sabato 31 maggio 2025

L’Occidente e una pretesa superiorità che non esiste - Sergio Labate

 

Io sono un uomo semplice e, ahimè, di mestiere mi occupo di filosofia. Le due cose messe insieme mi giustificano rispetto al fatto che quando devo pensare all’Occidente, mi torna in mente banalmente Socrate. Potrei citarne mille altri ovviamente. Ma Socrate reca con sé un privilegio, che è quello di una ragione che si occupa di pensare se stessa e, proprio per questo, riconosce i propri limiti. “Io so di non sapere” è la formula perfetta che ha permesso alla storia dell’Occidente di non identificarsi con l’infinita sequela di guerre, dominazioni, stragi, genocidi, sopraffazioni nei confronti dell’altro da sé che essa contiene. Che ci ha salvato da noi stessi in fondo, permettendoci di riconoscere le nostre debolezze e persino di riformarle – in epoche passate – o di denunciarle o contestarle pubblicamente, in epoche recente.

Non sto dicendo nulla di particolarmente intelligente, anzi più propriamente sto solo introducendo un argomento scontato. Ma è proprio questo il punto più inquietante. Non tanto il contenuto di ciò che sta accadendo, quanto il fatto stesso che stia accadendo: come è infatti possibile che cose che abbiamo per decenni date per scontate sono adesso non solo ignorate ma anche derise e se possibile contraffatte persino sui maggiori quotidiani del Paese? È questa la domanda che mi è sovvenuta quando, nei giorni scorsi, ho letto un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera. Ritornerò su quell’articolo, in cui si difende addirittura “la supremazia dell’Occidente” contro l’utopismo di quelli che lo criticano. Ma intanto vale la pena aggiungere una piccola nota di metodo storico. Quell’editoriale è del 3 maggio. Due settimane prima Meloni aveva omaggiato Trump e l’impianto teorico del suo intervento mi aveva da subito insospettito. La sua insistenza proprio su questo comune denominatore che andava difeso: l’Occidente, appunto. Non è difficile supporre che quell’uso pubblico della categoria di Occidente da parte della nostra Presidente del Consiglio abbia per così dire “chiamato alle armi” tutti gli intellettuali di regime. L’Occidente – categoria recente, eppure ormai vetusta e probabilmente inservibile – è diventato il nuovo “significante vuoto” dell’ideologia dei dominanti.

Qualcuno potrebbe obiettarmi da subito: la categoria di Occidente ha sempre avuto questa funzione, è stata sempre al servizio dell’ideologia dei dominanti. Io credo che sia vero in parte, proprio perché nell’Occidente convivono più o meno pacificamente Galli della Loggia e SocrateL’Occidente è la storia delle sue infinite ombre – le abbiamo velocemente ricordate prima – ed è anche la storia di chi ha riconosciuto tali ombre come “ombre”. C’è stato un istante, uno spazio di rottura, in cui la storia delle crociate non è stata più raccontata con orgoglio, ma con vergogna. La stessa cosa è accaduta con l’inquisizione, con l’imperialismo, con il colonialismo, con i fascismi e i totalitarismi che hanno attecchito nel seno dell’Occidente e hanno portato in dote le guerre mondiali. Ma anche col patriarcato e con lo schiavismo. Basterebbe questo per riconoscere che se ancora quella categoria può servire, può servire per il disincanto che rivolge a se stessa, non certo per la trionfante rivendicazione della sua supremazia. Ma ripeto, tutto questo è banalissimo e sono davvero perplesso a dover ricordare cose che per la mia generazione erano ormai date per scontate. Nessuno si sarebbe sognato di rivendicare la supremazia dell’Occidente alzando con orgoglio il vessillo delle sue ombre e delle infinite sofferenze inflitte. Certo, c’era l’ultima Oriana Fallaci e il tracotante Giuliano Ferrara. Ma insomma, non riuscivano a scalfire delle verità che la storia sembrava aver accertato e messo in sicurezza.

Perché dunque Galli della Loggia e Meloni e Trump e tanti altri decidono di tornare indietro e riarmare l’Occidente contro gli altri proprio adesso? Il riferimento puntuale all’oggi è determinante, perché nel suo articolo Galli della Loggia rivendica un’idea di superiorità dell’Occidente che è legata fondamentalmente alla sua capacità di riconoscere e ascoltare il diverso in quanto tale. A supporto di questa tesi, si cita un celebre passo di Erodoto: «Ogni anno mandiamo le nostre navi, rischiando le nostre vite e spendendo molto denaro, fin sulle coste dell’Africa per chiedere: Chi siete? Quali sono le vostre leggi? Qual è la vostra lingua? Loro non hanno mai mandato una nave per chiedercelo». Una frase piuttosto datata, ancora legata a un’opposizione tra noi e loro che oggi ha poco motivo di esistere, se non altro perché la storia è diventata globale e non solo parziale: non esistono più popoli ricchi di storia e popoli senza storia che identifichiamo come barbari. Una banale evidenza della storia, che è stata pacatamente ricordata da Marco Aime – un amico e collaboratore di Volere la Luna – sulle pagine del Domani e che ha fatto irritare non poco Galli della Loggia. Ma il punto è sempre lo stesso: sono certo che Marco Aime converrà con me nel riconoscere che persino il suo articolo – come il mio del resto – in un mondo normale non sarebbe stato scritto: sarebbe stato una perdita di tempo ricordare cose che tutti davano per scontate.

Invece la supremazia dell’Occidente che viene rivendicata contro ogni evidenza della storia e contro ogni pazienza socratica suona proprio in questi giorni come una beffa. Le punte di diamante del “pianeta Occidente” non mi pare affatto che stiano chiedendo chi sono a quelli che stanno perseguitando e genocidando. Non ricordo foto di membri del governo Trump in ascolto dei messicani arrestati. Invece ho memoria delle foto di messicani ammassati come delle bestie in gabbie e che vengono esibiti come trofei dal governo americano. Non ricordo di procedure d’accoglienza da parte della civile Italia che siano rispettose della lingua degli altri. Ho memoria invece di deportazioni in luoghi di detenzione di persone che non hanno commesso nessun reato, in barba a ogni garanzia di diritti che dovrebbero essere il cuore della supremazia occidentale. Procedure che non solo non vengono sanzionate, ma vengono rivendicate dall’Europa come buone pratiche da estendere ulteriormente. Soprattutto, non mi pare che il governo israeliano stia facendo domande di questo genere ai palestinesi di Gaza che si accinge a deportare; almeno quelli che sono ancora vivi e non sono stati sterminati senza pietà. Non volendo, la frase citata dimostra ciò che si vuole negare contro ogni evidenza: se la supposta superiorità dell’Occidente è data dalla sua capacità di dare la parola all’altro, a Gaza si assiste al suo fallimento, non certo al suo trionfo. Mi pare che la vera questione da porsi non è dunque la questione della supposta superiorità dell’Occidente, ma della sua evidente dissoluzione. L’Occidente, questa invenzione recente che ha preteso di eternarsi e che invece sta velocemente suicidandosi. Concludo suggerendo due linee di riflessione ulteriore.

La prima è che forse bisogna concedere a Galli della Loggia di avere un po’ di ragione. Se cose che davamo per scontato non lo sono più, è perché stiamo assistendo a una rinascita dell’Occidente. Non quello di Socrate, ma quello che ha condannato a morte Socrate. Quell’Occidente la cui storia è stata per millenni la storia del dominio della forza, non la storia della capacità di provare vergogna. L’Occidente che ha provato a sostituire al primato della forza quello dei diritti è durato molto poco, in effetti. In questo poco tempo ha dimostrato di esser capace di auto-emendarsi, di sospendere il vanto sulla propria supposta superiorità, di riconoscersi responsabile della barbarie del colonialismo e dell’imperialismo, d’immaginare la guerra fuori dalla politica, di relativizzare se stesso aprendosi alla pluralità delle storie, di costruire progetti di democrazie che salvaguardassero l’uguaglianza e la dignità di tutti gli esseri umani. Ma l’Occidente dei diritti è stata una brevissima parentesi della sua storia, niente di più. La sua utopia concreta non è più il cosmopolitismo kantiano, ma la riviera di Gaza che l’IA ha bellamente immaginato per Trump e Netanyahu. Un’immagine falsa costruita facendo violenza al mondo vero, riducendolo in macerie, cimiteri, deportazioni. L’occidente che sta rinascendo è quello della pura forza, del puro dominio brutale su quelli che considera “altri”.

La seconda mi è venuta in mente osservando la disinvoltura con cui Trump intreccia affari e accoglie senza pudore regali letteralmente mastodontici con il Qatar e con tutte le dittature baciate dalla grazia del petrolio. Quasi quasi mi tocca rimpiangere Renzi e chi mi conosce sa quanto questa considerazione possa scatenare in me un’inguaribile fase di depressione: davvero il mondo è impazzito. Se dovessi in un’immagine sintetizzare quanto sta accadendo, direi che la storia dell’Occidente sta identificandosi sempre più con la storia dei ricchi. Qualcuno tra i lettori dirà che non c’è nulla di nuovo in tale identificazione. In realtà basterebbe – per fare solo un esempio – leggere il bel libro di Guido Alfani (Come dèi tra uomini. Storia dei ricchi in occidente, Laterza, 2025) per capire che le cose sono state molto più complesse. I ricchi hanno sempre recitato parti importanti sulla scena dell’Occidente, ma non vi è mai stata una totale identificazione. La storia dell’Occidente è la storia dei potenti, ma tra potenti e ricchi c’è stata anche diffidenza (pensiamo al medioevo, periodo in cui l’ostentazione della ricchezza era sacrilega). La stessa cosa, ovviamente, si può dire della storia del capitalismo. che è un capitolo della storia dell’Occidente, ma non è l’intero suo libro. Il tentativo cui stiamo assistendo non è solo la rinascita di una supremazia, ma anche il tentativo di strappare alcune pagine per ridurre la storia dell’Occidente ad alcune sue parti. La storia dell’Occidente è diventata niente di diverso dalla storia dei ricchi. È questo il suo futuro? È quasi certo – a questo punto – che sia il futuro dell’Occidente. Ma in alcune pagine strappate della sua storia qualcuno avrebbe ammonito: l’Occidente si pensa come mondo ma non è il mondo. E se il futuro dell’Occidente è la supremazia dei ricchi senza regole né leggi, non è affatto detto che questo sia il futuro del mondo.

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venerdì 30 maggio 2025

La speculazione eolica e fotovoltaica come colonialismo energetico - Maria Giovanna Bosco

 

«Le rinnovabili? Una bolla speculativa che arricchisce pochi e devasta l’ambiente: energia più cara per cittadini e imprese»

(intervista a Maria Giovanna Bosco di Paolo Paolini)

 

Maria Giovanna Bosco e lo studio sul “caso Sardegna” pubblicato da Il Mulino: il settore privato ha infiltrato quello pubblico ottenendo miliardi per un settore che economicamente non si regge

«È un tipico fenomeno che si osserva nelle relazioni tra economia e politica: si chiama “cattura regolatoria”, branca della political economy, che studia il sistema usato dal privato – in certe condizioni – per influire sulla sfera pubblica orientando la legislazione a favore del proprio settore. Nel caso delle energie rinnovabili, gli effetti sono i contributi massicci erogati dallo Stato per i progetti di pale eoliche e pannelli fotovoltaici con i quali si vorrebbero foderare campagne, colline, le pendici del Limbara, perfino spicchi di mare davanti alle coste di Gallura, Riviera del corallo, Sulcis e Cagliaritano. Iniziative che sacrificano l’ambiente, redistribuiscono il reddito arricchendo solo chi le porta avanti, limitano le occasioni di sviluppo per chi vive in quel territorio. Una certa narrazione ha coniato lo slogan “rivoluzione green”, ma la realtà è che si scaricano i costi sulle spalle di cittadini e imprese attraverso le bollette. Ecco perché il prezzo dell’energia può solo aumentare, come già avviene».

Tempiese cresciuta a Olbia, Maria Giovanna Bosco vive a Milano e fa ricerca all’università di Ancona, dopo aver insegnato Macroeconomia, Economia internazionale ed Europea ed Economia del lavoro alla Bocconi, nell’ateneo Milano-Bicocca, al Politecnico di Milano, alle università di Modena e Reggio-Emilia, alla Marshall school of finance (University of Southern California, Los Angeles). Su L’Industria, la rivista edita da Il Mulino, ha pubblicato una dettagliata analisi sul “Caso Sardegna” che sarà illustrata a fine giugno a Oslo: «L’idea di impegnarmi nello studio sulla transizione energetica nasce da diverse ragioni. Primo: mi occupo di transizione ecologica all’università Politecnica delle Marche. Motivo numero due: ho un’attenzione personale per quanto sta accadendo in Sardegna, dove si vorrebbe produrre un settimo dei gigawatt previsti dai progetti presentati in tutta Italia: 52,88 contro 354.35. È chiaro che qualcosa non torna». A Olbia per il fine settimana, accetta di parlare a una condizione: «Ciò che ho scritto riguarda me e non può essere attribuito in alcun modo all’ateneo nel quale lavoro attualmente».

Cos’ha scoperto?

«Sono partita dagli elementi narrativi – proteste dei comitati di cittadini, articoli sui giornali – per cercare i fatti che indicano l’infiltrazione del mondo dell’industria nella politica, al punto che il processo decisionale e politico è stato asservito agli interessi di soggetti privati ben definiti. A far da cornice le norme che agevolano gli espropri, il tentativo di silenziare i movimenti di opposizione per conquistare il pubblico con una narrativa ad hoc. C’è una dinamica industriale che include aiuti di Stato nonostante il generale divieto europeo: investire in sanità no, perché c’è il vincolo di bilancio, che invece cade per le rinnovabili. Il risultato è che il soggetto pubblico ha finito per portare avanti le esigenze dei privati spacciandole per interesse generale. Non solo: c’è l’evidenza scientifica che l’obiettivo di ridurre l’emissione della CO2 è una chimera, perché a livello globale tutti tranne l’Europa continuano a investire in fonti fossili. Il nostro sforzo per quanto lecito, degno, moralmente accettabile, sarà inutile. Il mio compito si conclude con la raccolta dei dati di fatto. Ovviamente può essere solo un magistrato a individuare i potenziali reati, a capire se e quando è stato commesso un danno ambientale, se c’è stato un interesse privato in atto pubblico, corruzione e così via. So che è stato presentato anche un esposto a tutte le Procure della Sardegna dal Comitato per l’Insularità».

Il libero mercato non vale per gli impianti di rinnovabili?

«Già nel 2014 il professore di economia politica Ross McKitrick denunciava il problema per l’Ontario, nel civilissimo Canada. Diceva: “Purtroppo l’idea di dover decarbonizzare a tutti i costi ha indirizzato il sistema degli incentivi economici quasi esclusivamente verso le rinnovabili che però dal punto di vista economico sono fallimentari”. Perché ciò che richiedono per l’installazione e quel che provocano in termini di danno ambientale è un’enormità rispetto a ciò che producono. Non difendo le fonti fossili o il nucleare, ma nel confronto sulla produttività non c’è paragone. Per questo motivo l’unico modo per rendere sostenibili l’eolico e il fotovoltaico è che lo Stato intervenga foraggiando i progetti, annullando la concorrenza e diventando il primo cliente per vent’anni di attività, offrendo la garanzia di acquistare l’energia a un determinato prezzo. Un’attività senza rischi per chi possiede le società che, di riflesso, ha cancellato il libero mercato».

Corruzione?

«Comportamenti criminali ci sono già stati e sono stati sanzionati, ne cito alcuni nell’indagine, così come sono accertate le infiltrazioni mafiose».

«Le promesse di agevolazioni in bolletta sono falsità. Un rapporto di Morgan Stanley di marzo 2025 evidenzia che i prezzi in Europa sono cresciuti da due a quattro volte più degli Stati Uniti, cinque-sette volte più di Cina e India».

Chi ha deciso di indirizzare i progetti verso la Sardegna?

«Sicuramente la scelta non è stata fatta dalle comunità locali. Nel 2021 l’Enel l’ha individuata in alcuni comunicati come futuro hub energetico del Mediterraneo. La digitalizzazione estrema verso la quale stiamo andando ha bisogno di una quantità enorme di energia, mi chiedo: c’entra qualcosa il disegno sul futuro della Sardegna? Di sicuro la mercificazione del sole e del vento rischia di perpetuare un atteggiamento neocolonialista da parte delle istituzioni nei confronti dell’Isola».

I rischi?

«Da un punto di vista identitario, culturale e psicologico veder deturpato il paesaggio è una forma di violenza che equivale a perdere una parte di se stessi: come se mi guardassi allo specchio e non mi riconoscessi più. Da una prospettiva economica, stravolgere l’ambiente farebbe diventare la Sardegna meno appetibile e incepperebbe il turismo: chi mai vorrebbe andare in vacanza in un paradiso industriale fatto di pale e pannelli fotovoltaici? Penso a Tempio, il gioiello del nord est che rischia di essere snaturato sulla spinta dell’affitto dei terreni per impianti che arricchiscono pochi e danneggiano tutti. Alcuni proprietari che ho intervistato si stanno pentendo perché non è certa neppure la redditività: quando finirà il ciclo di vita l’impianto sarà abbandonato e i costi di smaltimento sono enormi. Come è accaduto a Nasca, sull’isola di San Pietro: le pale sono lì da decenni anche se non funzionano».

Ha analizzato la legge regionale sulle Aree idonee?

«La Regione l’ha varata rifiutando di valutare la Pratobello, nata su iniziativa popolare e sostenuta da centinaia di migliaia di firme. Si basava sulla prerogativa assoluta in materia urbanistica. Ho intervistato un esponente della Giunta regionale, mi ha detto: “Sarebbe stata impugnata dallo Stato per incostituzionalità”. Di sicuro questa sorte è toccata alla Moratoria e alla legge 45 sulle Aree idonee. Dunque, c’è stata incompetenza o malafede?».

Cos’è l’ambientalismo industriale di cui scrive?

«Propone una transizione che di verde ha solo l’aggettivo. È ancorato a norme che consentono l’utilizzo di parchi, foreste e aree agricole per impianti di energia fotovoltaica, eolica, termovalorizzazione dei rifiuti e, in generale, di qualsiasi altra fonte energetica non fossile. Un tempo la legge era più restrittiva, la realizzazione era limitata alle aree incolte o degradate del territorio. Oggi se un agricoltore o un piccolo proprietario terriero non desidera vendere o affittare i propri terreni sui quali deve nascere un parco eolico, le norme prevedono l’esproprio. Ed è in questo passaggio che, per l’ambientalismo industriale, risiede il significato della transizione ecologica: passare da un modello economico territoriale ad alto contenuto occupazionale basato su agricoltura di qualità, turismo e cultura, a un modello industriale specializzato nella produzione di energie alternative, a basso contenuto occupazionale e con rendimenti molto elevati. Va da sé che alla base ci sia un ambientalismo fasullo che danneggia l’economia, non crea posti di lavoro, impoverisce il territorio e cancella i paesaggi per cui siamo famosi nel mondo. Si cita sempre la Danimarca, patria dell’eolico: vi risulta che qualcuno vada fin lì per ammirare le pale?».

L’atteggiamento delle associazioni ambientaliste?

«Tranne Italia Nostra e alcuni piccoli movimenti, fingono di non vedere gli interessi di chi fino al giorno prima produceva CO2 a tutto spiano e oggi si è raffrescato l’immagine - tipo l’Erg a Saccargia - buttandosi nel business delle energie rinnovabili».

Perché non è stato individuato un tetto alla produzione?

«Può essere stata una svista del legislatore, oppure un riflesso del dolo sottostante, cioè l’aver creato volutamente una bolla speculativa simile a quella dei mutui subprime che nel 2008 terremotò l’economia mondiale».

Cita aziende che hanno costi operativi annuali di 28 mila euro e incassano incentivi per tre milioni?

«Mi sono limitata a raccogliere i dati di numerose aziende del settore: tutte hanno in comune una sproporzione tra costi e soldi ricevuti dallo Stato».

La via d’uscita?

«Basterebbe coprire i capannoni industriali con i pannelli fotovoltaici: gli obiettivi sarebbero raggiunti senza cementificare le vigne. Se poi si aggiungessero tutti i tetti delle case sarebbe risolto il problema italiano, tenendo presente che per “stabilizzare” il sistema energetico sarebbero comunque necessari anche i combustibili fossili».

Geotermia?

«Il potenziale sardo è molto elevato quanto inutilizzato, secondo solo a quello della Toscana. Per la produzione di energia elettrica si potrebbe prelevare acqua bollente in profondità per poi reimmetterla nel sottosuolo. In questo modo si creerebbe un ciclo produttivo interamente rinnovabile. Non mi sembra che qualcuno sia intenzionato a farlo».

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La speculazione eolica e fotovoltaica come colonialismo energetico - Maria Giovanna Bosco

L’alta Gallura, come altre zone in Sardegna, è soggetta ad un attacco di speculazione energetica da parti di imprese che mirano al lucro di breve periodo garantito anche dagli incentivi pubblici, in un’autentica fase di colonialismo che rischia di minare l’identità culturale ed economica del territorio.

In queste settimane in Gallura, così come in altre zone della Sardegna, si dibatte su progetti relativi all’installazione di una iperbolica quantità di pale eoliche e impianti fotovoltaici per ottemperare agli ‘sfidanti obiettivi europei di decarbonizzazione’ (Terna, 2024). In una regione già gravata da 31 basi militari, – il 65 per cento di quelle presenti in tutta Italia (Arcai, 2024) – e drasticamente depredata delle aree boschive in duecento anni di dominio sabaudo (Casula, 2017), anche il territorio dell’alta Gallura è soggetto all’interesse di multinazionali del settore energetico che, forti del quadro normativo, sono persino legittimate ad espropriare terreni privati, deturpando il paesaggio e le acque costiere della regione con la costruzione di nuovi impianti.

In Sardegna, le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna S.p.A. al 31 marzo 2024 risultano ben 809, pari a 57,67 GW di potenza (Figura 1). 57,67 GW significa quasi 30 volte gli impianti oggi esistenti (GIG, 2024).

L’alta Gallura, in particolare, è contraddistinta da un susseguirsi di colline, rocce e vallate di macchia mediterranea, zone adibite a pascolo e rocce spettacolari, aree archeologiche uniche oltre che da zone costiere dalla fragilità e bellezza incomparabili. L’impatto anche solo visivo delle pale eoliche, di cui alcune alte oltre 200 metri, come quella già in costruzione nei pressi nella zona del Marganai nel Sud Sardegna (L’Unione Sarda, 2024), è semplicemente devastante.

Gli impianti eolici, le cui pale dissacrano il profilo del territorio in quanto idealmente destinate ai deserti o ad aree off-shore lontane dalle coste, determinano anche un danno diretto sulla salute umana a livello uditivo e neurologico (Hanning, 2009Havas & Colling, 2011), oltre che a flora e fauna. Dove sono installate le pale eoliche, gli uccelli spariscono e le rotte migratorie vengono deviate. Sotto i pannelli fotovoltaici, certo non sono possibili coltivazioni. La riduzione delle aree verdi naturali, fattore che incrementa la concentrazione nell’aria di anidride carbonica, entra in contraddizione con l’ideologia della ricreazione delle aree pristine supportata dalle istituzioni comunitarie. A ciò si aggiunge l’altro grave problema ecologico che riguarda lo smaltimento degli impianti a fine vita, i cui costi sono esorbitanti. Se costruiti per poi essere abbandonati, con un risparmio sui materiali come è già stato documentato nella zona di Calangianus, insiste sulla comunità anche il costo della bonifica.

Questa depredazione denota un atteggiamento coloniale che mira a cancellare tradizioni culturali e il nesso che gli abitanti instaurano con il loro territorio in nome di investimenti che di “green” hanno ben poco. Tali progetti calati dall’alto, infatti, non solo eliminano pascoli e aree agricole, ma non creano nemmeno un incremento di posti di lavoro (perché gli “esperti” vengono perlopiù chiamati da fuori area e la manutenzione è minima). Si riduce inoltre il valore dei terreni e delle abitazioni che si trovano anche a distanze ragguardevoli e si creano minacce economiche anche per il settore turistico che costituisce una fonte primaria di reddito per tutta l’area.

Voler forzosamente imporre modelli di sviluppo ideati altrove e per altri contesti sul territorio sardo sembra inteso a sradicare un modello di gestione agri-turistica a favore di un asservimento ad una produzione energetica che verrebbe peraltro destinata a soggetti terzi, dato che la Sardegna è già autonoma dal punto di vista energetico. Peraltro, l’extra-produzione non potrebbe nemmeno essere assorbita dalla rete per limiti di capacità (GIG, 2024).

Ancora più grave è che, benché esistano alternative meno impattanti dal punto di vista ambientale e territoriale, queste non vengono nemmeno prese in considerazione e gli enti preposti si fanno beffe delle alternative ragionate e sostenibili – come la collocazione di pannelli fotovoltaici su tutti i capannoni e fabbricati industriali compresi quelli in disuso (Confartigianato Sardegna, 2023). A dar prova della scarsa sensibilità del soggetto pubblico nei confronti dei temi legati alla sostenibilità sociale ed ambientale, vi è la recente pronuncia del Consiglio di Stato che ha rigettato un ricorso della Regione Sardegna contro il potenziamento di un parco eolico proprio alle spalle della celebre Basilica della SS. Trinità di Saccargia (La Nuova Sardegna, 2024).

Non si può cancellare il sospetto di essere in presenza di un tipico schema di “regulatory capture” (Dal Bó, 2006), fenomeno in cui le gerarchie lobbistiche riescono a piegare il decisore politico alle proprie logiche espansionistiche e predatorie. In questo caso, il bene pubblico, inteso come benessere sociale, economico ed ambientale, è soppiantato, anche attraverso il posizionamento di figure chiave in ambito istituzionale, dalla logica di arricchimento e speculazione che vanno a remunerare ristrette élite a discapito della stragrande maggioranza delle persone. Tale tendenza di lungo periodo alla redistribuzione dei redditi e della ricchezza in favore di un’accentuata polarizzazione presso pochi soggetti è ben rilevata sia a livello finanziario che industriale, ed è quindi coerente con questa interpretazione.

Sembra lecito chiedersi chi sia il soggetto intenzionato a deturpare e cannibalizzare il territorio. Quali sono, inoltre, i guadagni a cui sta puntando? In presenza di alternative reali e dimostrabili, si punta solo al profitto economico derivante dalla vendita di energia, oppure si cerca di minare anche le attività locali? Se fosse così, l’intento si trasformerebbe da speculativo a propriamente criminale.

Riferimenti

Arcai, F. (2024). La pesante eredità delle basi militari aleggia sul voto in Sardegna, https://www.wired.it/article/sardegna-basi-militari-inquinamento/

Casula, F. (2017). Quando i tiranni sabaudi rasero al suolo la Sardegna, https://www.manifestosardo.org/quando-i-tiranni-sabaudi-rasero-al-suolo-la-sardegna/

Confartigianato Sardegna (2023), Potenzialità dell’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti dei capannoni nelle aree produttive presenti in Sardegna,  https://confartigianato.cagliari.it/settimana-energia-sostenibile-lautonomia-energetica-della-sardegna-puo-arrivare-dai-pannelli-fotovoltaici-sui-capannoni/

Dal Bó, E. (2006). Regulatory capture: A review. Oxford review of economic policy, 22(2), 203-225, https://doi.org/10.1093/oxrep/grj013

GIG – Gruppo di Intervento Giuridico (2024). Sardegna, realtà della speculazione energetica e normativa di salvaguardia del territorio, https://gruppodinterventogiuridicoweb.com/2024/04/11/sardegna-realta-della-speculazione-energetica-e-normativa-di-salvaguardia-del-territorio/#more-37799

Hanning, C. (2009). Sleep disturbance and wind turbine noise. Broadview Energy Developments. Sleep disturbance and wind turbine noise | Wind Energy Impacts and Issues (wind-watch.org)

Havas, M., & Colling, D. (2011). Wind Turbines Make Waves: Why Some Residents Near Wind Turbines Become Ill. Bulletin of Science, Technology & Society, 31(5), 414-426. https://doi.org/10.1177/0270467611417852

La Nuova Sardegna (2024). Pale eoliche accanto alla basilica di Saccargia: il Consiglio di Stato respinge il ricorso della Regione, via libera al progetto, https://www.lanuovasardegna.it/regione/2024/04/08/news/pale-eoliche-accanto-alla-basilica-di-saccargia-il-consiglio-di-stato-respinge-il-ricorso-della-regione-via-libera-al-progetto-1.100503147

L’Unione Sarda (2024). Devastazione eolica alle pendici del Marganai, https://www.unionesarda.it/news-sardegna/devastazione-eolica-alle-pendici-del-marganai-v1w0w1jm

Terna S.p.A. (2024). Econnextion: la mappa delle connessioni rinnovabili. https://www.terna.it/it/sistema-elettrico/rete/econnextion

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giovedì 29 maggio 2025

Cile e Argentina alleati contro i mapuche - Gianni Sartori

 

Militarizzazione del territorio, criminalizzazione della resistenza…a conti fatti non ci sono grandi differenze tra le politiche dei governi argentino e cileno

 

Già nel XIX secolo l’argentino Cornelio Saavedra (a capo della prima Giunta di governo autonomo dopo la “Rivoluzione di maggio”) adottò la strategia di installare forti militari per prendere il controllo dei territori mapuche (Wallmapu). Ponendoli strategicamente a circa cinquanta chilometri l’uno dall’altro. Per citarne alcuni: Temuco, Angol, Chiwaiwe, Traiguén, Collipulli Curaco, Perasco…

In tempi più recenti, risaliva all’ottobre 2021 (governo cileno di Juan Sebastián Piñera Echenique) il decreto per istituire lo stato di emergenza in quattro province di Wallmapu (in seguito ad alcuni sabotaggi presumibilmente opera dei dissidenti mapuche).

Riesumando sistematicamente la strategia delle Basi militari avanzate (Bases Militares Adelantadas), recuperando quelle esistenti e costruendone altre sette. Un modo efficace, si pensava, per scoraggiare ulteriori proteste degli indigeni.

Anche con il governo di Gabriel Boric Font (nonostante in campagna elettorale si fosse espresso contro l’uso delle forze armate in un conflitto interno tra lo Stato cileno e una popolazione espropriata del 95% del proprio territorio ancestrale) le cose non cambiarono di molto. Ad appena un mese e mezzo dalla fine dello stato d’assedio decretato da Sebastián Piñera (28 marzo 2022), il nuovo governo di Boric rioccupava militarmente Wallmapu (16 maggio 2022).

Operazione per la “messa in sicurezza dell’Araucania” che si fondava su tre “pilastri”: Seguridad, Plan Buen Vivir e Comisión Para la Paz y entendimiento. Rafforzando in sostanza l’utilizzo delle Bases Militares Adelantadas e realizzandone di nuove. Una quindicina: tra cui: Lumaco, Capitán Pastene, Mulchén, Contulmo, Victoria, Lonquimay, Tirua, Los Alamos, Los Sauces,Traiguén, Collipulli, Ercilla, Curacautín (in grado di ospitare un centinaio di soldati)…

 Altro “pilastro” per il controllo del territorio mapuche, la Persecución Penal Efectiva a cui si deve la carcerazione di un centinaio di prigionieri politici mapuche.

Come dichiarava Luis Cordero, ministro cileno della Pubblica Sicurezza: “…la Persecución Penal en los hechos de violencia en la macrozona sur es manifiesta.. se han presentado 491 Querellas por parte de este Gobierno y más de 552 Condenas en estos casos”.

Con ampio utilizzo di mezzi blindati e posti di blocco (per non parlare delle “sparizioni” di militanti) per reprimere il dissenso degli autoctoni e proseguire nella spoliazione delle loro terre per interessi pubblici o privati (v. la deforestazione operata da varie multinazionali con il legname inviato per lo più negli USA).

in questa gara tra Cile e Argentina a chi reprime di più i mapuche, si arriva  (febbraio 2025) all’iscrizione nella lista delle organizzazioni terroristiche del movimento Resistencia Ancestral Mapuche (RAM) da parte del governo argentino (quello del “libertario” Javier Milei). Accusando la RAM di essere responsabile degli incendiche hanno devastato le foreste della Patagonia (circa 37mila ettari). In particolare nelle province di Neuquén, Río Negro e Chubut.

Considerando le azioni dirette dei mapuche (frutto anche della legittima disperazione diffusa soprattutto tra i giovani di questa “Prima nazione” umiliata e offesa) come un “attacco alla nostra sovranità” per la ministra argentina Patricia Bullrich. E accusando in particolare la RAM di rappresentare “una minaccia grave e multiforme per la sicurezza nazionale”.

Anche se finora questo “Proteo” sovversivo e sfuggente (sulla cui effettiva consistenza, anche tra i mapuche,permangono molti dubbi) si sarebbe manifestato quasi soltanto nella persona di Facundo Jones Huala (il “Lonko”). Considerato “leader politico e spirituale dei mapuche”, l’anno scorso aveva rischiato la vita con un lungo sciopero della fame e della sete contro la persecuzione subita dal suo popolo.

Contemporaneamente, a fine luglio 2024, suo fratello Fausto Jones Huala, ugualmente militante della resistenza mapuche, si toglieva la vita in quello che appariva come un vero e proprio “suicidio di protesta”.

Un gesto di cui la madre dei due militanti ritiene responsabili lo stato cileno e quello argentino.

https://www.infobae.com/politica/2024/08/01/encontraron-muerto-al-hermano-de-facundo-jones-huala-su-madre-dijo-que-fue-un-suicidio/

In genere vestito con abiti tradizionali, Facundo Jones Huala rivendica il diritto alla resistenza anticapitalista anche con l’azione diretta. Condannato a nove anni di carcere in Cile (dopo esservi stato estradato dall’Argentina) per l’incendio di una fattoria (vuota), rigetta con indignazione qualsiasi responsabilità per i roghi delle foreste. “Noi non abbiamo mai attaccato il nostro ambiente naturale. Sostenere che appicchiamo il fuoco alle foreste è solo una menzogna” ha ripetuto in varie occasioni.

In sostanza, le accuse alla RAM sarebbero soprattutto un modo per delegittimare la residenza indigena.

Va poi ricordato che alla RAM “argentina” corrisponde un’analoga organizzazione radicale “cilena”, la CAM (Coordinadora Arauco-Malleco), a sua volta classificata come organizzazione terroristica dal Congresso cileno ancora nel 2022.

Si calcola che attualmente in Argentina vivano circa 145 000 mapuche (dati per difetto, presumibilmente) mentre in Cile sarebbero quasi due milioni.

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mercoledì 28 maggio 2025

L’illusione del riciclo è l’ultima minaccia per i consumatori “green” - thewashingnews.com

Secondo i ricercatori dell’Università di Portsmouth, il greenwashing aziendale induce gli utenti a considerare “ecologici” prodotti che tali non sono. Il risultato? Scelte sbagliate che danneggiano l’intero processo di riciclo

Il wishcycling è la pratica di smaltire materiali nella raccolta differenziata sperando che siano compatibili con il riciclo. Anche se non lo sono.

Giacciono negli “appositi” contenitori senza averne “diritto”, viaggiano verso un impianto di riciclo che non sarà in grado di trattarli, vengono infine smaltiti altrove o, verosimilmente, finiranno per contaminare la frazione recuperabile. Il tutto, ovviamente, all’insaputa dell’utente, convinto al contrario di aver fatto la scelta giusta. È questa la parabola dei rifiuti “ingannevoli”, prodotti dall’aspetto “eco-friendly” che non sono né “eco” né tantomeno “friendly” ma che, in questa veste, finiscono per illudere i consumatori, a cominciare da coloro che sono più sensibili ai temi ambientali. Un fenomeno probabilmente sottovalutato eppure piuttosto diffuso che, da tempo, è stato anche battezzato con un termine più che eloquente: wishcycling, altrimenti detta “illusione del riciclo”.

L’illusione del riciclo

Di che si tratta? Essenzialmente della pratica di smaltire materiali nella raccolta differenziata nella speranza – più che nella certezza – che essi siano riciclabili. Anche se spesso non lo sono. Un problema evidente che, assicurano gli esperti, chiama in causa il ruolo stesso degli utenti. “I consumatori moderni sono stati investiti di una responsabilità che potrebbe essere al di là delle loro competenze: decidere cosa fare dell’imballaggio di un prodotto dopo l’uso”, ha scritto in un recente articolo su The Conversation Anastasia Vayona, ricercatrice della Facoltà di Scienze e Tecnologia della Bournemouth University.

Ma la verità, aggiunge, è che molti di loro sono in realtà “impreparati, poco informati o semplicemente inconsapevoli di tutti gli effetti delle loro scelte”.

La principale responsabilità, in ogni, non può essere comunque attribuita ai consumatori. Spetterebbe prima di tutto alle aziende, infatti, il compito di fornire indicazioni chiare sul trattamento dei loro prodotti una volta divenuti rifiuti. Peccato, però, che tutto questo spesso non avvenga. E che le strategie di greenwashing, per contro, inducano i consumatori ad assumere “decisioni errate e potenzialmente dannose”.

Le persone attente all’ambiente sono anche le più vulnerabili

A chiarire questa dinamica sono stati la stessa Vayona e i colleghi dell’ateneo britannico che, in uno studio pubblicato su Sustainable Development, hanno analizzato la relazione tra marketing aziendale, percezione delle motivazioni e comportamenti di riciclo di 573 consumatori nel Regno Unito. L’indagine è stata diffusa un anno fa ma i suoi risultati sono di stretta attualità. Gli autori, in particolare, hanno posto una certa enfasi su un fenomeno tuttora molto comune: quello del cosiddetto “alone ambientale”,

Come dire, ricorda lo studio, che bastano una confezione ben studiata oppure un paio di etichette verdi, una fogliolina stilizzata e uno slogan vago quanto ammiccante – eco-friendly, appunto – per indurre gli utenti a considerare l’intero prodotto più ecologico di quanto sia realmente.

L’aspetto più sorprendente, però, è costituito in realtà dal profilo psicologico del consumatore. Chi ha maggiore consapevolezza ambientale (a partire dai giovani), un livello di istruzione più alto e una personalità più sicura (in termini di autostima e di stabilità emotiva, ad esempio) finisce, paradossalmente, per essere più vulnerabile al greenwashing. Secondo i ricercatori, infatti, “i consumatori con livelli di istruzione più elevati tendono a riporre maggiore fiducia nelle dichiarazioni delle aziende che promuovono la sostenibilità e le pratiche etiche”. Anche quando queste affermazioni sono generiche o non verificabili.

Un problema per l’intera catena del riciclo

Le conseguenze di queste pratiche sono notevoli. Per quanto incolpevoli, i consumatori si ritrovano di fatto a immettere materiali non corretti nei flussi di riciclo. Con il rischio di compromettere l’intero processo. “Anche piccoli errori, come lo smaltimento di una confezione multistrato non separabile“, spiega infatti lo studio, ”possono portare alla contaminazione di un’intera partita di rifiuti riciclabili”.

Che fare, dunque? La soluzione, affermano gli autori, consiste nel garantire un riciclo migliore a partire dalle scelte stesse delle aziende. Servono, insomma, packaging più trasparenti e realmente sostenibili, standard condivisi per l’etichettatura e una maggiore responsabilità da parte dei produttori. Ma anche l’impegno e l’attenzione di “consumatori dotati di senso critico e attenti all’ambiente”.

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martedì 27 maggio 2025

La Città Rosa - Grig

 

Cagliari, Fenicotteri (Phoenicopter ruber) e Sella del Diavolo

Vivere in una città in un’Isola un po’ alla deriva nel Mediterraneo Occidentale ha tanti difetti, ma alcuni pregi straordinari, unici, impagabili.

La qualità della vita ne risente positivamente. E di molto.

Sì, Cagliari è una città a misura d’uomo, ma anche a misura d’uovo.

Cagliari, Stagno di Molentargius, Fenicotteri (Phoenicopter ruber) in nidificazione

Non esiste un’altra città europea dove i tuoi vicini di casa sono decine di migliaia di Fenicotteri rosa (Phoenicopter ruber).

A Cagliari la presenza dei Fenicotteri è viva, quotidiana.

Fenicotteri (Phoenicopter ruber) in volo

La mattina presto e la sera vedono il cielo disegnato da formazioni di centinaia di Fenicotteri.

Nello Stagno del Molentargius, all’interno del parco naturale di Molentargius-Saline, nel bel mezzo dell’area vasta di Cagliari, hanno realizzato a partire dal 1993 la loro grande Città Rosa.

Cagliari, Molentargius, nidificazione dei Fenicotteri (Phoenicopter ruber)

Migliaia di nidi, migliaia di pulli già nati che consolideranno la presenza ormai stabile della specie a Cagliari e in parecchie zone umide della Sardegna, a iniziare dal vicino Stagno di Santa Gilla.

Fenicotteri rosa (Phoenicopterus ruber)

Nonostante l’abusivismo edilizio che imperversa tuttora nell’area naturale protetta, nonostante le discariche abusive, nonostante gli incendi, nonostante il bracconaggio, nonostante le carenze gestionali del parco naturale regionale, nonostante i tanti approfittatori che s’affollano intorno, i Fenicotteri continuano a resistere e a regalarci ogni giorno uno straordinario dono di natura e costituiscono una bella parte dell’identità del luogo.


Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Fenicottero rosa (Phoenicopter roseus)

(foto S.D., archivio GrIG)


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domenica 25 maggio 2025

Se i bimbi in visita alla moschea fossero andati in sinagoga, si sarebbe sollevato lo stesso polverone? - Alex Corlazzoli

Credo che non serva aggiungere commenti in difesa delle maestre venete. Basta questo semplice interrogativo

“Extra omnes e Inshallah. L’asilo che prega in moschea fa ridere” (Il Foglio, 6 maggio). “Sui bimbi in moschea il Pd si spacca. Fdi e Lega: E’ indottrinamento” (La Verità, 6 maggio). “Crescono le violenze degli stranieri ma i bimbi vanno a lezione dall’Imam” (La Verità, 5 maggio). “A lezione di Corano” (Libero, 5 maggio). Sono i titoli dei quotidiani di destra sulla vicenda della scuola dell’infanzia paritaria (cattolica) di Ponte Priula, in Veneto, accusati dai politici al governo di aver portato dei bambini in una moschea, di aver parlato con un imam, di aver approfondito la religione islamica, di aver fatto “un compito di realtà” – ovvero capire come avviene una preghiera per Allah.

Nulla di segreto, tant’è che gli insegnanti hanno pubblicato una fotografia dell’iniziativa sui social con questo commento: “Questa mattina siamo stati accolti dall’Imam nella moschea di Susegana… è stata un’esperienza davvero emozionante. Ci siamo tolti le scarpe, le maestre hanno indossato un velo e siamo entrati in una grande stanza dove per terra c’era un enorme tappeto rosso con alcune strisce bianche dove ci si mette per pregare. L’imam ci ha spiegato che la religione musulmana si fonda su 5 pilastri e ci ha detto che loro pregano 5 volte al giorno (ci abbiamo anche provato). Già in occasione della festa per la fine del Ramadan Shevala, mamma di Bilal, ha letto un libro che spiega ai bambini cos’è e cosa si fa durante il Ramadan. Grazie di cuore all’Imam che ci ha aperto le porte della moschea e ci ha accolto con rispetto, amicizia ed entusiasmo”.

Apriti cielo! L’eurodeputata Anna Maria Cisint della Lega ha parlato di “scelta agghiacciante e gravissima”. Inutile citare Salvini e scontato dire che il ministro leghista dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha fatto intervenire il direttore dell’Ufficio scolastico regionale, il leghista Marco Bussetti (ex ministro) inviando la consueta ispezione. Ma anche il “buon” presidente Luca Zaia ha detto: “E’ stato superato il limite. Va rispettata la fede religiosa di chiunque. Immagino che molti di questi bambini provengano da famiglie cattoliche. Si è mancato loro di rispetto. Non si è rispettato l’aspetto identitario. Se tu ti dichiari cattolico ma anche se ti dichiari ateo, comunque la tua identità ha profonde radici cristiane. Non può essere violata o cancellata. Dal punto di vista formativo questi sono bambini nell’età dell’imprinting. Assorbono tutto. Ricordano e ne sono condizionati tutta la vita”.

Ora, faccio una domanda a tutti questi “esperti” di pedagogia: ma se invece di andare in moschea, i bambini di Ponte Priula fossero andati in una sinagoga, avessero incontrato un rabbino e indossato la kippah, cosa avreste detto? Si sarebbero fatti gli stessi titoli? Credo che non serva aggiungere commenti in difesa delle maestre venete. Basta questo semplice interrogativo.

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sabato 24 maggio 2025

La geoingegneria è colonialismo climatico - Silvia Ribeiro

 

Come mai i megaricchi dell’oligarchia tecnologica hanno generosamente finanziato il forum globale sulla geoingegneria solare che si è appena svolto in Sudafrica? Perché vedono la geoingegneria come il modo tecnologico per fingere di domare il cambiamento climatico senza toccare le cause. Lo sviluppo della geoingegneria solare provocherà gravi siccità e inondazioni, soprattutto nei paesi tropicali. L’Africa, del resto, è stata già per secoli un laboratorio di sperimentazione occidentale, dai test medici ai rifiuti tossici, ricordano alcune reti africane: con la crisi climatica, arriva la nuova ondata di esperimenti pericolosi chiamata geoingegneria

 

Dal 12 al 16 maggio 2025, la ONG britannica Iniciativa Degrees (ID) ha organizzato in Sudafrica un forum globale sulla geoingegneria solare, al quale si è rivolta la maggioranza degli attori chiave che la promuovono. Sia coloro che spingono queste rischiose proposte tecnologiche, sia quelli che le finanziano, sono nella loro grande maggioranza gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri paesi del nord globale che sono tra i principali responsabili del caos climatico che soffriamo in tutto il pianeta, soprattutto nei paesi del sud. Per questo motivo hanno bisogno di mostrare che la geoingegneria potrebbe servire nei paesi del sud, anche se in realtà è tutto il contrario. Lo sviluppo globale della geoingegneria solare provocherà gravi siccità e inondazioni, soprattutto nei paesi tropicali. È inoltre impossibile governare democraticamente, per cui esiste un’iniziativa globale di oltre 500 scienziati che propongono un trattato internazionale di non utilizzo di questa tecnologia (https://www.solargeoeng.org/).

“Invece di ascoltare le soluzioni reali alla crisi climatica proposte dalle popolazioni indigene e dalle comunità locali, la ricerca nella geoingegneria solare è una distrazione, che dà ai contaminatori un’altra scusa per continuare con i loro affari come sempre, continuare con l’estrattivismo, principale causa delle emissioni di carbonio in Africa, e eludere la sua responsabilità storica nella crisi climatica”, scrivono Kwami Kpondzo della Coalición Mundial por los Bosques en Togo e Josué Aruna de la Sociedad para la Conservación de la Cuenca del Congo, República Democrática del Congo. Questo forum dell’Iniciativa Degrees rappresenta un tentativo di normalizzare la ricerca sulla manipolazione della radiazione solare in Africa, sotto il pretesto della “partecipazione dei paesi allo sviluppo” spiegano (https://tinyurl.com/24st8k3h).

Proprio per questo l’ID ha invitato al forum diversi ricercatori africani e latinoamericani (di Messico, Argentina, Brasile, Cile e Giamaica) che hanno ricevuto piccoli progetti di geoingegneria solare che dicono siano “solo” per studiare l’impatto di tali proposte sulle nostre regioni. In Africa e Asia hanno finanziato una dozzina di progetti in ogni regione, e in America Latina dieci progetti, tra cui tre con ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Cambiamento Climatico dell’UNAM, che considerano l’uso della geoingegneria solare rispetto ai rischi del cambiamento climatico. Questo approccio ristretto prende in considerazione solo alcuni impatti, non l’intera gamma di rischi che comporta la geoingegneria, il che si traduce in un modo per normalizzare questa pericolosa proposta (https://tinyurl.com/4vprpyf7).

“Non ci sono dubbi: questo è colonialismo climatico mascherato, e noi africani lo abbiamo già visto accadere in passato. Le organizzazioni della società civile africana hanno denunciato la Degrees Initiative come un atto di colonialismo climatico volto a cooptare il movimento africano, il mondo accademico e i giovani, minacciando la sovranità, gli ecosistemi e il futuro dei popoli africani”, hanno aggiunto, riferendosi alla dichiarazione rilasciata dalla Don’t Tamper with Mother Earth (HOME) Alliance (https://tinyurl.com/ms39ctss).

L’Iniziativa Degrees con i suoi progetti “nei paesi del sud” è il più grande investimento nel lavaggio dell’immagine della geoingegneria. La ricercatrice Anja Chalmin, ha analizzato i suoi progetti e ha mostrato come questa ONG britannica impone la sua agenda e le sue linee guida ai ricercatori del sud, poiché la maggior parte dei direttori e dei ricercatori principali provengono da istituzioni del nord globale, e che questi hanno messo il loro nome sull’80 per cento delle pubblicazioni, approfittando così dei fondi per il sud (https://tinyurl.com/mtk4xvh9).

Questo forum globale è stato generosamente finanziato, il che non è strano. I megaricchi dell’oligarchia tecnologica globale vedono la geoingegneria come il modo tecnologico per “domare” il cambiamento climatico senza toccare le cause.

È particolarmente preoccupante che l’Agenzia governativa per la ricerca e l’innovazione avanzata (ARIA) del Regno Unito, ha annunciato il 7 maggio che finanzierà con circa 75 milioni di dollari 21 progetti di geoingegneria, che includono cinque esperimenti all’aperto in altri paesi, non nel loro territorio. L’ID e diversi suoi ricercatori riceveranno anche parte di questi fondi (https://tinyurl.com/2emudrwf).

È significativo che questa potenza imperialista di lunga data finanzi esperimenti sul campo della geoingegneria in altri paesi. Come dicono Kpondzo e Aruna, “l’Africa è stata per secoli un laboratorio di sperimentazione occidentale, dai test medici ai rifiuti tossici. Con la crisi climatica, ora arrivano con la loro nuova ondata di esperimenti pericolosi, la geoingegneria“.

“Questo non è lo sviluppo di capacità del sud [come sostengono i ricercatori finanziati da Degrees], ma la cattura di capacità. Cercano di creare una narrativa che queste tecnologie giovano all’Africa, quando chiaramente servono gli interessi di coloro che storicamente hanno sfruttato il nostro continente”.

Sono le stesse intenzioni in America Latina. Continuare a riscaldare il pianeta con l’altissima domanda di energia e risorse dei più ricchi, e usare il sud globale come laboratorio.

 

Pubblicato su La Jornada (e qui con l’autorizzazione dell’autrice, traduzione di Comune)

 

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