Taluni commenti di esperti sull’atroce episodio in cui ha perso la vita
Satman Singh - morto per l’ulteriore colpevole mancanza del datore di lavoro
(Antonello Lovato, solo qualche anno in più del dipendente sbracciato e
dissanguato), la prima era uno sfruttamento schiavistico mascherato in lavoro,
la seconda l’assenza di soccorso davanti a un ferimento gravissimo - mettono in
relazione questioni che possono avere un unico comune denominatore: la
scellerata illegalità del padroncino. Certo che sottopagare una prestazione
comporta maggiori margini per abbassare il prezzo della merce, ma non è questo
che ha fatto morire il bracciante indiano. La sicurezza viene bellamente
aggirata con tanto di documentazione bollata, e chi si occupa della materia lo
ripete fino alla nausea: c’è bisogno di controllare dal vivo i posti di lavoro.
Ovviamente quelli pericolosi, gli incidenti negli uffici difficilmente
producono decessi. Perché i controlli mancano? Si dice che gli ispettori sono
pochi e le amministrazioni locali e i governi fanno in modo che rimangano tali
non prevedendo assunzioni e ampliamenti d’organico. Invece non sono pochi
coloro che vestono una divisa, ma giungono sul luogo del misfatto solo per
constatare la morte del lavoratore, non per prevenirla. Così quel che tutti
conosciamo e in alcuni casi vediamo, prosegue impunemente. L’illegalità
legalizzata è nota alle Istituzioni che magari legiferano norme puntualmente inosservate
per la citata mancanza di controlli e sanzioni severe. All’omertà ricattatoria
imposta ai ‘lavoratori invisibili’ trasformati in cadaveri da smaltire,
s’unisce quella delle associazioni di categoria, in certi casi mastodonti (Confagricoltura, Coldiretti, Legacoop, Confcooperative)
che poco verificano di che pasta son fatti i soci e se viene a galla qualche
problema, per fortuna mica solo incidenti e decessi ma le più frequenti
evasioni fiscali, parlano di mele marce. Proprio così, anche se non si coltiva
frutta. C’è bisogno sempre d’indagini della magistratura? No. Basterebbe un po’
d’autocontrollo applicando la decantata deontologia. Basterebbe non perdere la
faccia.
Ma non sembra questo l’intento di parecchie categorie d’impresa, attente solo al mercato e al fatturato. Magari alla réclame che le proclama: pop, intelligenti, made in Italy, chilometro zero anche quando i chilometri percorsi dalle merci hanno molti, molti zeri. Inchieste giornalistiche ormai datate hanno sbugiardato alcuni prodotti italiani d’eccellenza, oro della ‘filiera controllata e dop’ come il Consorzio del Parmigiano Reggiano che prendeva il latte da un’Ucraina allora non in guerra e da altri Paesi comunitari e non. Idem per il Consorzio del Prosciutto di Parma le cui cosce di suino venivano anche da Romania, Serbia e chissà dove. I maiali dell’est europeo sono meno sani? Forse no, ma risultano meno controllati e soprattutto i consumatori venivano turlupinati da una pubblicità che garantisce una produzione 100% italiana. Oggi s’è cambiato registro? Mah, la certezza è vaga. E sembra che i suddetti esperti non siamo proprio avvezzi a fare la spesa quando decantano la sicurezza, non dei metodi di produzione che non appaiono e non devono apparire sulle etichette, dovrebbero essere vigilati a monte, ma la sicurezza della genuinità della merce. La caparbia Sabrina Giannini da anni si dedica a mostrare cosa c’è dietro alcune etichette ipercertificate attraverso trasmissioni televisive che hanno scontentato non tanto i colossi mondiali come Monsanto, poco avvezzo alla nostra tivù, ma aziende del ‘made in Italy’ come il Gruppo Cremonini Spa in diretto rapporto mercantile con gli allevamenti intensivi responsabili d’un impatto ambientale assolutamente insostenibile. L’attenta comunicazione dell’azienda ricorda che: “…l’alimentare è il secondo settore industriale italiano, un sistema di 6.500 imprese, con 400.000 addetti, 120 miliardi di fatturato che segue un regime normativo europeo rigoroso”. Peccato che diversi reportage hanno evidenziato altro, che i maiali acquistati dal Gruppo Cremonini provengono anche da allevatori-malfattori incuranti di igiene e ogni sorta di presidio sanitario, per tacere sul bestiale trattamento delle bestie. Sarà per questo che la Rai vuole esiliare la giornalista? Sarà per questo che nel novembre scorso il presidente della Coldiretti Prandini ha aggredito il deputato Magi che protestava davanti a Montecitorio per il voto contrario alla carne coltivata?
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