"Riprendiamoci il Comune" propone di
ripubblicizzare Cassa Depositi e Prestiti per sostenere le opere utili alla
comunità locale
Continua la
raccolta firme di “Riprendiamoci il Comune”, la campagna che ha per obiettivo quello di portare
in Parlamento due proposte di legge di iniziativa popolare. Una
dedicata alla riforma della finanza locale e una per la ripubblicizzazione
della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp).
Quest’ultima
è infatti l’istituzione più utilizzata dai cittadini italiani ma anche la meno
conosciuta. Un paradosso: oltre venti milioni di persone mettono
i propri risparmi in un libretto postale o in buoni fruttiferi. Questi risparmi
transitano dalle poste alla Cassa Depositi e Prestiti, la quale per oltre 140
anni è stata un ente pubblico. Con due esclusivi compiti: tutelare
quei risparmi e utilizzare l’enorme massa di denaro raccolta per finanziare a
tassi agevolati gli investimenti degli enti pubblici. Un semplice meccanismo
che dal 1850 (quando venne creata dal Regno di Sardegna con il nome di Cassa
Piemontese) al 1990 ha consentito di dotare le comunità territoriali di moltissime
opere di interesse pubblico. Come acquedotti, ferrovie, strade, parchi, asili
nido, scuole, ospedali, case, teatri, ecc.
Non solo
infrastrutture e servizi territoriali: i soldi della Cdp sono serviti anche
per sostenere i lavori di ricostruzione delle opere italiane
andate distrutte durante le guerre mondiali o a causa di eventi naturali. È il
caso dell’alluvione del Polesine nel 1951, del disastro del Vajont nel 1963 e
del terremoto del Belice nel 1968.
Gli anni
Novanta e Duemila della privatizzazione
Poi, nel
1990 è cambiato tutto. Quelli sono gli anni di intense politiche di
privatizzazione «che, naturalmente, investono in pieno anche l’intero sistema
bancario e finanziario», spiega Marco Bersani, tra i fondatori
della campagna e presidente di Attac Italia. «Siamo l’unico Paese al mondo che
è passato da un controllo pubblico sulle banche pari al 74,5% negli anni
Ottanta allo 0% attuale».
La prima
direzione in questo senso è stata compiuta dal primo governo di Giuliano Amato,
che proprio nel 1990 liberalizza la possibilità di accesso ai
finanziamenti da parte degli enti locali. Questi ultimi fino a quel momento
potevano accedere solamente ai crediti resi disponibili da Cassa Depositi e
Prestiti. Un passo decisivo ma senza rilevanti effetti pratici, in quanto le
banche erogavano prestiti a tassi di mercato e non a tassi agevolati come
Cdp.
Ma la pressione
da parte delle banche privatizzate è continuata fino al 2003.
All’epoca, sotto l’allora governo di Silvio Berlusconi, il ministro
dell’economia Giulio Tremonti compie il passo decisivo. Cassa Depositi e
Prestiti diventa una società per azioni (SpA). E le fondazioni bancarie, che sono
già i maggiori azionisti delle banche private, entrano nel suo capitale sociale
(nel 2003 erano 65 le fondazioni bancarie entrate a far parte di Cdp).
Oggi,
infatti, Cdp è controllata per circa all’83% dal ministero dell’Economia e
circa al 16% dalle diverse fondazioni bancarie. Il principale impiego delle
risorse finanziarie è rappresentato dai prestiti verso lo Stato e
le amministrazioni locali, dall’investimento nel capitale di rischio di imprese
italiane che operano anche all’estero. E dalla partecipazione in progetti
immobiliari, infrastrutturali e finanziari ritenuti strategici per lo sviluppo
dell’economia nazionale.
Da chi è
formata Cassa Depositi e Prestiti
Una trasformazione
epocale per un ente pubblico. Cassa Depositi e Prestiti è diventata un
soggetto finanziario a tutto campo che agisce sull’economia nazionale e
internazionale a 360 gradi. Orientando i propri investimenti unicamente all’obiettivo
del profitto. Quello che per oltre 140 anni era stato un ente di diritto
pubblico al servizio delle comunità è oggi una holding che
controlla diverse società.
Tra queste,
ci sono Cdp Equity, che investe sul mercato privato italiano
(agendo sia come azionista di minoranza in società quotate e non quotate, sia
attraverso Società di gestione del risparmio partecipate e/o gestite da terzi).
C’è Cdp Reti, che detiene investimenti in Snam (31,35%), Italgas
(26,01%) e Terna (29,85%). Con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo di
infrastrutture di trasporto, rigassificazione, stoccaggio e distribuzione del
gas naturale e dell’energia elettrica. E poi ci sono ancora altre ramificazioni
di Cdp (Simest, Fintecna, Cdp Immobiliare, Cdp Real asset Sgr). Che investono
nell’abitare, nella valorizzazione del patrimonio pubblico, nel turismo e
quant’altro.
Iniziative
popolari
In tutto
questo è cambiato il rapporto con gli enti territoriali. I
soggetti per cui era nata Cdp ora possono chiedere un finanziamento alla Cassa
ma a tassi di mercato come quelli di una qualsiasi banca. Con il risultato che
i comuni sono spesso indebitati e si affidano a Cdp, che a sua
volta si propone come partner per svendere il patrimonio pubblico.
E per privatizzare i servizi locali attraverso la costituzione di multiutilty
da collocare in Borsa. Così facendo l’ente territoriale ha qualche speranza di
poter ripianare i debiti.
Una
ripubblicizzazione che vale almeno 280 miliardi
È chiaro
come in un contesto così perverso, il Comune si trovi con minori
possibilità di investire nel welfare territoriale e nei beni comuni. Mentre
dall’altra parte Cdp raccoglie 280 miliardi di euro, ai quali si
aggiunge la raccolta obbligazionaria effettuata sui mercati per un totale
di 517,1 miliardi. Una cifra enorme che potrebbe essere utilizzata, come propongono la
campagna Riprendiamoci il Comune e le due relative proposte di legge
d’iniziativa popolare, per la costruzione di un altro modello sociale,
ecologico e relazionale. A partire proprio dai Comuni e dalle comunità
territoriali.
«Quei 280
miliardi non sono a disposizione per la spesa pubblica, sono ovviamente
prestiti frutto del risparmio, che va tutelato, di oltre venti milioni di
persone», chiarisce Bersani. «Ma queste persone, al contrario degli investitori
sui mercati speculativi, non chiedono che il proprio denaro frutti loro enormi
performance di redditività. bensì che sia semplicemente tutelato. E sarebbero
più che d’accordo che, nel frattempo, venga utilizzato per opere pubbliche
capaci di intervenire nelle proprie comunità di riferimento in direzione della
conversione ecologica, della giustizia sociale e di una diversa qualità della
vita e delle relazioni sociali. Venti anni dopo la sciagurata privatizzazione
di Cassa Depositi e Prestiti è arrivato il momento di riprenderci la Cassa e la
possibilità di un futuro diverso per tutte e tutti».
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