sabato 30 giugno 2018

Togliete quella maledetta recinzione dal Golgo! - Gruppo d’Intervento Giuridico



Arriva l’estate, il caldo, l’acqua inizia a scarseggiare.
Le uniche sorgenti dell’Altopiano del Golgo, a Baunei (NU), sono quelle di As Piscinas, dove, da sempre fauna selvatica e bestiame allo stato semi-brado vanno ad abbeverarsi.
Ora non possono più, perché il Comune di Baunei ha concesso quelle aree a uso civico a un residente, che ha realizzato una recinzione completa del sito.
Così gli animali selvatici crepano di sete o nel disperato tentativo di superare la recinzione per abbeverarsi, come il povero Cinghialetto recentemente rinvenuto.

La recinzione è illegittima, la concessione è parzialmente illegittima.
L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha da tempo inoltrato (29 marzo 2018) una specifica istanza per la revoca, quantomeno parziale, della concessione di terreni a uso civico effettuata nell’area del Golgo – As Piscinas di Baunei (NU) e del relativo provvedimento di mutamento e sospensione dei diritti di uso civico per la realizzazione di servizi turistici.
La determinazione Responsabile Servizio tecnico Comune Baunei n. 188 del 22 giugno 2016 ha, infatti, concesso circa 4,79 ettari di terreni appartenenti al demanio civico di Baunei (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928 e s.m.i., legge regionale Sardegna n. 12/1994 e s.m.i., decreto Commissario Usi Civici Sardegna n. 294 del 30 dicembre 1943), comprendenti il sito d’interesse archeologico di As Piscinas, “conche naturali formatesi nella roccia, dove si raccolgono le acque piovane, modificate dall’uomo per la fusione dei metalli e per riti magici o di culto[1], tutelato quale “bene culturale” (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), nonché il monumento naturale Su Sterru (legge regionale Sardegna n. 31/1989 e s.m.i., decreto Ass.re Difesa Ambiente R.A.S. n. 3110 del 2 dicembre 1993).

L’esercizio dei diritti di uso civico era stato in precedenza sospeso con determinazione Agenzia A.R.G.E.A.- Servizio Territoriale Ogliastra n. 681 del 24 febbraio 2016.
Tuttavia, la “concessione di valorizzazione”, comprendendo e consentendo la realizzata recinzione di siti d’interesse archeologico, contrasta palesemente e insanabilmente con il regolamento comunale per l’esercizio dei diritti di uso civico(deliberazione C.C. Baunei n. 30 del 5 novembre 2012), il quale prevede che:
* “non possono essere oggetto di concessione… sorgenti e acque pubbliche, beni archeologici o storici”(art. 5);
* “non potranno maiessere recintate le fonti, gli abbeveratoi, i corsi d’acqua e qualsiasi altra struttura d’interesse pubblico” (art. 12);
* “tutte le recinzioni (…) dovranno essere realizzate in modo da salvaguardare … il libero accesso alle sorgenti, alle acque pubbliche ed ai beni archeologici e storici” (art. 64);
Inoltre, le disposizioni per la fruizione dei beni culturali e loro eventuali provvedimenti di concessione sono previste negli artt. 101 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. (codice per i beni culturali e il paesaggio).
E’ del tutto evidente che tali siti d’interesse archeologico non potessero essere oggetto di qualsiasi concessione né, tantomeno, potessero essere recintati.
Sono stati coinvolti il Comune di Baunei, l’Agenzia A.R.G.E.A., il Ministero per i beni e attività culturali, la Soprintendenza per archeologia, belle arti e paesaggio di Sassari, il Servizio tutela paesaggio di Nuoro della Regione autonoma della Sardegna, informati, per quanto di competenza, il Commissario per gli Usi Civici e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei.
La popolazione di Baunei è apertamente contraria a tale concessione (e alla conseguente recinzione), l’Amministrazione comunale ha promesso revoche che non sono ancora giunte al contrario dei danni alla fauna.
Il Gruppo consiliare del Partito dei Sardi ha presentato due interpellanze in Consiglio regionale (la n. 346/A e la n. 347/A), finora senza risposta.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus auspica rapidi provvedimenti che riportino legalitànella gestione del demanio civico di Baunei (già in passato oggetto di discutibili utilizzi) e la fruizione pubblica di beni archeologici e ambientali che non possono e non devono esser “privatizzati” in alcuna forma e per qualsiasi motivo.
E, se non dispiace, provvedimenti che consentano alla fauna selvatica di vivere in pace.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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[1] vds. piano di valorizzazione e recupero delle terre civiche di Baunei, cap. 11.2, pag. 38, piano approvato con deliberazione C.C. Baunei n. 31 del 5 novembre 2012 e con decreto Presidente R.A.S. n. 132 del 15 ottobre 2013.


Grande vittoria: la Corte ritiene che l’approvazione del Dakota Access Pipeline ha violato la legge




Un giudice federale ha stabilito mercoledì che l’ amministrazione Trump deve condurre una revisione ambientale aggiuntiva del Dakota Access Pipeline , consegnando una vittoria limitata alle tribù di nativi americani che combattono la decisione dell’amministrazione di andare avanti con il progetto.
In un ampio parere , il giudice distrettuale di Washington, DC James Boasberg si è schierato con le tribù accettando che l’Army Corps of Engineers “non ha considerato gli impatti di una fuoriuscita di petrolio sui diritti di pesca, i diritti umani, o la giustizia ambientale.”
“Questa decisione segna una svolta importante”, ha detto l’avvocato di Earthjustice Jan Hasselman. “Fino ad ora, i diritti della tribù Standing Rock Sioux sono stati disattesi dai costruttori del Dakota Access Pipeline e dall’amministrazione Trump – spingendo ad una meritata protesta globale . I tribunali federali hanno fatto un passo dove i nostri sistemi politici non sono riusciti a proteggere i i diritti delle comunità native “.
Boasberg non ha ordinato un arresto delle operazioni sull’oleodotto , che ha iniziato a pompare petrolio all’inizio di questo mese . Alle tribù e al proprietario dell’oleodotto Energy Transfer Partners viene ordinato di comparire in tribunale la prossima settimana per decidere le successive misure legali , e le tribù sono tenute a discutere per un arresto completo delle operazioni dell’oleodotto.
Dallas Goldtooth, organizzatore nazionale Jeep It In the Ground per Indigenous Environmental Network , ha avuto questo da dire circa la sentenza:
“Questa è una vittoria enorme per le nazioni tribali degli Oceti Sakowin, per i Protettori d’Acqua in tutto il mondo e per i capi indigeni che hanno guidato gli sforzi dell’organizzazione per fermare il Dakota Access Pipeline.
“Siamo in estasi per la decisione della corte, e applaudiamo le tribù Standing Rock Sioux e Cheyenne Sioux per continuare a mantenere la linea e portare la lotta contro l’amministrazione Trump e il Dakota Access Pipeline ai tribunali della nazione. Ci auguriamo che questa decisione porti al blocco dello scorrimento del petrolio nell’oleodotto di petrolio greggio Bakken come rimedio permanente per proteggere l’acqua potabile del fiume Cheyenne e delle nazioni Standing Rock Sioux .
“Dal 1990, la nostra organizzazione ha lavorato per assicurare che gli Stati Uniti riconoscessero la necessità di giustizia ambientale e di una partecipazione significativa da parte delle comunità indigene nel permettere processi che interesseranno le nostre terre sacre, i diritti inerenti e l’accesso ad acqua pulita. Stiamo vedendo questi sforzi che stanno dando i loro frutti, e ora il nostro movimento ha inferto un duro colpo al grande petrolio .
“Nonostante le subdole tattiche brutali da parte di Energy Transfer Partners per sopprimere i popoli indigeni, il nostro movimento non sarà fermato. Noi continueremo a sostenere qualsiasi e ogni sforzo per disinvestire dalle fonti fossili e arrestare il Dakota Access Pipeline una volta per tutte.”
Trad. Il Popolo che non esiste
Fonte: https://www.ecowatch.com/dapl-court-ruling-2442150241.html

martedì 26 giugno 2018

Le servitù militari e l’onorevole che cambia idea col cambio del governo - Pablo Sole



 “Servitù militari: accordo svantaggioso per la Sardegna. Nonostante sia definito come un accordo storico per la regione, al contrario, risulta essere inadeguato rispetto alle necessità dell’isola, carente ed arretrato rispetto agli accordi già firmati in precedenza e nel quale non c’è un minimo accenno alle bonifiche necessarie per sanare e mettere in sicurezza il territorio”. Così la deputata del Movimento 5 Stelle Emanuela Corda commentava, il 20 dicembre 2017, il protocollo sulla riduzione delle servitù militari firmato due giorni prima dal presidente della Regione, Francesco Pigliaru, e dall’allora ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Tra i punti dell’intesa, la restituzione delle spiagge di Porto Tramatzu a Teulada e S’Ena e s’arca a Capo Frasca.
Poi il 26 giugno 2018 arriva nelle redazioni un comunicato stampa sul medesimo accordo, quello firmato da Pigliaru e Pinotti, ma stavolta il tono è un po’ diverso. Lo firma sempre la deputata del Movimento 5 Stelle Emanuela Corda.“Presto la restituzione ai sardi di Porto Tramatzu e non solo”. Nella nota, si rivendica che “dopo anni di battaglie del Movimento Cinque Stelle, dopo il lavoro svolto affinché ci fosse piena collaborazione tra la Sardegna e la Difesa e gli accordi di programma fossero rispettati, apprendiamo con soddisfazione che il ministero si è già attivato affinché la spiaggia di Porto Tramatzu presso il poligono di Teulada e la spiaggia di S’enna e s’arca siano finalmente restituite ai sardi. È una grande soddisfazione constatare l’efficacia del nuovo esecutivo”. L’onorevole Corda rivendica di aver subito chiesto che “fossero messi in pratica gli accordi tra la Regione e il Governo già definiti con il presidente Gentiloni, e il ministro Trenta ha manifestato rapidità e interesse per le questioni della Sardegna”. Quindi, “a breve importanti porzioni del nostro patrimonio ambientale per tanti anni interessate dalle servitù militari saranno rese fruibili a tutti i cittadini. E questo è uno dei primi segnali del vero Cambiamento che ci attende”.
Cosa sarà mai cambiato in sette mesi? Dell’accordo, manco una virgola. Al ministero della Difesa invece hanno salutato Roberta Pinotti del Pd e dato il benvenuto a Elisabetta Trenta. Del Movimento 5 Stelle. Che evidentemente possiede un dono straordinario: trasformare in una conquista da incassare “con soddisfazione”, quel che prima era “svantaggioso, inadeguato, carente ed arretrato”. Alchimie della politica.

lunedì 25 giugno 2018

Al concorso dirigenti di Forestas il vincitore è il conflitto di interessi – Pablo Sole


La selezione non è ancora terminata, ma il vincitore lo si conosce già: si chiama conflitto di interessi. La vicenda è alquanto articolata, in ragione dei legami a doppio e triplo filo che uniscono saldamente i protagonisti del concorso per un posto da dirigente a tempo indeterminato – stipendio lordo sugli 80mila euro l’anno – bandito dall’allora Ente foreste poi tramutato in agenzia e ribattezzato Forestas. La procedura, indetta il 12 aprile 2016 dal direttore generale Antonio Casula, è ancora in corso – solo pochi giorni fa si è tenuta la prova orale e a breve si terranno i colloqui attitudinali – ma a scorrere i nomi della commissione di valutazione e dei candidati idonei, si resta molto perplessi. Una piccola anticipazione per dare un’idea:  la protagonista principale del conflitto di interessi in atto dovrebbe segnalare l’incompatibilità a se stessa, visto che è pure responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza di Forestas.
Partiamo dal principio. La commissione viene nominata dal Dg Casula il 27 settembre 2016, con la determina 48.Presidente è Dora Soru, responsabile del servizio di Oristano, dirigente in comando giunta a Forestas un anno prima dall’amministrazione provinciale oristanese. Il secondo componente è Sebastiano Ligios, direttore del servizio di Sassari “prestato” sempre in comando da Agris. Infine c’è Andrea Cutini, ricercatore del Crea (Centro di ricerca per la selvicoltura) di Arezzo, che frequenta assiduamente le stanze di Forestas in qualità di responsabile del progetto Future for coppicesfinanziato dall’ex Ente foreste con 51mila euro.
La nomina lampo
Quando Dora Soru viene nominata presidente della commissione, il 27 settembre 2016, è indicata come “dirigente di ruolo dell’amministrazione provinciale di Oristano”, in comando a Forestas. È quindi una “esterna” . Lo rimarrà per poche ore. Nello stesso giorno infatti (determina 51), sempre il direttore generale Antonio Casula approva la graduatoria finale di una selezione per un posto da dirigente a tempo indeterminato mediante mobilità, bandito pochi mesi prima. Il presidente della commissione di valutazione è lo stesso Casula. In graduatoria compare un solo nome: Dora Soru.Che, da quel momento, è ufficialmente inserita nei ruoli di Forestas, dunque non è più “esterna”. Una piccola curiosità: la procedura termina come detto il 27 settembre 2016, ma l'”Avviso trasparenza mobilità dirigenti” sarà pubblicato sul sito di Forestas solo il 18 marzo 2018, due anni dopo la conclusione della procedura.
I legami tra commissari e candidati
Alla selezione partecipano ventidue candidati, in larga parte dipendenti di Forestas, oltre a qualche professionista privato. Dopo gli scritti rimangono cinque papabili – una strage – che pochi giorni fa hanno sostenuto la prova orale. Vediamo chi sono. Con 183 punti totali, al primo posto figura il funzionario di Forestas Salvatore Mele. Si tratta dell’attuale direttore facente funzioni del servizio di Lanusei, nominato ad agosto 2016 a seguito di una selezione interna. A valutare i candidati in quell’occasione sono stati l’amministratore unico di Forestas, Giuseppe Pulina, quindi il direttore generale Antonio Casula e infine Dora Soru. Risultato: Mele si aggiudica il posto a Lanusei e ora, visto il punteggio, può ben sperare di aggiudicarsi anche la selezione dirigenti in corso, presieduta dalla stessa persona che l’ha giudicato idoneo a ricoprire il ruolo di facente funzioni a Lanusei. In “classifica” segue Enrico Salaris con 178 punti. La presidente della commissione Dora Soru lo conosce molto bene, visto che Salaris è il responsabile dell’ufficio tecnico del servizio di Oristano, guidato proprio dalla Soru. Che conosce molto bene anche il terzo in graduatoria, con 172 punti. È Maurizio Mallocci, direttore del complesso forestale Sarcidano. Servizio territoriale di competenza: Oristano, diretto da Dora Soru. In quarta ‘posizione’ (167 punti) c’è Giovanni Piras, attuale direttore del complesso forestale Goceano. Il suo diretto superiore, in qualità di responsabile del servizio territoriale di Sassari, è Sebastiano Ligios, che siede in commissione con Dora Soru. Infine, con 155 punti chiude la graduatoria provvisoria Cristina Pilo, inquadrata in direzione generale come responsabile della Progettazione Ue e Ricerca.
Quella trascurabile incompatibilità 
Dice il codice di comportamento della Regione che il dipendente deve astenersi “dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto di interessi, anche potenziale”. E ancora, dopo aver ribadito che le mansioni devono essere svolte sulla base “del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa”, viene specificato come “il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici”. In ogni caso, l’incompatibilità sussiste anche per “gravi ragioni di convenienza”. Specifica poi l’Autorità nazionale anticorruzione che il conflitto è palese quando vi sono rapporti di vicinanza e frequentazione abituale. Perché ad esempio si lavora nel medesimo ufficio.
Se il controllato è anche il controllore
Ora, ci si domanda: Dora Soru e Sebastiano Ligios si saranno mica posti il problema dell’incompatibilità legata al loro doppio ruolo, quello di commissari e e quello di diretti superiori dei candidati idonei? Poniamo di sì. Ma a chi avrebbero dovuto segnalare l’incompatibilità? Secondo le norme, al direttore generale Antonio Casula, che però nella vicenda è direttamente coinvolto, visto che Soru e Ligios li ha nominati lui. Le norme però hanno pensato anche a questo, quindi è stato previsto che in casi del genere le segnalazioni vadano fatte al responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza. E in Forestas chi ricopre questo ruolo da gennaio 2017? Dora Soru. Che quindi dovrebbe segnalare se stessa a sé medesima. Dando vita – e qui la faccenda diventa davvero bizzarra – ad un ennesimo conflitto di interessi.
da qui

sabato 23 giugno 2018

La distruzione dell’empatia - Amador Fernández-Savater



Possiamo provare a leggere la congiuntura politica non semplicemente come una disputa tra distinti gruppi per il potere, ma come uno scontro tra differenti percezioni della vita sociale, tra differenti sensibilità della vita in comune? Cerchiamo di farlo poggiandoci sul concetto suggestivo di “pedagogia della crudeltà” proposto dall’antropologa Rita Segato. Lo spiego in modo riassuntivo in seguito.
Nelle nostre società, la vita diventa sempre più precaria: la mancanza di difesa e di protezione sono tendenze generali, trasversali. Il capitalismo oggi non punta semplicemente alla sua riproduzione regolata, ma cerca incessantemente la conquista di nuovi territori, oggettivi e soggettivi: nuove terre e nuovi ceti da sfruttare. È un capitalismo di rapinaQuesta conquista permanente richiede non soltanto l’abolizione delle vecchie regole e protezioni (molte volte frutto delle lotte dal basso della gente), ma di una insensibilizzazione radicale.
Nella guerra di tutti contro tutti, la competenza generale e il si salvi chi può, l’altro dev’essere percepito innanzitutto come ostacolo e minaccia: come nemico.
Il principio di crudeltà è la diminuzione dell’empatia: l’altro è disponibile per un solo uso, se ne può fare a meno, nessun filo ci unisce, i nostri destini non hanno nulla in comune. Vi è tutta una “programmazione neurobellica della bassa empatia” nelle nostre società. E la violenza è lo strumento chiave: lancia il messaggio imbarazzante per cui l’altro (donna, vecchio, migrante, povero, nero, dissidente) è un di più, si può eliminare.
Ciò che sostiene quindi le politiche della precarizzazione della vita è una certa configurazione – o deconfigurazione – della percezione e della sensibilità. Queste ultime sono questioni politiche di prim’ordine, ma le analisi di congiuntura non le riguardano, concentrate per come sono nel sottolineare le manovre di partito e gli intrighi di palazzo, le relazioni di forza tra organizzazioni e fazioni, lo stato dei sondaggi e l’“opinione pubblica”. È necessario e urgente dotarsi di una sensibilità poetica sismografica per addentrarsi e descrivere questo piano di realtà.

Sradicamento affettivo
Lo si è ripetuto spesso. Il movimento 15M [“gli indignati”] ha funzionato in Spagna come una “porta antincendio” all’ascesa del populismo di destra che si estende a livello micro e macro per tutta Europa: Front National, Brexit, Alternative für Deutscheland, Pegida, Lega Nord, Casa Pound, Alba Dorata.
Ma che tipo di porta antincendio? Da parte nostra, abbiamo insistito nel pensare e descrivere il 15M come un effetto di sensibilità. Un fenomeno di sensibilizzazione collettiva. A partire dal maggio del 2011, si è dispiegato un po’ dappertutto nella società una specie di seconda pelle dentro e attraverso la quale si avvertiva come qualcosa di proprio e vicino ciò che accadeva ad altri sconosciuti.
Ciò non vuol dire che tutti fossero presenti ad ogni sfratto nei quartieri, ad ogni accompagnamento di un migrante privo di carta sanitaria, ad ogni chiusura di una scuola minacciata di tagli, ma che c’era un clima sociale generale che abbracciava, connetteva e amplificava ogni azione, ogni iniziativa. Il 15M ha creato un comune sensibile nel quale era possibile sentire gli altri e con gli altri, come simili.
Questa pelle se è ritirata o si è addormentata, debilitata in buona misura a causa di una “verticalizzazione” dell’attenzione e del Desiderio, depositati e delegati durante la fase dell’“assalto istituzionale” nella promessa elettorale della nuova politica (Podemos, confluenze, etc). Incantati dagli stimoli provenienti dall’alto (Tv, dirigenti, partiti), tralasciando quello che nel frattempo ci accadeva intorno, la nostra pelle si è strappata.
In realtà non siamo usciti da nessuna crisi: semplicemente si è perso il contatto sensibile tra i “sommersi” e i “salvati” (o coloro che si credono salvati al momento). La ritirata degli “antincendio” 15M lascia il via libera alle forze che sono sempre lì: l’approfondimento e il consolidamento della precarietà esistenziale generale, la guerra di tutti contro tutti e il si salvi chi può. Il veleno del rancore che si annida in ogni angolo a causa delle tante umiliazioni ricevute nel quotidiano – siano esse grandi o piccole, reali o immaginarie – si converte nel pungiglione del risentimento vittimista che circola oggi a piacere per le reti sociali.
La “destrizzazione” di cui si parla ultimamente, soprattutto la radice di quello che ha “risvegliato” in tutta la Spagna il conflitto in Catalogna, non è in primo luogo una questione ideologica, identitaria e politica, ma una esasperazione sociale e affettiva. Un indurimento della percezione e della sensibilità.  
Lo sfondo del contenuto delle bandiere spagnole che è ancora possibile vedere in tanti balconi (ormai valgono per il Mondiale…) è la paura, l’amarezza, la solitudine, un Desiderio reattivo di ordine, consumo e mano dura contro tutto quello che devia e destabilizza la finzione di normalità, con l’anti-catalanismo come elemento agglutinatore primario.
È indubbiamente Ciudadanos [con forti risonanze di Macron] il partito che in modo più disinovolto agita questa “passionalità oscura” (Diego Sztulwark) al fine di raccoglierla più tardi elettoralmente e di fare di essa la base del progetto politico di convertire la società in una impresa totale. Dove vi sia spazio solo per i vincenti, dove non abbiano spazio gli avversari (destituiti come interlocutori mediante la repressione, la censura e la criminalizzazione), e neanche le “anomalie” (come le comuni urbane o gli ambulanti).
Su questo sfondo oscuro ed esasperato appaiono senza dubbio voci e movimenti che convocano un’altra sensibilità, attivano un’altra percezione e danno vita ad un’altra pelle. Senza alcuna idea esaustiva o totalizzante, mi focalizzerò su tre esempi (ve ne sono di più). L’Otto marzo e le mobilitazioni intorno alle morti di Gabriel Cruz e di Mame Mbaye.

Il mandato della mascolinità
Secondo Rita Segato, la prima espressione della pedagogía della crudeltà è la violenza sessista. Il capitalismo di rapina installa un campo di battaglia nel corpo delle donne.
Nella precarietà generale, la posizione dell’uomo è resa più fragile: non può provvedere, non può avere, non può essere. Ma allo stesso tempo deve provare che è un uomo. Noi maschi siamo sottoposti a un “mandato di mascolinità”che ci obbliga, per essere, a dimostrare forza e potere: fisico, intellettuale, economico, morale, bellico, ecc. Il mandato di mascolinità si traduce così oggi in un mandato di violenza.
Lo stupro non è erotico o di piacere, ma una dimostrazione di potere. Il potere dell’impotente, ansioso di dimostrare che è, che continua ad essere un uomo. È un messaggio che un uomo manda ad altri uomini: posso, sono capace, sono padrone delle vite. Non è un fatto eccezionale, cosa di alcuni maschi mostruosi o “psicopatici”. Poggia su di una base composta da mille violenze quotidiane e trasversali: nello spazio pubblico e in quello intimo, nella strada e in casa, nel lavoro e nelle relazioni.
La donna non è semplicemente un corpo-vittima della violenza. Ciò che si aggredisce in essa è precisamente la sua forza disubbidiente al mandato della mascolinità, la capacità di creazione di vincoli, di lacci, di reti, di complicità, di empatia e di comunità.
L’8M ha reso visibili migliaia di donne in tutta la Spagna, che hanno detto basta, in una giornata inaudita di sciopero e di manifestazioni seguite in maniera massiccia. I canti e i manifesti possono essere letti come un registro dettagliato delle mille violenze quotidiane che abitano nella “normalità”. Le donne non tornano a questa normalità nello stesso modo dopo aver vissuto una giornata così eccezionale, ma semmai più relazionate e più forti. L’8M è solo la cresta della spuma di un’onda di fondo che spinge per cambiare completamente la vita quotidiana, questo “brodo di coltura” della violenza più spettacolare che vediamo nei giornali.
E può essere assunto anche come un’occasione per gli uomini che desiderano disubbidire al mandato di mascolinità e uscire da questo circolo funesto tra l’indigenza esistenziale e l’obbligo di dimostrare potere. Come un invito alla metamorfosi.

Le buone azioni
La scomparsa e la ricerca del bambino Gabriel Cruz, il pesciolino, è stato un fenomeno altamente mediatizzato.
I mezzi di comunicazione e le reti sociali sono oggi – soprattutto da qualche tempo a questa parte – i veicoli privilegiati della pedagogia della crudeltà. Le tendenze alla spettacolarizzazione (il morbo), la semplificazione della realtà (il giudizio e non il pensiero) e la polarizzazione sociale (la logica delle fazioni, buone e cattive) li attraversano trasversalmente. Ma è la stessa cosa che la realtà si strumentalizzi a favore della destra o della sinistra: in ogni caso si contribuisce alla distruzione della sensibilità, del pensiero e dell’autonomia.
Nonostante tutto, i mezzi di comunicazione e le reti hanno facilitato per diversi giorni l’attivazione di molta gente che ha aiutato nella ricerca di Gabriel e che ha voluto far sentire in qualche modo alla famiglia calore e solidarietà. L’appoggio si è capovolto in odio quando si è incontrato il corpo del piccolo e si è conosciuta l’identità dell’assassino: donna, straniera e di colore. In questo contesto, la voce di Patricia Ramírez, la madre di Gabriel, è risuonata come se provenisse dall’altro mondo, quando in realtà proveniva dall’amore più comune che esiste: l’amore di madre.
Il suo messaggio principale: non porre il fuoco nella rabbia e nel nemico, ma nella solidarietà e nelle “buone azioni”. Spostare l’attenzione sui gesti di sostegno che avevano “preso il meglio delle persone” durante quei giorni. Che quello che rimanga, nel non senso assoluto della morte di Gabriel, sia il ricordo caloroso dell’abbraccio sociale. “Perché altre persone ne avranno bisogno in futuro”.
Da dove traeva Patricia le forze per non lasciarsi avvelenare dal Desiderio di vendetta? È la domanda che le facevano i giornalisti tutte le volte, perplessi e impressionati. E lei rispondeva sempre la stessa cosa: “In onore del ‘pesciolino’, lui non era così e io neanche”. Questo non vuol dire che Patricia abbia conservato l’“assennatezza” e la “testa fredda”, come se gli affetti conducessero direttamente all’odio e alla rabbia, e solo “la ragione” potesse contenerli. Questa è la tipica visione maschile. In realtà la cosa giusta è il contrario: la voce di Patricia veniva fuori dall’amore verso suo figlio, dal ringraziamento per coloro che si erano mossi per lui e dal Desiderio che il suo ricordo non fosse associato alla rabbia della vendetta. Dagli affetti.
Parola precisa e preziosa, caricata di umanità e tenerezza, ricca di metafore estremamente fisiche (molte volte relazionate con l’acqua: il fiume aperto, la marea di solidarietà, la risacca del dolore…), la voce di Patricia è riuscita a disarmare a momenti la voracità dei mezzi di comunicazione e delle reti sociali, fondati sulle logiche della spettacolarizzazione, semplificazione e polarizzazione sociale.
E ci ha fatto cadere, indirettamente e come per un regalo, alcune delle indicazioni che ognuno può convertire in modi di resistenza alla distruzione dell’empatiae alla coltivazione di un’altra sensibilità: circondarsi da vincoli di cura, cercare l’intimità e il silenzio, ringraziare la dolcezza, trasformare gli affetti reattivi in affetti attivi, evitare la strumentalizzazione, non lasciare che altri parlino a nostro nome, non assumere eccessivo protagonismo, “puntare sempre al cuore”.
Guerra tra poveri
Mame Mbaye, di origine senegalese, vicino di casa di Madrid e lavoratore ambulante, è morto il 15 marzo nel contesto di un inseguimento di polizia nel quartiere di Lavapiés. Senz’ombra di dubbio, lo ha ucciso un sistema di maltrattamento quotidiano che inietta quotidianamente la paura, sradica la felicità e ammala, distruggendo il diritto umano alla spensieratezza, al riposo e alla serenità, come spiega Sarah Babiker.
Questo sistema di maltrattamento quotidiano – legge di cittadinanza, disuguaglianza economica, retate di polizia, ecc. – è esattamente la “pedagogía della crudeltà”. Più che perseguire obiettivi concreti, come lo sradicamento dell’ambulantato, quello che si cerca di fare è produrre insensibilità: marchiare e farci vedere l’altro come altro, distinguere tra i sommersi e i salvati, tra quelli che sono dentro e quelli che sono fuori, rompere l’empatia  ed ogni possibile solidarietà.
Aizzare una guerra tra poveri, quando in realtà il collettivo degli ambulanti è solo la punta più estrema delle tendenze generali per le quali oggi nulla è in salvo: la precarizzazione, la mancanza di protezione e di difesa della vita.
Un giorno dopo la morte di Mame Mbeye, i discorsi che si sono improvvisati nella concentrazione di Piazza Nelson Mandela di Lavapiés mescolavano la degna rabbia (per una morte intollerabile) e le parole che richiamavano ancora una volta all’uguaglianza, alla comune umanità, all’empatia. Contro il mandato della crudeltà: non sentire, non sentire insieme ad altri, non commuoversi.
Gli oratori hanno parlato in non meno di tre lingue (inglese, francese, spagnolo), mostrando così di passo la potenza che c’è nelle vite migranti: l’energia, le capacità e i saperi che abitano in questi corpi abituati alle traiettorie più difficili, all’apprendistato e alla realfabetizzazione costanti, alla creazione di reti di appoggio e di complicità.
Non sono solo poveri o vittime che meritano la nostra compassione, ma in loro abita una grande ricchezza, un grande potenziale che la nostra società non sa né vuole accogliere. Come ha ricordato Malick Gueye, portavoce del sindacato degli ambulanti, Mame non era solo “ambulante”, ma anche una persona impegnata nella lotta per i diritti sociali e un artista, a cui non si è permesso di esercitare la sua professione in Spagna.

Lacrime felici
Lo confesso. Mi sono venute le lacrime agli occhi l’8M vedendo di prima mattina un “picchetto” di ragazzine con meno di sedici anni (e di ragazzini, di dietro) mentre si inseguivano con energia, di corsa e infinita lucidità nelle loro consegne.
Mi sono salite le lacrime agli occhi ascoltando Patricia Ramírez mentre chiedeva alla gente che “si togliesse la strega dalla testa” e si ricordasse meglio le “buone azioni” che ebbero luogo durante la ricerca di Gabriel.
Mi sono venute le lacrime agli occhi ascoltando gli oratori della Piazza Nelson Mandela di Lavapiés che facevano appello, solo un giorno dopo la morte (morte politica) di Mame, all’umanità condivisa, all’uguaglianza di tutte le persone.
Il filosofo e scrittore Georges Bataille diceva che vi sono “lacrime felici”. Non sono esattamente lacrime di gioia, ma di emozione per vedere accadere qualcosa di “miracoloso”: imprevedibile, inaspettato, impensabile, impossibile ma sicuro.
È “miracoloso” ascoltare chi ha sofferto il male più grande parlare di lottare per più vita e non per più morte, per più umanità e non per meno, per più empatia e non per più guerra di tutti contro tutti. Che ci si inumidiscano continuamente gli occhi con queste lacrime, per risvegliare e riattivare la nostra pelle indurita dal principio di crudeltà.
Grazie a Marga, Marta, Diego, Ema, Guille, Jabuti, Miriam, Juan e Leo per le nostre conversazioni.

(Traduzione di Gianfranco Ferraro)

mercoledì 20 giugno 2018

Quello straniero è il mio dio - Mauro Armanino



L’affermava come un’evidenza. La tradizione del suo popolo lo raccomanda senza ambiguitàMon étranger c’est mon DieuIl Dio è uno straniero oppure lo straniero è lui stesso un dio. Non sapevano della via della seta cinese o delle vicende dell’Aquarius sulla via della Spagna. Seduto come un patriarca su una sedia di ferro, il vecchio Lawali non aveva dubbi in proposito. Lo straniero, il suo straniero, è il suo dio. Un’ovvietà per la quale non c’è bisogno di spiegazione. Chissà che cosa si nasconde dietro uno straniero? Un messia, un razziatore oppure un campione di calcio. Desta timore e ammirazione, proprio come un dio preso alla sprovvista e senza documenti. Uno straniero divino che potrebbe piantare in asso il cielo da un momento all’altro e poi sparire nel mare o nella sabbia del deserto. Proprio dove il Sahel e il Sahara inventano insieme frontiere mobili che creano un paese chiamato di cognome utopia.
C’è poi una signora di Niamey che lo ricorda con un certo rammarico. Qui nel Niger, mormora con un sospiro, ogni straniero è un re. Si tratta dello stesso concetto elaborato dalla sapienza con altre parole. Sarà anche vero ma intanto Agadez e il nord del Niger sono zone di caccia riservata. In Algeria prima si ruba il lavoro dei migranti, poi i loro averi e infine li si deporta nel deserto più vicino. La solidarietà africana non ha limiti e per questo le stesse frontiere cercano di migrare altrove. Un’analoga storia si sviluppa in Europa, in America, in Asia e persino nell’Oceania, che pure di mare e di isole se ne intende. Guerra dichiarata a chiunque si azzardi a prendere sul serio la propria missione divina. Portare contenitori di speranza senza etichette o data di scadenza. L’altro mondo vuole una migrazione concordata, sicura, ordinata e se possibile scelta. Intanto fomenta un’economia, una politica e una guerra permanente che tutto sono meno che ordinati. Impresa impossibile ordinare quanto prima si distrugge, rapina e sfrutta.
’unico dio riconosciuto, in quella porzione del mondo, è il ‘signore del denaro’. Per questo in god we trust, sta scritto sui dollari di colore verde che sono come tute mimetiche. In quel dio si confida e allora tutto e tutti diventano funzione del sistema di accumulazione da spogliamento. Le prime a farne le spese, sono non casualmente le donne. Spogliate, violentate e infine rivendute come mercanzia deperibile. Difficile o forse inevitabile perché dalla colonizzazione in su, donna, terra, risorse naturali e presa di possesso sono un tutt’uno. Una parte del mondo assediata e l’altra in vendita, ecco perché si travestono da dei e arrivano come e quando possono per metterlo sottosopra, ossia finalmente ordinarlo. Sono cacciati, sfruttati financo dall’umanitario che di loro prospera, imprigionati e fatti percepire pericolosi. Ogni giovane che viaggia verso il nord del paese è considerato un potenziale migrante e, se non terrorista, almeno pericoloso e dunque da imprigionare. Potrete tagliare tutto dell’albero e dei fiori ma non fermerete la primavera.
Anche Euripide ci mette la sua quando nelle ‘Baccanti’ del suo teatro sostiene con Dioniso che ogni straniero è un dio. Siamo dunque rei di deicidio, crimine dalle conseguenze non sempre prevedibili. Nell’eliminazione dello straniero si elimina l’estraneità, la stranezza, la possibilità di orizzonti meno scontati, la scoperta della propria dimensione di straniero a se stesso. Quando, come sembra essere stato affermato ai più alti vertici dello stato, che il viaggio è in realtà una crociera, la perdita irreversibile dell’umano non è lontana. Sulla strade, nella sabbia e nel mare ci sono degli dei sconosciuti che, mandati con una missione da compiere, non saranno fermati da nessuno. Con paziente tenacia continueranno a smontare fili spinati e accordi di riammissione. La speranza che con loro e in loro si nasconde è seminata nel mare. Ogni nome perso tra le onde è quello di un dio sconosciuto.
Niamey, giugno 2018

lettera al professore


“Mi chiamo Bianca, ho 15 anni e faccio la seconda liceo scientifico. Ti mando questa lettera che ho scritto al mio professore di matematica. Credo che possa essere interessante vedere come qualche volta, nonostante i continui fraintendimenti tra adolescente e adulto (in questa particolare situazione tra adolescente e professore) si possa trovare nella vita qualcuno di buono, che crede veramente in quello che fa e nelle persone con cui lo fa anche se non sono al suo stesso ‘livello’, che prova a capirti anche quando fai cose strane, che lo fanno arrabbiare".
"Chissà: potrebbe forse essere un buono spunto per tanti adulti, professori, adolescenti. Magari è davvero importante questa piccola parte di me che è stato difficile scrivere perché, come cantano i Nomadi: ‘Sai, scrivere una lettera non è mai stato facile...’ . Ecco la lettera per il mio/nostro prof di matematica”.
“Non so bene come scriverle quello che penso né perché le sto scrivendo. Forse le scrivo perché dirle queste cose a voce è troppo difficile, non arriverei mai al punto, non ci sarebbe mai l’occasione giusta e mille altri problemi. Non so se questa lettera gliela consegnerò mai perché, come al solito, ho paura. Di cosa? Beh che lei la prenda male perché in questi tipi di rapporti (insegnante/studente) non ci si scrive lettere personali, si ha un rapporto di tipo professionale, ma io non ci riesco, se una persona è importante per me lo deve sapere perché se lo merita e se saperlo la rende felice questa lettera avrà già raggiunto uno dei miei obiettivi".
"Le scrivo forse anche perché mi fido e con le persone di cui mi fido racconto della mia vita, racconto me stessa, spiego come ‘funziono’, faccio ascoltare la mia musica e tante altre cose. Ora, con lei, non posso certamente fare tutte queste cose perché non è un mio amico e non lo può essere: è appunto un mio professore però io voglio che lei sappia cosa penso di lei. Quindi ecco io la stimo e sono felicissima di averla conosciuta, la stimo perché non mi ha mai delusa, non ha mai detto la cosa ‘sbagliata’. Ma perché lei non ha mai detto la cosa sbagliata? Perché è molto intelligente di intelligenza emotiva, quindi capisce me e i miei compagni perché è sensibile e quindi non mi ferisce, non ci ferisce. Per esempio non ha mai detto che sono stupida o lo ha insinuato o ha mai detto che sono ignorante".
"Mi è capitato di sentirmi dire entrambe le cose sia in modo molto esplicito sia in modo implicito. Un’altra cosa che mi piace è quando ci fa i discorsi, per esempio, sul non giudicare perché sono molto importanti e si vede che lei non lo dice perché è il suo lavoro ma perché capisce quanto è importante, dicono che le persone non soffrono quando le prendi in giro, che non siamo più alle elementari, come se un adolescente fosse meno fragile di un bambino delle elementari. Ma a qualsiasi età vieni ferito e puoi soffrire, anche per qualcosa che sembra poco importante. Quindi grazie perché non mi/ci insegna solo la matematica, la fisica e la geometria ma mi/ci fa sorridere, crede in noi e sa che siamo tutti intelligenti, anche se lo siamo in modi diversi ma è molto meglio così, grazie per tutto".