martedì 20 maggio 2025

La mia auto elettrica va… a benzina: mi sento un po’ preso in giro - Ferdinando Boero

Marchionne, quando era a capo della Fiat, disse: se un’auto elettrica prende energia da una centrale a carbone… va a carbone. Certo, diminuisce l’inquinamento in città, ma delocalizzare l’inquinamento è solo una finta. Il passaggio alle rinnovabili dovrebbe risolvere il problema.

Prima avevo un’auto a gasolio, ma oramai era vecchia e l’ho cambiata. Non volevo comprare un’auto da ricaricare alla colonnina, non c’è ancora garanzia di autonomia e di ricarica rapida. Ero soddisfattissimo dell’auto che avevo, così ho deciso di rinnovare la scelta e ho preso il nuovo modello. È elettrica, mi dice fiero il concessionario: le ruote girano solo grazie a un motore elettrico, sempre. E per la ricarica? No, non c’è bisogno di colonnine, c’è un motore a benzina che ricarica il motore elettrico. Quando finisce la benzina, si fa rifornimento. Semplice no?

Prima di comprarla mi sono informato, ma non ho trovato di meglio per rispondere alle mie esigenze. Se c’è non l’ho trovato e non ditemelo, che ci resto male.

Ora, tornando a Marchionne, la mia auto elettrica va… a benzina. La settimana scorsa ho fatto 1.200 km e, se avessi dovuto ricaricare da colonnine, ci avrei messo molto di più di 11 ore. Il bello è che con il diesel facevo mille km con un pieno, e ora ne faccio 750, se sto attentissimo. E ogni 15.000 km devo fare un tagliando che costa 350 euro. L’ho fatto oggi.

L’auto precedente aveva il cambio manuale, questa invece è automatica. Nessun problema, la prima auto che ho avuto, una Ford Ltd Sw del 1970, quattromila cc, comprata in California nel 1983, per mille dollari, aveva il cambio automatico: Drive, Rear, Park. Faceva 4 km con un litro di benzina ma allora, in Usa, la benzina costava quasi niente: con il prezzo di un litro in Italia, in California te ne davano un gallone. Prima della Ford Ltd Sw avevo avuto solo motociclette, e ho continuato con quelle fino al 1989. Guidarle non era solo andare da A a B, il bello era quello che c’era in mezzo. Le auto sono, per me, un mezzo di trasporto, le moto sono un fine. Solo che, dopo aver corso il rischio di fare una brutta fine, ho deciso di smettere e dalle due sono passato alle quattro ruote.

Le marce della moto sono un divertimento, in auto sono una rottura, visto che quando si guida di solito si marcia piano, nel traffico: prima, seconda, frizione, freno, prima, seconda. Col cambio automatico non me ne accorgo neppure, sembra di essere sugli autoscontri. Ci sono i sensori di parcheggio, telecamere dappertutto, e allarmi che suonano. Un pedone ha cercato di buttarsi sotto la macchina, e lei si è fermata prima che la fermassi io. Però per andare avanti la leva va spostata indietro, e per andare indietro va spostata avanti. L’ha progettata un utente di Windows, che se vuoi finire devi scegliere Start: comincia.

Il confort è ottimo, non mi sono neanche accorto di quei 1.200 km, niente rumore, niente vibrazioni, musica ben riprodotta, tutto bene. Certo, quando li facevo in moto erano uno spasso. Una volta li ho fatti in otto ore, ma non c’erano i tutor: tre fermate per fare il pieno e far pulire il casco dagli insetti, c’erano ancora i benzinai, e mettevo solo un piede per terra (chi va in moto capisce). Arrivato a Genova andavo a prendere quella che poi sarebbe diventata mia moglie e andavamo a fare una sgroppata sull’Aurelia: Genova-Recco e ritorno. Per fare un po’ di curve dopo tanta autostrada. Passato all’auto, il divertimento è finito. Con l’elettrica le cose sono cambiate, non sembra di guidare, ma viaggiare costa di più: consuma di più e la benzina è più cara del gasolio, per non parlare di quei 350 euro ogni 15.000 km. In compenso non pago il bollo, mi ha detto l’Aci: è elettrica… Penso anche di poter entrare nelle Ztl, in alcune città.

Ma, non ditelo all’Aci, la mia macchina non è elettrica, è a benzina. Il motore a combustione che ricarica il motore elettrico produce emissioni. Un pochino mi sento preso in giro. Un finto ambientalista, uno che mangia pesci di allevamento per non depauperare la fauna ittica selvatica, anche se i pesci di allevamento sono nutriti con farine di pesce che proviene da popolazioni naturali. E un chilo di pesce di allevamento significa dieci chili di pesci selvatici. Più gli antibiotici. Questo è un espediente retorico: non mangio pesci da acquacoltura e se devo mangiar pesce non prendo quello sotto taglia e mi oriento sul pesce azzurro. In California mangiavo salmoni, devo dire che sono mondiali! Ma erano pescati. Il colore della carne era dovuto alla dieta, non a coloranti artificiali aggiunti al mangime. E non trasudavano grasso.

Morale: la strada verso la sostenibilità è ancora lunga e tortuosa, come dicevano i Beatles. Ah, ho cambiato gli infissi. Uso l’auto il meno possibile (faccio una media di diecimila passi al giorno) e cerco di produrre quanti meno rifiuti possibile. E li riciclo diligentemente. Raccolgo la spazzatura da terra e la metto nei cestini. Ma non ho molta scelta, per il momento, se voglio avere uno stile di vita veramente sostenibile. Le soluzioni non possono essere che nell’offerta, e non possono essere un lusso. L’unica arma è di votare per partiti seriamente impegnati a perseguire serie politiche di sostenibilità.

Ce ne sono? Mah, speriamo che non siano come la mia nuova auto elettrica. Che va a benzina. Controlliamoli bene, prima di dar loro fiducia.

da qui

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