Marchionne, quando era a capo della Fiat, disse: se un’auto elettrica prende energia da una centrale a carbone… va a carbone. Certo, diminuisce l’inquinamento in città, ma delocalizzare l’inquinamento è solo una finta. Il passaggio alle rinnovabili dovrebbe risolvere il problema.
Prima avevo un’auto a gasolio, ma oramai era vecchia e l’ho cambiata. Non volevo
comprare un’auto da ricaricare alla colonnina, non c’è ancora garanzia di
autonomia e di ricarica rapida. Ero soddisfattissimo dell’auto che avevo, così
ho deciso di rinnovare la scelta e ho preso il nuovo modello. È elettrica,
mi dice fiero il concessionario: le ruote girano solo grazie a un motore
elettrico, sempre. E per la ricarica? No, non c’è bisogno di colonnine, c’è
un motore a benzina che ricarica il motore elettrico. Quando finisce la
benzina, si fa rifornimento. Semplice no?
Prima di comprarla mi sono informato, ma non ho trovato di meglio per
rispondere alle mie esigenze. Se c’è non l’ho trovato e non ditemelo, che ci
resto male.
Ora, tornando a Marchionne, la mia auto elettrica va… a benzina.
La settimana scorsa ho fatto 1.200 km e, se avessi dovuto ricaricare da
colonnine, ci avrei messo molto di più di 11 ore. Il bello è che con il diesel facevo
mille km con un pieno, e ora ne faccio 750, se sto attentissimo. E ogni 15.000
km devo fare un tagliando che costa 350 euro. L’ho fatto oggi.
L’auto precedente aveva il cambio manuale, questa invece è automatica.
Nessun problema, la prima auto che ho avuto, una Ford Ltd Sw del 1970,
quattromila cc, comprata in California nel 1983, per mille dollari, aveva il
cambio automatico: Drive, Rear, Park. Faceva 4 km con un litro di benzina ma
allora, in Usa, la benzina costava quasi niente: con il prezzo di
un litro in Italia, in California te ne davano un gallone. Prima della Ford Ltd
Sw avevo avuto solo motociclette, e ho continuato con quelle fino
al 1989. Guidarle non era solo andare da A a B, il bello era quello che c’era
in mezzo. Le auto sono, per me, un mezzo di trasporto, le moto sono un fine.
Solo che, dopo aver corso il rischio di fare una brutta fine, ho deciso
di smettere e dalle due sono passato alle quattro ruote.
Le marce della moto sono un divertimento, in auto sono una rottura,
visto che quando si guida di solito si marcia piano, nel traffico: prima,
seconda, frizione, freno, prima, seconda. Col cambio automatico non me ne
accorgo neppure, sembra di essere sugli autoscontri. Ci sono i sensori di
parcheggio, telecamere dappertutto, e allarmi che suonano. Un pedone ha cercato
di buttarsi sotto la macchina, e lei si è fermata prima che la fermassi
io. Però per andare avanti la leva va spostata indietro, e per andare
indietro va spostata avanti. L’ha progettata un utente di Windows, che se vuoi
finire devi scegliere Start: comincia.
Il confort è ottimo, non mi sono neanche accorto di quei 1.200 km, niente
rumore, niente vibrazioni, musica ben riprodotta, tutto bene. Certo, quando li
facevo in moto erano uno spasso. Una volta li ho fatti in otto ore,
ma non c’erano i tutor: tre fermate per fare il pieno e far pulire il casco
dagli insetti, c’erano ancora i benzinai, e mettevo solo un piede per terra
(chi va in moto capisce). Arrivato a Genova andavo a prendere
quella che poi sarebbe diventata mia moglie e andavamo a fare una sgroppata
sull’Aurelia: Genova-Recco e ritorno. Per fare un po’ di curve dopo tanta
autostrada. Passato all’auto, il divertimento è finito. Con l’elettrica le cose
sono cambiate, non sembra di guidare, ma viaggiare costa di più:
consuma di più e la benzina è più cara del gasolio, per non parlare di quei 350
euro ogni 15.000 km. In compenso non pago il bollo, mi ha detto l’Aci: è elettrica…
Penso anche di poter entrare nelle Ztl, in alcune città.
Ma, non ditelo all’Aci, la mia macchina non è elettrica, è a
benzina. Il motore a combustione che ricarica il motore elettrico produce
emissioni. Un pochino mi sento preso in giro. Un finto ambientalista, uno che
mangia pesci di allevamento per non depauperare la fauna ittica selvatica,
anche se i pesci di allevamento sono nutriti con farine di pesce che proviene
da popolazioni naturali. E un chilo di pesce di allevamento significa dieci chili
di pesci selvatici. Più gli antibiotici. Questo è un espediente
retorico: non mangio pesci da acquacoltura e se devo mangiar pesce non prendo
quello sotto taglia e mi oriento sul pesce azzurro. In California mangiavo
salmoni, devo dire che sono mondiali! Ma erano pescati. Il colore della carne
era dovuto alla dieta, non a coloranti artificiali aggiunti al mangime. E non
trasudavano grasso.
Morale: la strada verso la sostenibilità è ancora lunga e tortuosa,
come dicevano i Beatles. Ah, ho cambiato gli infissi. Uso l’auto il meno
possibile (faccio una media di diecimila passi al giorno) e cerco di produrre
quanti meno rifiuti possibile. E li riciclo diligentemente. Raccolgo la
spazzatura da terra e la metto nei cestini. Ma non ho molta scelta, per il momento,
se voglio avere uno stile di vita veramente sostenibile. Le
soluzioni non possono essere che nell’offerta, e non possono essere un lusso.
L’unica arma è di votare per partiti seriamente impegnati a perseguire serie
politiche di sostenibilità.
Ce ne sono? Mah, speriamo che non siano come la mia nuova auto elettrica.
Che va a benzina. Controlliamoli bene, prima di dar
loro fiducia.
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