La
maggioranza sta per affossare definitivamente il salario minimo. Fratelli
d’Italia teme lo smarcamento della Lega, pronta
a presentare una sua proposta ad hoc sugli stipendi con la previsione
dell’adeguamento all’inflazione, e per non farsi rubare la scena ha
tirato fuori dal cassetto il ddl delega al governo sui salari
equi che giaceva da mesi in commissione Lavoro e Affari sociali al
Senato. È il testo nato come ddl delle opposizioni sul salario
minimo e snaturato trasformandolo appunto in delega e
cancellando la previsione di una paga oraria di almeno 9 euro lordi
all’ora: l’obiettivo ora è mandarlo in Aula entro fine mese. Martedì la
commissione guidata da Francesco Zaffini (FdI) ha audìto in tutta fretta una
decina di enti, da Cna a Confcommercio e
Federterziario, perlopiù notoriamente contrari alla fissazione di un minimo
legale. In prima linea, nel tentare di fornire ulteriori assist al
governo, i consulenti del lavoro. Ma a una lettura attenta la loro
analisi non regge.
Un passo indietro. La proposta della maggioranza delega il governo ad adottare misure per rafforzare l’efficacia dei contratti collettivi e promuoverne il rinnovo. Il primo step prevede che si individuino quelli “maggiormente applicati” in ogni settore – previsione pericolosa perché non si tratta necessariamente di quelli sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative – e si estenda a tutti i lavoratori di quella categoria il loro trattamento economico complessivo minimo. Il presupposto è che i ccnl più applicati (anche se firmati da sigle poco note o “pirata”) garantiscano automaticamente il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione sul diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata e sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa.
Il consiglio
nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, presieduto per 18 anni dalla
ministra Marina Elvira Calderone e alla cui guida c’è ora il
marito Rosario De Luca, ha dunque consegnato ai senatori un
approfondimento che punta proprio a rafforzare quella tesi. La conclusione
a cui arriva è che “anche in assenza di un salario minimo legale”, oggi adottato
in 22 Paesi Ue su 27, “il livello retributivo complessivo previsto dai
Contratti collettivi nazionali di lavoro è già in linea o
addirittura superiore alla retribuzione minima imposta per
legge in altri Stati”. Per esempio? Il principale CCNL per i dipendenti
di terziario, distribuzione e servizi stando ai
calcoli dei consulenti, prevede un minimo mensile lordo di 1.721 euro che
vengono confrontati con i minimi in vigore in Germania, Francia, Spagna e Romania (sic).
La tabella mostra però chiaramente come sia in Germania sia in Francia il
minimo legale sia più alto (2.161 e 1.802 euro). E lo stesso vale per quanto
riguarda il CCNL per i dipendenti di pubblici esercizi e turismo (1.667,21
euro di minimo) e quello per i dipendenti delle imprese artigiane
metalmeccaniche (1.717,35 euro). Ma Spagna (1.381 euro) e Romania
(814) sono superate ed evidentemente tanto basta.
Ma è altrove
che l’analisi fa acqua con maggiore evidenza. Cioè dove punta a smentire che
sia utile fissare – come prevedevano le proposte delle opposizioni – una soglia
minima inderogabile sotto la quale nemmeno la contrattazione possa
scendere, preservando e valorizzando per il resto l’autonomia
negoziale. Per farlo, oltre all'”indagine empirica comparata”
con i Paesi-campione visti prima, il documento evidenza in una tabella le
componenti della retribuzione minima prevista da sei contratti “tra quelli
più applicati nel panorama italiano” per far emergere come il
salario minimo orario sia sempre superiore ai 9 euro lordi. L’esercizio però ha
molte debolezze.
Per prima
cosa, i sei contratti selezionati, per quanto diffusi, coprono stando
all’archivio del Cnel 6,4 milioni di dipendenti su un totale
di oltre 18 milioni: una minoranza, ovviamente non
rappresentativa. Tre ccnl su sei sono della metalmeccanica, settore molto
sindacalizzato e dalla contrattazione storicamente “ricca” al confronto con
il terziario. Quest’ultimo comparto compare nel campione con due
contratti che vedono come firmatari rispettivamente Confcommercio e Legacoop e
i confederali, entrambi rinnovati nel 2024. Infine, viene preso in
considerazione il contratto della logistica di Assologistica, il
migliore del settore.
Almeno in
questi casi i minimi sono davvero sopra i 9 euro lordi? In realtà per fare
tornare i conti i consulenti considerano nel calcolo anche i ratei di
tredicesima ed eventuale quattordicesima e
addirittura il Tfr, elementi del trattamento economico complessivo che però erano
stati esclusi dalla soglia prevista nella proposta di legge di Pd, M5s, Avs e Azione.
Così facendo è facile restituire l’impressione che un salario minimo in Italia
non servirebbe a nulla. Ma se si vanno a guardare i “veri” minimi la situazione
è ben diversa: trasformando la retribuzione tabellare minima riportata nella
tabella nella corrispondente retribuzione oraria, si scopre che il CCNL del
terziario, distribuzione e servizi applicato a 2,49 milioni di lavoratori ha un
minimo poco superiore a 7,9 euro all’ora, quello dei pubblici
esercizi e turismo che copre oltre 700mila lavoratori prevede un minimo
di 7,69 euro. Solo il contratto principale dei metalmeccanici e
quello delle pmi metalmeccaniche sono sopra la soglia dei 9 euro. La logistica,
con 8,46 euro, non ci arriva.
Nonostante
l’attenta scelta di ccnl relativamente generosi rispetto ai tanti contratti pirata disponibili per
le aziende attive in quegli ambiti, lo sforzo di dimostrare che la
contrattazione collettiva è “unica sede idonea a garantire l’equilibrio tra giustizia
sociale, sostenibilità economica e valorizzazione
professionale nei diversi contesti produttivi” mostra le corde.
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