Quando hanno cominciato a costruire un edificio nel cortile del suo palazzo, Simona Franchetti ha chiesto spiegazioni. “Signora, si può arrabbiare quanto vuole ma Milano sarà tutta così”, le ha detto l’ingegnere responsabile del cantiere. Quando lei ha minacciato di presentare un esposto alla guardia di finanza, cosa che poi ha fatto, l’amministratore del condominio vicino le ha detto: “Ma cosa si è messa in testa, qui siamo a Milano, mica a Catanzaro, dove si costruisce abusivamente”. Lei ha risposto che la cosa non la convinceva e che sarebbe andata avanti. Aveva ragione.
Nel maggio 2024 il cantiere in via
Leopontina, nel cortile interno tra i civici 7 e 9, è stato sequestrato dalla
procura di Milano. Gli oneri urbanistici, cioè i contributi per finanziare i
servizi, erano stati sottostimati, i volumi e le superfici non erano a norma e
mancava un piano di opere pubbliche: dalle fognature al servizio idrico, agli
spazi verdi. È stata una violazione “dell’abc dei principi costituzionali di
legalità”, ha scritto il giudice per le indagini preliminari, Mattia
Fiorentini.
Quello di via Leopontina è uno dei 150
cantieri finiti nell’inchiesta
della magistratura sugli edifici tirati su senza permessi di costruzione a Milano. I
costruttori hanno infatti presentato solo una segnalazione certificata di inizio
attività (Scia), cioè una richiesta di autorizzazione che non prevede un
assenso esplicito da parte del comune. L’inchiesta ha svelato le responsabilità
di diversi dirigenti del comune di Milano.
Franchetti scorre i rendering del progetto
nel cortile interno del suo palazzo. Lo hanno chiamato Giardino segreto e
prevede la costruzione di 61 appartamenti al posto di un fabbricato un tempo
usato come deposito di medicine delle farmacie comunali, ora demolito. “Le case
in sé non sembrano neanche male”, commenta. “È il contesto che è sbagliato.
Quelli dei piani alti avrebbero avuto sotto gli occhi un panorama di pannelli
solari e bidoni per la raccolta dell’acqua piovana. Il verde sarebbe stato
decorativo. Ho chiesto se fossero previsti dei servizi, un asilo, un parco.
Niente, non era previsto niente”.
Nel quartiere c’è un asilo con diverse
classi, spiega Franchetti, ma da alcuni anni i posti non bastano per soddisfare
la domanda. Presentando la costruzione di edifici di decine di piani come
ristrutturazioni, costruttori e fondi immobiliari hanno evitato di pensare ai
servizi, risparmiato milioni di euro di contributi per realizzarli e aumentato
i possibili guadagni. I cittadini, di contro, rischierebbero di ritrovarsi
proporzionalmente con meno parcheggi, scuole, piscine, biblioteche, parchi, e
tutto quello che distingue una città da un aggregato di case abusive. È questo
il prezzo pagato da Milano per attirare capitali finanziari privati. Secondo
il giornalista Gianni Barbacetto, il danno erariale potrebbe ammontare a
un miliardo e mezzo di euro, tra contributi per i servizi scontati e non
incassati dal comune.
“Costruivano alla velocità della luce, in
un anno hanno tirato su di tutto”, racconta Maria Castiglioni dell’associazione
Parco piazza d’Armi, indicando un complesso edilizio che affaccia sul lago
Cabassi nel parco delle Cave. Qui la multinazionale francese Nexity stava
costruendo tre torri residenziali tra i 27 e 43 metri di altezza, in grado di
ospitare più di duecento nuovi inquilini. “Abitare in armonia con la natura” è
lo slogan sul sito del progetto immobiliare Residenze lac. Quella proposta è
una “Milano vista lago”.
“All’inizio del novecento da questi
terreni si estraeva la sabbia e la ghiaia per costruire il duomo, le strade e i
palazzi del centro”, racconta Amelia Rinaldi, dell’associazione Le giardiniere.
Poi nelle cave sono finiti i rifiuti. Negli anni novanta, grazie alle battaglie
dei cittadini, l’area è diventata un parco e le cave, che intanto si erano
riempite d’acqua, dei laghi. A dicembre del 2023 Le giardiniere e Parco piazza
d’Armi hanno presentato un esposto contro la Nexity e a luglio del 2024 il
cantiere è stato sequestrato: anche le Residenze lac sono state tirate su con
una Scia e senza un piano per i servizi. La convenzione urbanistica tra i
costruttori e il comune non è passata dalla giunta o attraverso il consiglio
comunale, ma è stata firmata nello studio di un notaio, come se la
trasformazione della città fosse un fatto privato.
“C’è stata una resa del pubblico, che non ha
spinto le aziende immobiliari a costruire per realizzare anche qualcosa per la
collettività, con un senso per la città”, commenta Christian Novak, professore
di progettazione urbanistica al Politecnico di Milano.
A Milano, come altrove, è possibile
costruire entro certi limiti in base alle zone, ma ci sono delle eccezioni,
spiega Novak. Se il proprietario di un’area non può costruire perché il terreno
è destinato a servizi, può vendere il suo diritto edificatorio. Chi compra lo
può sommare ad altri diritti fino a raggiungere cubature molto grandi e
costruire un grattacielo. La legge nazionale, però, stabilisce dei limiti: non
si può costruire un edificio di più di 25 metri senza un cosiddetto piano
attuativo dei servizi, cioè un progetto dettagliato che spiega come saranno
creati i servizi pubblici.
Il comune di Milano non solo ha ignorato
questa legge, ma nel 2023 ha pubblicato una circolare affermando che non
c’era bisogno di piani attuativi, soprattutto nelle aree storiche della città,
quelle con una struttura stabile, costruite secondo i piani del passato. “Vuol
dire che si può passare direttamente da un garage a un grattacielo residenziale,
senza valutare le conseguenze di un’operazione simile”, commenta Novak. “Dal
Bosco verticale in poi a Milano si è puntato tutto sullo sviluppo in altezza.
Stiamo diventando come New York, con grattacieli strettissimi e altissimi
perché, a parità di suolo occupato, il valore di un edificio aumenta”, spiega
Novak.
Le case sono concepite come strumenti
finanziari. “È tutto pensato per sfruttare al massimo lo spazio libero. Lo
scopo è quello di guadagnare e basta”, sostiene Simona Franchetti. Il problema
è che anche chi compra spesso lo fa per questo: “Le persone acquistano
soprattutto appartamenti piccoli e poi rivendono al doppio del prezzo. Stanno
facendo tutti così”, racconta. Una città senza servizi, con case piccole, buie
e costose sta diventando la norma. “La gente si abitua e non protesta”,
commenta Franchetti.
Per alcuni però il cambiamento è violento.
In via Melchiore Gioia quattro torri nere di uffici, chiamate Portali, stanno
soffocando il cortiletto di un complesso residenziale costruito negli anni
quaranta. Una torre nera sta letteralmente privando di tutto gli abitanti di
uno degli edifici, togliendo loro aria, luce e la vista del parco.
Grazie al risparmio sui contributi per i
servizi pubblici, i guadagni immobiliari sono triplicati. Una piattaforma
online di raccolta fondi immobiliare, che raccoglieva capitale immobiliare da
piccoli investitori che speculano sull’aumento del valore delle case,
prometteva un ritorno annuo di più del 16 per cento (contro la media italiana
del 5 per cento) per il complesso in via Leopontina.
Con il crowdfunding chiunque può diventare
azionista di una società immobiliare: investe, aspetta e incassa. E alimenta la
crisi abitativa: a Milano i prezzi delle case sono aumentati del 58 per cento
tra il 2015 e il 2023. A crescere di più sono stati i prezzi delle abitazioni
nuove: più del 10 per cento in un solo anno, tra il 2022 e il 2023. I salari
invece sono aumentati molto meno, secondo l’Osservatorio casa abbordabile del Politecnico
di Milano. Ora che le inchieste hanno bloccato il meccanismo, in molti si lamentano:
“Chi ha investito, chi ha comprato: vanno tutti a piangere in televisione”,
dice Franchetti, “ma questo modo di costruire e comprare case, basato solo
sulla speculazione, dovrebbe essere vietato. E noi che abitavamo già qui, chi
ci tutela?”.
“Chi è più furbo costruisce di più”, commenta
Novak. “Ed è sempre una torre, una torre di lusso. Nelle pubblicità delle case
spesso non si capisce neanche dove siano. La torre è una narrazione, la
narrazione dell’attico, del lusso, dell’essere staccati da terra. Poi che nella
torre ci sia chi abita al primo e al secondo piano non importa. Ti vendono un
sogno”.
È un sogno di esclusività e isolamento.
“Le ricadute sulla città sono diverse, con edifici fuori scala e in contrasto
con il contesto circostante”, spiega Novak, mentre sullo schermo del computer
zooma su un edificio più alto di diversi piani rispetto a quelli vicini.
Quando la magistratura ha cominciato a
indagare, il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha sostenuto che il modo in cui si
costruisce in città è corretto. Come hanno rivelato le indagini, su diretta
richiesta dei dirigenti indagati, per bloccare le inchieste è nata la proposta
della cosiddetta legge Salva Milano, che amplia il concetto di ristrutturazione
edilizia, con una validità retroattiva.
Approvata alla camera il 21 novembre 2021
e passata al senato, è una proposta di legge secondo cui le determine
dirigenziali milanesi avrebbero interpretato correttamente la legislazione
urbanistica nazionale, consentendo trasformazioni rilevanti senza una
pianificazione attuativa, senza oneri e senza un’offerta di servizi.
Dopo la pubblicazione di un appello, partito
dal Politecnico di Milano e firmato da numerosi urbanisti, in senato il disegno
di legge non è passato. “Se fosse approvato il Salva Milano, molte delle nuove
costruzioni sarebbero classificate come ristrutturazioni, che per legge
prevedono il pagamento di contributi ridotti. Ogni comune in Italia avrebbe il
60 per cento in meno di soldi da spendere per realizzare i servizi. Tra
15 o 20 anni ci troveremo con amministrazioni che non avrebbero più soldi
per tenere aperte le piscine, le biblioteche, i parchi”.
Milano già oggi è così. Nell’estate 2024
funzionavano solo tre delle otto piscine pubbliche. “Stiamo assistendo alla
riduzione e privatizzazione di tutti i servizi pubblici”, dice Luca (nome di
fantasia), attivista del comitato Amici della Scarioni che si batte contro la
privatizzazione dell’omonimo centro balneare, progettato dagli architetti del
comune e inaugurato nel 1957.
Nel 2003 la giunta di centrodestra ha
speso dodici milioni di euro per ristrutturare la Scarioni, affidandola in
gestione alla Milano sport, una partecipata del comune, che non ha fatto la
manutenzione, l’ha dichiarata inagibile e l’ha chiusa, spiega Luca. Tre anni
dopo una multinazionale spagnola, la Ingesport, poi denominata Go Fit Life, ha
proposto al comune di prenderla in gestione. La Ingesport è finanziata da
capitali finanziari in cerca di un ritorno economico. Oltre alla Scarioni ha
preso di mira anche le piscine Lido e Argelati.
Alla Scarioni il progetto prevede
l’eliminazione della piscina per bambini e la divisione della vasca grande in
due piccole. “Lo spazio è ridotto per spendere il meno possibile per l’acqua: è
tutto orientato al profitto. Si vuole fare l’ennesimo centro fitness. È il
concetto di svago, di ricreazione, di riposo, che è cancellato”, dice Luca. Non
ci sono stati confronti con le associazioni sportive, con i cittadini, né
ipotesi alternative da parte del comune o studi sui costi per dimostrare la
convenienza della gestione privata della Scarioni, che durerebbe quarant’anni.
Il comitato Sai che puoi ha pubblicato
un report sui centri
balneari, redatto insieme a due urbanisti, per spiegare come il modello di
gestione adottato dal comune, il partenariato pubblico-privato, vada tutto a
favore del privato. “Il contributo pubblico è un ‘aggravio per le casse del
comune’ o un investimento sociale?”, si legge nella ricerca. A Parigi, in
Francia, l’ingresso in una piscina pubblica costa 3,50 euro; a Berlino, in
Germania, va dai 2,50 ai 5,50 euro. A Milano, invece, la Ingesport vorrebbe
introdurre abbonamenti annuali e mensili e aumentare il biglietto giornaliero a
18 euro.
Eppure, in tempi di crisi climatica le
piscine, gli spazi verdi e i luoghi pubblici all’aperto sono fondamentali per
la salute. Lo scorso agosto 3.500 persone sono morte nelle città italiane a
causa delle isole di calore, secondo un testo scritto da
urbanisti ed esperti di diritto ambientale.
Luca vede un disegno preciso in quello che
sta succedendo alla piscina Scarioni: “Si vogliono allontanare i poveri, che
abitano nel quartiere e che da sempre frequentano la piscina”. A Niguarda
stanno chiudendo tutti i servizi: il consultorio, il mercato comunale e
l’anagrafe in via Passerini. I circoli Arci e le associazioni culturali fanno
fatica. “L’impressione è che vogliano mandarci via”, aggiunge Luca. Nel
quartiere Isola, dov’è cominciata la moda delle torri di lusso, i vecchi
abitanti non sanno più neanche dove comprare il pane, spiega l’attivista.
Come se non bastasse, negli ultimi due
anni diverse persone sono state schiacciate da betoniere, quelle che fanno il
cemento per le nuove torri. “Scatta il verde, la bici va dritta sulla
ciclabile, la betoniera gira, non vede il ciclista e lo schiaccia”, spiega
Massimo Lafronza, del comitato Sai che puoi. “Anche per questo c’è stata una
grande mobilitazione di cittadini sul tema della sicurezza dei ciclisti. A
Milano si è affermato un modello di città arrogante”, dice Lafronza. La
presenza di enormi Suv parcheggiati dove la sosta è vietata, sulle strisce
pedonali, sui marciapiedi, in doppia fila, nelle aree verdi, è un fatto ordinario.
“Ma la sottrazione di spazio pubblico non è percepita come un problema, neanche
dal comune: è culturalmente accettata”, continua Lafronza. Una sera di maggio
del 2024, grazie a duemila volontari divisi in ottocento squadre, il comitato
ha mappato tutte le auto parcheggiate sui marciapiedi di Milano, contandone ben
64mila che occupavano illegalmente un’area grande quanto 77 campi da calcio.
I parcheggi non si trovano anche perché
quando realizzano le case i costruttori possono raggiungere un accordo
economico con il comune per evitare di farlo. Questa procedura si chiama
“monetizzazione dei servizi”. Il comune però spesso usa queste entrate per la
gestione ordinaria e i servizi non li realizza nessuno. A febbraio il sindaco
Sala ha
minacciato di tagliare i servizi se non si fosse approvato il Salva Milano per
sbloccare i cantieri.
Le città dovrebbero rompere la dipendenza
economica dall’attività immobiliare privata per finanziarsi: in un paese che ha
concesso 170 miliardi di euro in crediti d’imposta per bonus edilizi a favore
di privati, il problema non è tanto la mancanza di risorse pubbliche, quanto il
modo in cui sono usate. In secondo luogo, i contributi pagati dai costruttori
sono stati per molto tempo di gran lunga più bassi che altrove in Europa,
facendo dell’Italia un paradiso fiscale. A Milano questi ultimi sono un terzo
rispetto a quanto dovuto in città come Monaco di Baviera. Secondo
l’urbanista Roberto Camagni, che si è occupato a lungo di questo tema, bisogna
alzare le tasse sulle trasformazioni urbane, che generano enormi plusvalenze,
per redistribuire quel valore tra i cittadini.
È l’interesse pubblico che a Milano è
saltato. Se il comune avesse multato tutte le auto parcheggiate male la notte
della mappatura avrebbe ottenuto un gettito di 5,3 milioni di euro, secondo il
comitato Sai che puoi. “Con quei soldi si potrebbero finanziare 134mila
abbonamenti mensili al trasporto pubblico o seimila rette annuali per gli asili
nido”, si legge nel report Via libera.
Un tempo i piani regolatori garantivano i
diritti dei più deboli, ma a partire dagli anni ottanta il peso dei proprietari
privati nella trasformazione della città è cresciuto fino a prevalere. Il Salva
Milano è solo l’ultima di una serie di attacchi alle regole attraverso cui
l’urbanistica garantisce l’equilibrio tra pubblico e privato. Il tutto in nome
di una semplificazione delle norme che gli investitori chiedono per aumentare i
guadagni realizzati con la rendita immobiliare.
Dopo le proteste e le inchieste, il Salva
Milano è fermo al senato. Ma l’attacco alle città continua. A Roma
l’aggiornamento del piano regolatore sembra riproporre il “modello Milano”,
favorendo i privati invece che la collettività. Un altro disegno di legge in
discussione in senato propone di delegare la rigenerazione urbana a interventi
edilizi privati, anche per singoli edifici, che godranno di incentivi pubblici.
La proposta tratta un tema politico, quello della trasformazione delle città,
come una questione edilizia, appannaggio dei soli costruttori. Il tutto in nome
della battaglia per arrestare il consumo di suolo. Ma costruire in altezza non
ha arrestato questo processo, neanche
a Milano. Soprattutto, però, non spetta a proprietari e costruttori decidere il
futuro delle città, che sono di tutti.
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