, il medico esercitava le stesse prestazioni in attività intramoenia extramuraria -regolarmente autorizzata – presso un poliambulatorio privato con una programmazione fino ad 8 esami giornalieri. Tradotto: l’unico modo per effettuare un accertamento diagnostico, spesso essenziale per la salute, era pagare. 

“Tra i suggerimenti che abbiamo sottoposto al ministero c’è anche quello di calibrare le visite in intramoenia ed extramoenia – sottolinea Dario Praturlon, portavoce dei Nas commentando gli esiti dell’inchiesta degli scorsi giorni – intendiamoci, è tutto alla luce del sole, e non c’è nessun profilo penale contestato, resta da considerare se sia deontologico” spiega ancora Praturlon.

“È paradossale che non ci sia disponibilità di prestazioni col ticket e poi ci si possa far visitare in intramoenia, dove il medico percepisce guadagni extra utilizzando la struttura pubblica o in un’altra struttura convenzionata dall’Asl”.

L’utente fa di fatto una visita privata, ma invece di ritrovarsi sei mesi di attesa attende pochi giorni, a patto di pagare. Una situazione ben testimoniata da Nord a Sud con inchieste portate avanti anche dal nostro gruppo editoriale. 

 

C’è poi il problema della mancata adesione di cliniche e ambulatori privati, già convenzionati, al sistema di prenotazione unico delle aziende sanitarie o a livello regionale. Una scelta dettata da convenienze economiche, ma che riduce la platea di strutture utili per l’erogazione delle prestazioni mediche specialistiche e diagnostiche. Nel Lazio dovrebbero coprire il 70% delle prestazioni, nella realtà ne coprono solo il 10%. “Abbiamo notato come in molte Regioni non sempre nel Cup ci siano tutte le strutture private accreditate: il paziente non ha a disposizione tutta la platea di strutture, devono chiamarle direttamente. In molte Regioni questo aspetto è un problema” spiega ancora Dario Praturlon a Today.it.

Eppure le convenzioni sono fatte in forma sussidiaria per supportare un servizio pubblico che spezzo zoppica. Segno che quello dei medici a gettone è solo la punta dell’iceberg di un Sistema Sanitario Nazionale sempre più ostaggio di logiche più privatistiche che pubbliche, che stanno trasformando lentamente un diritto costituzionale in un privilegio. 

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venerdì 22 settembre 2023

Brasile: Vittoria storica per i popoli indigeni - la Corte Suprema rigetta il Marco Temporal

 

Il settore agroalimentare, la “bancada ruralista” e i loro alleati hanno perso un’importante battaglia nella loro guerra aperta contro i diritti dei popoli indigeni: la Corte Suprema brasiliana ha infatti respinto la tesi del Marco Temporal (o Limite temporale). La bocciatura è una vittoria storica per i popoli indigeni del Brasile e una conferma dei diritti indigeni garantiti dalla Costituzione Federale.

Nove giudici hanno votato contro il Marco Temporal (Limite temporale) e due a favore. Bisognerà ora attendere il testo definitivo della sentenza per valutare quali tesi e implicazioni potrebbero emergere dai voti di tutti i giudici.

La proposta era stata promossa con forza dalla potente lobby dell’agrobusiness del paese e mirava a legalizzare il furto di ampie aree di terra indigena. 

Secondo il Marco Temporal (Limite Temporale), i popoli indigeni impossibilitati a dimostrare di abitare fisicamente nelle loro terre alla data del 5 ottobre 1988 (giorno in cui fu promulgata la Costituzione brasiliana), avrebbero perso il diritto di vedere quelle terre demarcate (ovvero mappate e protette ufficialmente). 

Se la Corte avesse approvato la proposta, il riconoscimento dei diritti indigeni sarebbe tornato indietro di decenni: centinaia di migliaia di indigeni avrebbero potuto essere espropriati delle loro terre, e i popoli incontattati avrebbero rischiato lo sterminio. 

Contario alla proposta del Marco Temporal, il giudice Edson Fachin ha dichiarato: “Come si può vedere dallo stesso testo costituzionale, i diritti territoriali indigeni sono riconosciuti dalla Costituzione, ma preesistono alla promulgazione della Costituzione stessa”.

"Per noi è un momento importante di lotta e di festa” ha commentato Aty Guasu – l’Assemblea dei Guarani Kaiowá. “Stiamo piangendo di gioia. Oggi canteremo il canto della vita e danzeremo la danza dell'allegria. La Corte Suprema Federale sta dimostrando di avere a cuore le nostre vite e di essere contro il genocidio. Sta ascoltando il grido dei popoli indigeni del Brasile. Ora continuiamo la nostra lotta per la demarcazione delle nostre terre, fermi e forti come sempre." 

"Vittoria! I popoli indigeni hanno sconfitto il Marco Temporal. Restiamo saldi. I diritti non possono essere negoziati" ha commentato l'APIB, organizzazione nazionale degli indigeni.

Il movimento indigeno e i suoi alleati, compresa Survival International, hanno lottato per anni affinché la tesi del Marco Temporal venisse abbandonata. Nel corso degli anni che la Corte Suprema ha impiegato per esprimere il suo verdetto, in Brasile e nel mondo si sono svolte massicce proteste contro questa proposta e contro la bozza del progetto di legge PL490 (ora al Senato come PL2903), che contiene una serie di politiche anti-indigene tra cui lo stesso Marco Temporal. 

Condannando la proposta del Marco Temporal, Woie Kriri Patte, del popolo indigeno Xokleng, aveva dichiarato: “È una pistola puntata alle nostre tempie. Se approvato, sparerà. Sarà lo sterminio dei popoli indigeni, lo sterminio dei nostri territori. Il Marco Temporal viene da quelle stesse persone che commettono genocidi… Noi non accettiamo il Marco Temporal.” La lotta del popolo Xokleng per riconquistare parte del territorio Indigeno Ibirama La Klãnõ era diventato un banco di prova con ripercussioni generali.

È una vittoria storica, cruciale per i popoli indigeni del Brasile e una grande sconfitta per la lobby dell’agrobusiness” ha dichiarato Fiona Watson, Direttrice del dipartimento Advocacy di Survival. “Il Marco Temporal era uno stratagemma pensato per legalizzare il furto di milioni di ettari di terra indigena. Se fosse stato approvato, decine di popoli ne sarebbero usciti devastati – come migliaia di Guarani e i Kawahiva incontattati.” 

 “La proposta del Marco Temporal era parte di un vero e proprio assalto ai popoli indigeni del Brasile e alla foresta amazzonica, promosso con forza dall’ex presidente Bolsonaro e dai suoi alleati. Per questo è così importante che sia stato rigettato, non solo per i popoli indigeni ma anche per la lotta mondiale ai cambiamenti climatici.”

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giovedì 21 settembre 2023

Milano: attivisti di Extinction Rebellion perquisiti in casa, avevano attaccato dei volantini alla RAI

 

Ieri, alle 7 del mattino, due attivisti di Extinction Rebellion sono stati perquisiti nelle loro abitazioni da diversi agenti di polizia. Perquisizioni corporali, sequestro di cellulari e pc, e la notifica della denuncia per imbrattamento: tutto questo per aver incollato alcuni mesi fa, con acqua e farina, alcuni volantini alla sede di RAI Pubblicità SpA.

Alle sette di ieri mattina, 19 settembre, gli agenti della polizia di Milano e Pavia si sono presentati presso le abitazioni di due attivisti di Extinction Rebellion per eseguire una perquisizione e consegnare denunce per imbrattamento. Sono state eseguite anche perquisizioni corporali, perquisizioni delle auto e a entrambi sono stati sequestrati i telefoni e i personal computer. “Sono entrati in casa e hanno iniziato a spostare tutto quanto – dichiara Skar – Hanno perquisito anche la mia macchina e ho potuto andare in bagno solo scortata. Tutto questo per aver attaccato con acqua e farina, cinque mesi fa, dei volantini in una sede RAI di Milano, per chiedere un’informazione libera dalle multinazionali del fossile”.

I reati appaiono sproporzionati rispetto ai fatti contestati. Infatti Enrico e Skar, il 14 aprile, avevano semplicemente incollato alcuni manifesti, con farina e acqua, alle vetrate della sede di RAI Pubblicità S.p.A. di corso Sempione. L’obiettivo dell’azione era esortare la RAI a dare un’informazione più completa e capillare sulla crisi ecoclimatica e a rivedere i propri legami con ENI, azienda che continua ad investire nell’estrazione di petrolio e gas, ma che attraverso pubblicità e sponsorizzazioni contribuisce ai bilanci della televisione pubblica italiana. Sponsorizzazioni delle quali non è noto l’ammontare. Nel gennaio 2022, sollecitata dal quotidiano Domani sulla sponsorizzazione di ENI per il Festival di Sanremo, la Rai aveva ritenuto di non rendere noto la cifra della sponsorizzazione a sei zampe.

Non è la prima volta che a Milano accade un episodio simile. A maggio 2022, diversi agenti delle forze dell’ordine hanno perquisito e denunciato alcuni studenti delle scuole superiori, in seguito alle manifestazioni contro le morti dell’alternanza scuola-lavoro, e alcuni attivisti di Fridays For Future, per aver scritto “Il gas fossile uccide” presso una sede di Gazprom. “Quello che stiamo osservando in tutta Italia nei confronti dei movimenti climatici, è un uso improprio del codice penale” – dichiara Anna – “Reati pensati per colpire la criminalità organizzata o chi distrugge opere d’arte e il paesaggio, sono strumentalmente rivolti contro attivisti che pongono in essere azioni non violente e sempre reversibili per portare l’attenzione sulla gravità della crisi ecoclimatica”. L’inasprimento della repressione nei confronti degli attivisti climatici è una tendenza in atto in tutta Europa e sotto la lente dell’ONU. Il 13 aprile, l’inviato speciale per i difensori dell’ambiente, Michel Forst, nel corso di un convegno organizzato a Torino da Amnesty International ha dichiarato: “La repressione sta diventando la risposta più facile al dissenso” e ha continuato “Bisogna comprendere le cause per cui si decide di andare contro la legge. Alle volte, i giudici si concentrano sull’azione in sé e non sulle ragioni profonde che la muovono”.

In un mondo sempre più esposto agli effetti della crisi climatica, si può scegliere se dare risposte politiche adeguate o se reprimere chi porta una voce di allarme e dissenso. In Italia, ancora una volta, la risposta sembra chiara.

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mercoledì 20 settembre 2023

IL RAPPORTO “SEGRETO” DI PFIZER SUL VACCINO COVID. OLTRE L’OMICIDIO COLPOSO. LE PROVE SONO SCHIACCIANTI - Michel Chossudovsky

 

Il rapporto confidenziale è una bomba. Il vaccino è stato lanciato a metà dicembre 2020. Alla fine di febbraio 2021, “Pfizer aveva già ricevuto più di 1.200 segnalazioni di decessi presumibilmente causati dal vaccino oltre a decine di migliaia di eventi avversi, tra cui 23 casi di aborti spontanei su 270 gravidanze e oltre 2.000 segnalazioni di disturbi cardiaci”.

Questo rapporto confidenziale di Pfizer fornisce dati su decessi ed eventi avversi registrati da Pfizer dall’inizio del progetto vaccino nel dicembre 2020 alla fine di febbraio 2021, vale a dire un periodo molto breve (al massimo due mesi e mezzo).

I dati da metà dicembre 2020 a fine febbraio 2021 confermano inequivocabilmente “l’omicidio colposo”. Sulla base delle prove, Pfizer aveva la responsabilità di annullare e ritirare immediatamente il “vaccino”.

La commercializzazione mondiale del vaccino Covid-19 da parte di Pfizer oltre il 28 febbraio 2021 non è più un “atto di omicidio colposo”.

Un omicidio in contrapposizione a un omicidio colposo implica “un intento criminale”.

Il vaccino Covid-19 di Pfizer costituisce un atto criminale. Da un punto di vista legale si tratta di un “atto di omicidio” applicato in tutto il mondo a una popolazione target di 8 miliardi di persone. Finora oltre il 60% della popolazione mondiale è stata vaccinata contro il Covid-19.

 

Cliccate qui per leggere il report completo della Pfizer:  5.3.6-postmarketing-experience.pdf (phmpt.org)

 

… La video intervista che segue con il Prof. Michel Chossudovsky riguarda il rapporto confidenziale di Pfizer pubblicato come parte di una procedura per la libertà di informazione (FOI).

Ciò che è contenuto nel rapporto “confidenziale” di Pfizer sono prove dettagliate sugli impatti del “vaccino” sulla mortalità e sulla morbilità. Questi dati che provengono dalla “bocca di cavallo” possono ora essere utilizzati per affrontare e formulare procedure legali contro Big Pharma, i governi, l’OMS e i media…

 

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martedì 19 settembre 2023

Torri eoliche al posto degli alberi - Grig

Delirante realtà della presunta lotta ai cambiamenti climatici.

Da un lato la superficie coperta da boschi in Scozia raggiunge quasi il 18% del territorio (era soltanto il 6% un secolo fa), dall’altro ben 15,7 milioni di alberi sono stati abbattuti per far posto a centrali eoliche dal 2000.

Ben 7.858 ettari di foresta in meno, con effetti fortemente negativi proprio sul fronte del contrasto ai cambiamenti climatici.

Semplicemente demenziale.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)da L’Indipendente15 settembre 2023

In Scozia sono stati abbattuti 16 milioni di alberi per far posto all’eolico. (Simone Valeri)

15,7 milioni. Questo è il numero di alberi che in Scozia è stato abbattuto, dal 2000 ad oggi, per far posto allo sviluppo dei parchi eolici nel paese. A renderlo noto è stato lo stesso segretario agli Affari rurali del governo scozzese, il quale ha affermato di aver dato vita a dei veri e propri piani di abbattimento di alberi al fine di costruire le turbine per la generazione dell’energia pulita su terreni pubblici. Il paradosso vuole che la controversa iniziativa rientri nei piani dell’amministrazione per rendere la Scozia a zero emissioni entro il prossimo decennio. Il governo, nei prossimi anni, punta infatti ad aggiungere circa 20.000 turbine di modo da poter generare un totale di 20 Gigawatt (GW) di energia pulita. Una strategia ambiziosa in fatto di riduzione delle emissioni climalteranti che tuttavia non spiega e non giustifica la necessità di abbattere, a conti fatti, l’equivalente di una vera e propria foresta. Dall’inizio del secolo corrente, con una media di 2.000 alberi per ettaro, è stato infatti deforestato il corrispettivo di almeno 7.858 ettari.


Gli alberi in questione sarebbero stati abbattuti su terreni gestiti dall’agenzia governativa Forestry and Land Scotland, incaricata proprio di gestire le foreste e i terreni del paese britannico. Al momento non è chiaro perché si sia rivelato necessario abbattere una quantità così elevata di alberi, ma certo è che la notizia ha scatenato più di una protesta. L’amministrazione vigente, al riguardo, si è difesa insistendo sul fatto che il tutto è stato pianificato nel rispetto dei boschi e pensando anche ad “una messa a dimora compensativa altrove”. L’agenzia ha infatti risposto alle critiche affermando di aver piantato più di 500 milioni di alberi dal 2000. Vero o no, il messaggio che passa alla popolazione non è comunque dei migliori. La conversione alla sostenibilità dovrebbe, per principio e coerenza, andare sempre di pari passo col rispetto della natura, delle popolazioni locali e delle risorse.

Così, agli occhi dell’opinione pubblica, la vicenda rimane inconcepibile. Promuovere la transizione verde deforestando è, comunque la si voglia vedere, un controsenso. Molte specie arboree hanno infatti spiccate capacità di sequestro del carbonio il che significa che già di per sé contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico in atto. Oltre a questo gli alberi, specie se nativi del luogo, assolvono altre importanti funzioni ecologiche, dalla protezione dell’erosione al supporto alla fauna selvatica. E tanto più un albero è maturo tanto più è in grado di svolgere questi ed altri ruoli ecosistemici essenziali alla biodiversità e alle società umane. Non a caso, chi ha criticato duramente questa politica ha sottolineato che la piantumazione di nuovi alberi, al contrario, richiede uno sforzo non indifferente e una gestione attiva, non sempre attuata. Il risultato è che, laddove un esemplare riesca ad arrivare al punto di autosostenersi, passano anni prima che l’equilibrio ecologico venga ripristinato. Basti pensare che sono necessari numerosi alberi giovani per assorbire la stessa quantità di carbonio di un solo albero maturo.

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domenica 17 settembre 2023

Speculazione energetica in Sardegna, una classe politica impalpabile.

 

Che in Sardegna vi sia una scandalosa speculazione energetica ormai lo sanno anche le pietre.

Lo scorso 7 giugno 2023 l’Assessore della Difesa dell’Ambiente della Regione autonoma della Sardegna Marco Porcu aveva dichiarato in audizione presso la Commissione permanente “Attività produttive” del Consiglio regionale che “sono circa 300 le richieste presentate dalle società energetiche a ministero e Regione per la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili … Ne arrivano circa 30/40 a settimana”.

Gli ultimi dati disponibili indicavano che le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 agosto 2021 risultavano complessivamente pari a 5.464 MW di energia eolica + altri 10.098 MW di energia solare fotovoltaica, cioè 15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile, a cui devono sommarsi i venti progetti per centrali eoliche offshore finora presentati, che dichiarano una potenza pari a 13.890 MW.

In tutto sono 29.451 MW, cioè più di quindici volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021).

Energia che supera abbondantemente i fabbisogni locali (già oggi circa il 40% dell’energia prodotta in Sardegna viene esportata nella Penisola), che non può esser conservata (i sistemi di conservazione sono scarsi), che non può esser trasferita verso la Penisola (anche quando andrà a regime, fra alcuni anni, il Thyrrenian Link i tre cavidotti avranno complessivamente circa 2 mila MW di potenza, non di più), che dovrà comunque esser pagata dallo Stato (cioè da tutti noi) alle Società energetiche.

Consumo del suolo, crescente dissesto idrogeologico, land grabbingespropri, territori – come la Marmilla – disputati come un osso fra i Cani.

E in questa drammatica situazione qual è il massimo risultato che riesce a produrre l’Assemblea elettiva sarda?

Dopo un’istanza di indagine conoscitiva da parte del P.D., un pietoso ordine del giorno che impegna il Presidente della Regione autonoma della Sardegna, l’audace e indomito Christian Solinas, a pietire al Governo nazionale un’improbabilissima moratoria del rilascio di nuove autorizzazioni per impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili.

Insomma, il vuoto cosmico.

In tutto questo, lascia piuttosto interdetti la ritrosia a intervenire nei relativi procedimenti di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) da parte di amministrazioni comunali, comitati locali, proprietari terrieri, singoli cittadini: la forte contrarietà espressa in manifestazioni, petizioni, social network ma non formalmente presente nelle sedi procedimentali dove si decide la compatibilità ambientale o meno di simili progetti finisce per pesare molto di meno di quanto potrebbe.

Un esempio, il disastroso progetto di centrale eolica “Luminu proposto dalla GRV Wind Sardegna s.r.l. in località varie della Marmilla e del Sarcidano, 17 “torri” eoliche alte più di 200 metri nel paesaggio agrario-archeologico alle pendici della Giara, nei Comuni di Barumini, Escolca, Gergei, Las Plassas, Villanovafranca, Genoni, Gesturi, Nuragus.

Degraderebbe, tanto per capirci, anche la reggia nuragica di Barumini, appartenente al Patrimonio dell’Umanità sotto l’ègida dell’UNESCO.

Il 12 aprile 2023 si è tenuta una grande manifestazione di protesta, con parecchi partecipanti e una dozzina di sindaci in testa, rappresentanti delle rispettive amministrazioni comunali.

Tuttavia, sono intervenuti nel relativo procedimento di V.I.A. soltanto quattro Comuni, una residente, una società energetica concorrente, un’associazione ambientalista (il GrIG) e l’Assessorato regionale della Difesa dell’Ambiente.

Per fortuna, la Soprintendenza speciale per il PNRR, organo del Ministero della Cultura, ha formalizzato il suo parere istruttorio negativo (il n. 5991 del 19 aprile 2023) difficilmente superabile.

Forse c’è bisogno di maggiore concretezza per difendere ‘sta povera Isola alla deriva nel Mediterraneo occidentale. O no?

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

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