lunedì 28 febbraio 2022

Ezln, Danone e la rapina dell’acqua - Ezln e Cni

 

 “Ci dichiariamo in stato di allerta di fronte alla possibile persecuzione dei fratelli e delle sorelle della Casa de los Pueblos Altepelmecalli, ritenendo il governo federale responsabile di aver utilizzato il suo gruppo armato – chiamato Guardia Nazionale – per intensificare la guerra del denaro contro la vita”.

L’ Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e il Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio di Governo Indigeno (CNI-CIG) utilizzano parole chiare dopo lo sgombero dello scorso 15 febbraio contro le popolazioni che occupavano le strutture dello stabilimento Bonafont (gruppo Danone) di Puebla, per prevenire furti e sovrasfruttamento di acqua.

Con il comunicato, EZLN e CNI-CIG condannano “l’escalation repressiva, che viene dalle viscere del governo del capitale, che si fa chiamare 4T (Quarta Trasformazione), contro la resistenza e la lotta per la vita” dell’organizzazione Pueblos Unidos de la Región Cholulteca y de los Volcanes , che dal 22 marzo 2021 ha iniziato la costruzione di uno spazio culturale e politico autonomo nello stabilimento di Bonafont e lo ha trasformato nella Casa de los Pueblos.

L’EZLN e il CNI-CIG si sono espressi contro “l’offensiva repressiva” delle autorità verso i diversi popoli e le organizzazioni del Paese, che si è manifestata sotto forma di assassinii di difensori dei diritti umani, imposizione di megaprogetti, criminalizzazione della resistenza, e militarizzazione.

Hanno indicato come casi emblematici il recente omicidio dell’oppositore del Progetto Integrale Morelos (PIM), Francisco Vázquez, commesso l’11 febbraio ad Ayala. Vázquez, presidente del consiglio di sorveglianza dell’Associazione degli utenti del fiume Cuautla (Asurco), “aveva alzato la voce contro il furto d’acqua dagli ejidos della regione di Ayala a favore del funzionamento della centrale termoelettrica di Huexca”.

 

Gli zapatisti hanno condannato anche la criminalizzazione della comunità Otomí residente a Città del Messico e dell’attivista Diego García Bautista, che occupa l’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni (INPI), ora Casa de los Pueblos Samir Flores Soberanes. E hanno denunciato la persecuzione del Consiglio supremo indigeno di Michoacán, che si è recentemente mobilitato “contro il disprezzo, il razzismo e l’espropriazione e per la rimozione dell’oltraggioso monumento noto come Los Constructores a Morelia, Michoacán”. Non hanno inoltre mancato di condannare “l’indifferenza e la complicità criminale della Guardia Nazionale di fronte alle violenze nel Guerrero”, la militarizzazione dell’Istmo di Tehuantepec per l’imposizione del Corridoio Transistmico e dei suoi “poli di sviluppo”, e l’utilizzo della Guardia Nazionale e dei gruppi armati per reprimere gli esponenti delle scuole normaliste di Ayotizanapa Guerrero; Tiripetio, Michoacán; e Mactumactza, Chiapas.

“Riteniamo il governo federale del Messico responsabile di questa escalation repressiva contro i nostri popoli e chiediamo che cessino le azioni della Guardia Nazionale e delle forze di polizia contro coloro che si oppongono allo sfruttamento-distruzione della natura e all’espropriazione dei territori e del patrimonio comunitario dei popoli originari per imporre i progetti di morte promossi dallo Stato messicano”, hanno detto l’EZLN e il CNI-CIG, per poi invitare i popoli del Messico e del mondo “a essere vigili di fronte a questa ondata di repressione neoliberista» e a essere solidali con le comunità in lotta.

Di seguito il comunicato completo:

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STOP ALLA REPRESSIONE DEI POPOLI ORIGINARI IN MESSICO

Al popolo del Messico.

Ai popoli del mondo.

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Ai mezzi di comunicazione.

Denunciamo che il 15 febbraio intorno all’1:20, le forze repressive del malgoverno, composte da elementi della Guardia Nazionale, la polizia di stato di Puebla e la polizia municipale di Juan C. Bonilla, hanno invaso e smantellato gli spazi di resistenza e organizzazione della Casa de los Pueblos Altepelmecalli, spazio culturale e politico autonomo che fino al 22 marzo 2021 è stato lo stabilimento fisico della società Bonafont, azienda transnazionale che da anni ruba e sovrasfrutta le falde acquifere della regione di Cholulteca.

Condanniamo fermamente l’escalation repressiva che viene dalle viscere del governo della capitale, che si fa chiamare 4T, contro la resistenza e la lotta per la vita delle nostre sorelle e fratelli dei Pueblos Unidos della regione di Cholulteca e dei Vulcani che, sostenendo la difesa della vita collettiva, ha trasformato questo focolaio di morte in uno spazio di incontro e di scambio nel mezzo della determinazione di imporre il Progetto Integrale Morelos a Morelos, Puebla e Tlaxcala, che prevede un gasdotto attraverso il territorio dei popoli dei Vulcani, dove germoglia la speranza fatta di ribellione e di antiche e nuove forme di organizzazion

Ci dichiariamo in allerta di fronte alla possibile persecuzione dei fratelli e delle sorelle della Casa de los Pueblos Altepelmecalli e consideriamo il governo federale responsabile dell’utilizzo del suo gruppo armato chiamato Guardia Nazionale per intensificare la guerra del denaro contro la vita. Lo riteniamo responsabile della tutela delle imprese dell’azienda Bonafont che spossessa, monopolizza, privatizza e trae profitto in modo immorale dall’acqua dei nostri villaggi, dove subiamo l’emergere di doline e il prosciugamento di pozzi, sorgenti, fiumi e i flussi, come è il caso del fiume Metlapanapa, che il Fronte popolare della regione di Cholulteca e dei Vulcani ha difeso dallo sfruttamento e dalla contaminazione a beneficio dei corridoi industriali.

Denunciamo l’offensiva repressiva del malgoverno neoliberista messicano contro le nostre compagne e compagni che, dalle loro geografie, alzano la bandiera dell’organizzazione del basso per chiamarci a combattere per la vita, CONDANNIAMO:

1.      L’omicidio del compagno Francisco Vázquez, presidente del consiglio di vigilanza dell’ASURCO, che ha alzato la voce contro il furto dell’acqua dagli ejidos della regione di Ayala per il funzionamento della centrale termoelettrica di Huexca, Morelos.

2.      La criminalizzazione del popolo Otomí e del compagno Diego García da parte del titolare di quell’oscura istituzione del malgoverno che chiamano INPI, che serve come organismo replicante dell’indigenismo e per il controllo clientelare nelle nostre comunità, istituzione che aveva i suoi uffici in quella che oggi è la Casa de los Pueblos Samir Flores Soberanes.

3.      La persecuzione contro il Consiglio Supremo Indigeno di Michoacán, viste le sue recenti mobilitazioni contro il disprezzo, il razzismo e l’espropriazione e per la rimozione dell’oltraggioso monumento noto come Los Constructores a Morelia, Michoacán.

4.      L’indifferenza e la complicità criminale della Guardia Nazionale di fronte alle violenze in Guerrero, mentre i cartelli della droga attaccano le comunità del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero-Emiliano Zapata che si oppongono ai megaprogetti estrattivi e denunciano la complicità dei governi con i gruppi narco-paramilitari, assassinando e facendo sparire i nostri fratelli.

5.      La militarizzazione dell’Istmo di Tehuantepec per imporre il megaprogetto del Corridoio Interoceanico Salina Cruz-Coatzacoalcos, nonché l’occupazione illegale delle terre delle nostre comunità per tale progetto, come avviene con la comunità binnizá di Puente Madera, appartenente ai beni comunali di San Blas Atempa, Oaxaca.

6.      L’uso della Guardia Nazionale e dei gruppi armati degli stati e dei municipi per reprimere gli studenti delle scuole rurali normali di Ayotzinapa, Tiripetío e Mactumatzá che protestano per chiedere giustizia e migliori condizioni per le loro scuole.

Riteniamo il governo federale del Messico responsabile di questa escalation repressiva contro i nostri popoli e chiediamo che cessino le azioni della Guardia Nazionale e delle forze di polizia contro coloro che si oppongono allo sfruttamento-distruzione della natura e all’esproprio dei territori, patrimonio comunitario dei popoli originari, per imporre i progetti di morte promossi dallo Stato Messicano.

Invitiamo i popoli, le nazioni e le tribù indigene del Messico, così come le organizzazioni e i gruppi alleati, a vigilare su questa ondata di repressione neoliberista annunciata dal governo capitalista di questo paese attraverso l’accordo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Federazione il 22 novembre 2021, che dichiara i progetti e le opere del governo federale di interesse pubblico e sicurezza nazionale come pretesto per utilizzare le sue forze armate contro quei popoli che si oppongono allo spossessamento e alla distruzione senza precedenti del territorio messicano.

Invitiamo le persone, i gruppi, i collettivi, le organizzazioni e i movimenti nei territori di SLUMIL K´AJXEMK´OP (nota anche come “Europa”) a mobilitarsi e pronunciarsi contro la transnazionale Bonafont-Danone – con sede in Francia – e le rappresentanze dell’attuale governo federale messicano in Europa.

Per la Vita!

Solidarietà e sostegno ai popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno!

Distintamente.

16 febbraio 2022

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Commissione Sexta

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2022/02/16/alto-a-la-represion-en-contra-de-los-pueblos-originarios-en-mexico/

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domenica 27 febbraio 2022

Tumori: i vegetariani hanno il 14% di rischio in meno di contrarre un cancro, la conferma in un nuovo studio - MARCELLA LA CIOPPA

  

vegetariani hanno una probabilità inferiore di sviluppare il cancro rispetto ai carnivori; questo è quanto afferma un ampio studio che collega il consumo di carne a un rischio maggiore di contrarre la malattia.

 

Lo studio

Un team di ricercatori dell’Università di Oxford ha analizzato i dati su oltre 470.000 pazienti, e ha scoperto che coloro che mangiano prevalentemente pesce hanno un rischio ridotto del 10% di sviluppare tumori. Inoltre, rispetto alle persone che mangiano carne regolarmente, coloro che ne consumano piccole quantità hanno un rischio inferiore pari al 2% di sviluppare la malattia.

Tuttavia, gli autori hanno chiarito che i loro risultati non hanno dimostrato in modo definitivo che il consumo regolare di carne aumenti il rischio di cancro, perché vi sono altri fattori a cui prestare attenzione, come il fumo e il grasso viscerale.

La ricerca ha anche rilevato che coloro che consumano carne cinque volte a settimana hanno un rischio inferiore del 9% di sviluppare il cancro all’intestino rispetto a chi mangia carne tutti i giorni.

Le donne vegetariane, inoltre, hanno il 18% di probabilità in meno di sviluppare il cancro al seno in postmenopausa, rispetto a quelle che mangiano carne regolarmente, anche se ciò potrebbe essere dovuto anche al loro indice di massa corporea.

Gli uomini vegetariani hanno un rischio inferiore del 31% di sviluppare il cancro alla prostata, mentre per i pescatari il rischio è inferiore del 20%. I risultati suggeriscono anche che le diete a basso contenuto di carne e le diete vegetariane possono avere un impatto sulla riduzione del rischio di alcuni tumori, in particolare quello all’intestino, al seno e alla prostata.

Quindi, questo nuova ricerca sottolinea quanto sia importante limitare il consumo di carne rossa e carne lavorata, e prediligere cereali integrali, verdura, frutta e legumi.

 

Fonte: BMC Medicine

 

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sabato 26 febbraio 2022

Le altre violenze - Gustavo Esteva

  

Per sopravvivere e creare una qualche opportunità, dobbiamo prendere in considerazione seriamente la grottesca metamorfosi che ha subito il patriarcato capitalista e democratico che avevamo prima nel momento in cui al suo posto si è installato il regime che oggi subiamo.

Quello che la ribellione delle donne inizia a definire “agonia patriarcale” sta spingendo all’estremo i peggiori tratti del patriarcato. Non è solo una violenza che sembra illimitata. È la centralità del suo vangelo di morte, secondo il quale si cerca di sostituire tutto il vivente con i prodotti dell’uomo. La tecnologia per dare ordini dal cervello a tutte le cose che ci circondano, in fondo, simboleggia bene quella che è sempre stata la pretesa del maschio. Ecco perché la lotta anti-patriarcale rimette la cura della vita al centro della preoccupazione personale e dell’organizzazione sociale.

Il nuovo regime porta ancora più avanti il degrado morale delle élite che è proprio del capitalismo. I nostri 100 omicidi al giorno [Esteva vive Messico, ndt] sono qualcosa di terribile. Ma quella contabilità non tiene conto del fatto che tutti sono continuamente esposti a prodotti che uccidono, lentamente e silenziosamente. E sono esposti a condizioni come l’inquinamento atmosferico, che causa ogni anno più decessi di quelli attribuiti al Covid da quando è iniziato.

La maggior parte delle persone è già caduta in una forma di dipendenza dallo stomaco che è, letteralmente, mortale. Sempre più spesso, è necessario cercare sul mercato il proprio cibo. Quello che vi si trova non è solo poco nutriente; molto di esso è chiaramente tossico e sottrae lentamente la vita a coloro che lo consumano.

Il fatto che il Messico abbia il primato mondiale per il consumo pro capite di bibite analcoliche e il più alto tasso di obesità infantile illustra bene lo stato delle cose. I bambini ricevono “alimenti” zuccherati molto presto e, a poco a poco, finiscono per respingere quelli che non contengono la dose di zucchero a cui sono stati abituati. Quasi tutte le bibite analcoliche, molti altri “alimenti” e persino le medicine usano, invece che lo zucchero di canna, il fruttosio, che è più economico ma molto dannoso.

Niente di tutto questo è segreto. Tutte le informazioni al riguardo sono in Internet, a disposizione di tutti. Di tanto in tanto qualcosa di particolarmente scandaloso filtra nei giornali. Ma niente lo ferma. Dobbiamo prendere atto in pieno di quel che dobbiamo affrontare: una mafia criminale e cinica fornisce il cibo alla maggioranza della popolazione e la sua attività irresponsabile provoca anche immensi danni ambientali.

Ci sono organizzazioni che per decenni hanno denunciato questa situazione. Innumerevoli pressioni sono state fatte su tutti i governi affinché agissero di conseguenza, perché è chiaro che loro potrebbero porvi rimedio in breve tempo se solo si decidessero a usare le loro facoltà e le leggi appropriate. Sarebbe possibile, ad esempio, emanare leggi che vietassero la produzione e la distribuzione di molti prodotti; che limitassero drasticamente le quantità di zucchero e altri ingredienti che possono essere immessi in alimenti e bevande; che ponessero il veto alla propaganda che spinge al consumo di cibi tossici o nocivi, e molte altre cose ancora.

 

Niente di tutto questo è nuovo. Abbondanti argomenti e buone motivazioni sono stati offerti per tutte queste misure. Ma sappiamo da molto tempo che i governi non lo faranno. Non si tratta tanto del fatto che sarebbero misure molto impopolari, cosa che potrebbero affrontare con una tempestiva e adeguata diffusione delle loro ragioni e degli obiettivi che si propongono. È soprattutto perché i governi non hanno la volontà e il potere politico necessari per affrontare le élite economiche a cui scelgono di essere subordinati, quelle che guidano realmente la rotta della società e del governo.

È stato detto che potrebbe essere in corso uno spostamento a sinistra nei governi dell’America Latina. Così sembra. Ma questo non cambia la situazione. La palese incapacità dei governi di agire in base agli interessi della gente in questioni tanto fondamentali come il cibo è evidente in tutto l’arco dello spettro ideologico, dall’estrema sinistra all’estrema destra.

La pandemia ha aggravato il problema, ma ha prodotto anche un risveglio per molti. Sempre più persone si uniscono oggi a coloro che da parecchi anni agiscono come si deve: aumentano, passo dopo passo, la capacità autonoma di produrre ciò che mangiano e intessono reti che collegano i consumatori urbani con i produttori rurali.

Questa linea d’azione, che sfugge in modo evidente dal mercato e che, per rimediare ai suoi guai, confida sulle proprie forze e non su quelle dello Stato, sfida apertamente il regime dominante e lo smantella dal basso. Sebbene affronti grandi difficoltà, è alla portata di quasi tutte le persone e i gruppi, anche e specialmente dei più poveri. Per molti di loro, questa modalità di azione comincia a essere una formula di sopravvivenza. Oggi, inoltre, chi ha appena iniziato questo cammino può avvantaggiarsi degli esempi (che si moltiplicano ovunque) di coloro che lo seguono da molto tempo e sono disposti a condividere la propria esperienza. Non c’è città, nel paese o nel mondo, in cui non ci sia un’esperienza di questo genere. E in molte città c’è perfino un’effervescenza spettacolare… che alimenta la speranza in mezzo al disastro.

Fonte originaleLa Jornada

traduzione di Camminardomandando

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venerdì 25 febbraio 2022

Sardegna piattaforma di produzione energetica - Grig

  

Il 21 febbraio 2022 Terna s.p.a., la società pubblica di gestione della rete elettrica nazionale, ha svolto l’asta pubblica per il mercato delle capacità per l’anno di consegna 2024.

Il mercato delle capacità è “un meccanismo con cui Terna si approvvigiona di capacità attraverso contratti di approvvigionamento di lungo termine aggiudicati con aste competitive”. In parole povere, consente di avere forniture energetiche certe per un consistente periodo temporale.

L’esito della recente asta pubblica ha consentito di conoscere un nuovo tassello del futuro della Sardegna e della prossima servitù energetica.

Nel 2024 dovrebbero esser attivi un polo delle energie rinnovabili nel Nord Sardegna con batterie di accumulo per 247 MW e un analogo polo con batterie di accumulo per 253 MW nel Sud Sardegna. Si ipotizza, così, la contemporanea chiusura delle centrali a carbone di Fiume Santo (Porto Torres) e di Portoscuso, facendo così dedurre (i soggetti aggiudicatari non sono ancora pubblici) che abbia molto probabilmente vinto la gara il Gruppo ENEL s.p.a., titolare dell’impianto di Portoscuso (la E.P. Produzione, titolare dell’impianto di Fiume Santo non avrebbe partecipato).

Contemporaneamente sono stati predisposti e depositati presso gli uffici della Capitaneria di Porto di Cagliari (ma non sono stati ancora pubblicati per eventuali atti di opposizione al rilascio della concessione demaniale marittima) ben sei progetti di centrali eoliche offshore nei mari della Sardegna meridionale:

Seawind Italia s.r.l., con sede a Portoscuso, progetto di due centrali eoliche offshore, la Del Toro 2 a 21 miglia marine a sud ovest dell’Isola di S. Pietro e la Del Toro 1 a 6 miglia marine al largo dell’Isola di S. Antioco;

Ichnusa Wind Power s.r.l., con sede a Milano, 42 aerogeneratori galleggianti alti 265 metri a circa 35 chilometri dalla costa sulcitana, per una potenza complessiva di 504 MW. L’istanza di concessione demaniale marittima è stata sospesa (aprile 2021) dopo un atto di opposizione presentato dal Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), mentre è stata svolta la fase di definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale (scoping) finalizzata alla successiva procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.);

Repower Renewable s.p.a., dell’elvetico Gruppo Repower, un progetto di centrale eolica offshore al largo di Capo Teulada;

Nora Ventu s.r.l., società milanese frutto dell’accordo tra Falck Renewables s.p.a. e BlueFloat Energy, due progetti di centrali eoliche galleggianti offshore con una novantina di aerogeneratori per una capacità complessiva di 1,4 GW a 18 miglia marine a sud est di Cagliari (Nora 2) e a 6 miglia marine a sud di Capo Teulada (Nora 1).  Fan balenare ben 4 mila posti di lavoro in fase di realizzazione e 300 in fase di gestione.

Qualche riflessione è d’obbligo.

L’abbiamo già detto e denunciato pubblicamente, ma lo facciamo di nuovo, visto il silenzio dei cosiddetti rappresentanti del popolo, a parte qualche rara eccezione virtuosa: la Sardegna sta diventando una piattaforma assoggettata a servitù energetica.

Questa la “fotografia” del sistema di produzione energetica sardo (energia richiesta in Sardegna: GWh 9.171,5 energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh +3.491,5, dati TERNA 2019) è che oltre il 38% dell’energia oggi prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato verso la Penisola grazie alle connessioni oggi esistenti ovvero viene disperso in quanto non utilizzato (i sistemi di accumulo e conservazione sono ancora in fase di studio o sperimentale).

In Sardegna, al 20 maggio 2021, risultavano presentate ben 21 istanze di pronuncia di compatibilità ambientale di competenza nazionale o regionale per altrettante centrali eoliche, per una potenza complessiva superiore a 1.600 MW, corrispondente a un assurdo incremento del 150% del già ingente comparto eolico isolano. 

Le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 agosto 2021 risultano complessivamente pari a 5.464 MW di energia eolica + altri 10.098 MW di energia solare fotovoltaica, cioè 15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile.  Otto volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021).

 

 

 

Numerosi i progetti per centrali eoliche off shore.

A queste si somma un’ottantina di richieste di autorizzazioni per nuovi impianti fotovoltaici.

Complessivamente sarebbero interessati più di 10 mila ettari di boschi e terreni agricoli.

Ormai il quadro è chiaro, a mare e in terra la Sardegna sembra proprio destinata a diventare una piattaforma di produzione energetica, un’Isola destinata all’ennesima servitù, la servitù energetica.

 

L’ha affermato chiaramente – e ha annuito l’attuale Ministro della Transizione Ecologica Antonio Cingolani – l’amministratore delegato del Gruppo ENEL Francesco Starace, secondo cui lo “scenario ipotizza l’installazione, a Thyrrenian link in esercizio, di un gigawatt di batterie e circa 4/5 gigawatt di potenza di rinnovabili in più rispetto a quanto abbiamo adesso. Oltre agli ovvi benefici ambientali, come la scomparsa di fatto dell’anidride carbonica prodotta dalle fonti fossili, un piano del genere svilupperebbe investimenti sull’intera filiera da qui al 2030 di 15 miliardi di euro, un indotto più che doppio e una occupazione tra i 10 e i 15mila addetti qualificati e specializzati”.

Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (p. es. termoelettrica) può esser solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica.

Il motivo del potenziamento della rete elettrica di interconnessione, rientrante negli obiettivi comunitari, è esplicitato chiaramente: “in Sicilia, in Sardegna e soprattutto in Campania c’è una forte produzione da fonti rinnovabili non programmabili, solare ed eolico, in costante aumento. Il Tyrrhenian Link migliorerà la capacità di scambio elettrico e quindi si potranno utilizzare al meglio i flussi di energia da fonti rinnovabili favorendone lo sviluppo”.

Con la realizzazione del Thyrrenian Link, il nuovo doppio cavo sottomarino di Terna s.p.a. con portata 1000 MW, 950 chilometri di lunghezza complessiva, da Torre Tuscia Magazzeno (Battipaglia – Eboli) a Termini Imerese, alla costa meridionale sarda.

Dovrebbe esser pronto nel 2027-2028, insieme al SA.CO.I. 3, l’ammodernamento e potenziamento del collegamento fra Sardegna, Corsica e Penisola con portata 400 MW, che rientra fra i progetti d’interesse europeo.

Al termine dei lavori, considerando l’altro collegamento già esistente, il SA.PE.I. con portata 1000 MW, la Sardegna avrà collegamenti con una portata complessiva di 2.400 MW. 

Non di più.      

 

Visto che la realizzazione di impianti da fonte rinnovabile non comporta la sostituzione automatica degli impianti “tradizionali” (anzi), visto che attualmente non la si immagazzina, dell’energia prodotta in eccesso che ne facciamo?     

E in questa situazione dovremmo dar centinaia di milioni di euro di soldi pubblici sotto forma di finanziamenti e incentivi per centrali elettriche off shore la cui energia eventualmente prodotta che fine dovrebbe fare?

Allo stato attuale, è pura speculazione per ottenere fondi, incentivi pubblici e certificati verdi o no?

A chi serve questo enorme quantitativo di energia che sarebbe prodotta, considerato che l’energia prodotta in Italia ogni anno è di gran lunga superiore alla domanda?[1]

Questi non sono aspetti che meritano il minimo approfondimento solo perché vanno contro la narrazione prescelta?

Con l’art. 31 del decreto-legge n. 77/2021, convertito nella legge n. 108/2021 il divieto di accumulo per l’energia prodotta anche da fonte rinnovabile è superato e solo ora giungono i primi progetti in proposito.

 

La delega contenuta nell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 (legge di delegazione europea) sull’attuazione della direttiva n. 2018/2001/UE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili prevede esplicitamente l’emanazione di una specifica  “disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a  fonti  rinnovabili  nel rispetto delle esigenze di tutela  del  patrimonio  culturale  e  del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita’ dell’aria e dei corpi idrici, nonche’ delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e  della  tutela  del territorio e del  mare,  privilegiando  l’utilizzo  di  superfici  di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e  aree non  utilizzabili   per   altri   scopi”.  

Disciplina a oggi non emanata, il che rende tutt’altro che semplice salvaguardare efficacemente ambiente, paesaggio, territorio e patrimonio naturalistico, sebbene alcune disposizioni precedenti siano recenti, come il Piano energetico regionale della Sardegna 2015-2030 – Individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili (deliberazione Giunta regionale n. 59/90 del 27 novembre 2020).

Soprattutto una cosetta sfugge.

 

Il 10 febbraio 2021 il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un dispositivo per la ripresa e la resilienza chiudendo definitivamente l’iter per la disciplina dei Pnrr (Piani nazionali di ripresa e resilienza) avviato dalla Commissione europea lo scorso 27 maggio 2020, mettendo a disposizione dei Paesi Ue 672,5 miliardi di euro per la ripresa e la resilienza, dunque la parte più sostanziosa dei 750 miliardi del pacchetto Next Generation Eu.

La risoluzione è stata assunta in coerenza con l’accordo storico raggiunto dal Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020 che, approvando la proposta della Commissione, ha deciso di assumersi il carico di un debito comune tra stati Ue in risposta alla crisi pandemica.

Il concetto fondante è netto: per ogni euro di spesa dev’essere dimostrato che non nuoce all’ambiente, pena la perdita dei fondi comunitari.

Eppure piovono progetti di centrali eoliche e fotovoltaiche, a terra e a mare, senza alcuna logica se non quella del profitto privato.

Lasciamo allora che a decidere sul futuro del territorio siano di fatto le società energetiche?

Ma lo vogliamo dire – senza ipocrisiegreenwashing e fumo negli occhi – che la Sardegna (con la Sicilia) sarà il prossimo “hub energetico del Mediterraneo” con la conseguente servitù energetica?

Gruppo d’Intervento Giuridico odv

 

[1] Gli ultimi dati disponibili (primo trimestre 2021, elaborazione QualEnergia su dati TERNA) vedono una domanda pari a 78 TWh, di cui 27,38 prodotti da fonti rinnovabili (il 34,8%).  Gli ultimi dati annui disponibili (TERNA, 2019) affermano che “nel 2019 in Italia la domanda di energia elettrica ha raggiunto i 319.622 GWh, con una flessione dello 0,6% rispetto all’anno precedente”, mentre “la potenza efficiente lorda si è attestata a 119,3 GW (+1,0 % rispetto al 2018 essenzialmente imputabile alle rinnovabili). Il parco di generazione termoelettrico si è mantenuto sostanzialmente stabile, mentre il parco di generazione delle fonti rinnovabili continua la sua crescita con un incremento generale pari al +2,2%  ed una potenza che rappresenta il 46,5% del totale installato in Italia (era 46% nel 2018)”.

La potenza efficiente lorda del “sistema energia” italiano è ampiamente sufficiente a sostenere la domanda, visto che “il valore della punta massima registrato nel 2019 è stato pari a 58,8 GW, e si è verificato il giorno 25 luglio alle 17. La punta 2019 è stata leggermente più alta (+1,8%) rispetto alla punta del 2018, determinando un trend di crescita che si protrae dal 2014. Si conferma la forte correlazione tra il carico e le temperature estive°.

 

qui il comunicato stampa congiunto della Falck Renewables e della BluFloat Energy (22 febbraio 2022)

 

da La Nuova Sardegna, 22 febbraio 2022

L’eolico off-shore fa gola: definiti sei progetti nel sud Sardegna.

Anche multinazionali e banche d’affari tra i proponenti, ma mancano regole. (Giuseppe Centore)

CAGLIARI. Non si vedranno dalla terra ferma neppure con il binocolo, servirà un cannocchiale e tanta fantasia, per alcuni. Per altri invece l’impatto visivo sarà evidente. I campi eolici offshore previsti nel sud Sardegna a oggi sono sei, come riportato in dettaglio nella cartina qui sopra allegata.

Non sono ipotesi ma progetti definiti, e presentati agli uffici della Capitaneria di Porto di Cagliari nelle scorse settimane, regolarmente protocollati e studiati. Le società che li hanno presentati sono quattro. Due progetti hanno la stessa società per due distinte aree. La prima è la Seawind Italia srl che ha in mente di installare le pale a ovest dell’isola nel campo più grande a poco più di 21 miglia marine a sudovest di Carloforte, con l’impianto, molto esteso, denominato “Del Toro 2”, proponendo poi un impianto più piccolo, diviso in due sotto-campi a sei miglia al largo di Sant’Antioco.

Sulla società proponente si sa poco, se non che è una srl costituita di recente che ha come indirizzo la zona industriale di Portovesme. In assenza di comunicazioni ufficiali è plausibile che la srl sia stata creata da una delle società che operano da anni nella zona industriale, consumatrice di energia per le sue lavorazioni che già dispone di un piccolo parco eolico ma a terra. In questo caso il parco marino sarebbe ben più grande e fungerebbe da “polmone” finanziario ed energetico alla stessa società, che avrebbe sicuramente anche i mezzi propri per un investimento così impegnativo, ma che non è escluso in caso di autorizzazione riesca a costituire una cordata finanziario-industrale per realizzare un investimento vicino al miliardo di euro.

Investimento analogo è quello previsto più a nord, di fronte a Buggerru e proposto dalla Ichnusa Wind Power, srl nata nel 2019 a Milano con un capitale sociale contenuto, che vede tra i suoi azionisti il progettista Luigi Severini, ingegnere pugliese. Anche in questo caso il progetto della Ichnusa è gigantesco: 42 pale eoliche galleggianti alte 265 metri su una superficie marina di 49 mila metri quadri, a circa 35 chilometri da Cala Domestica e a nord del punto indicato per l’attracco del cavidotto: Portoscuso. La potenza prevista per ogni aerogeneratore è di 12 megawatt ciascuna, per complessivi 504 megawatt. In questo caso il proponente farebbe da apripista ad altri soggetti che rileverebbero progetto ed eventuale autorizzazione. Ha invece spalle larghe Repower Renewable società per azioni, affiliata dalla multinazionale elvetica Repower (gruppo internazionale che fattura oltre 1 miliardo di euro) che ha presentato un campo ben distante da capo Teulada, ma vicino ad altri due campi, presentati dalla società Nora Ventu srl e denominati Nora 1 e Nora 2.

In questo caso può essere la sede sociale della Nora Ventu srl a dare qualche indicazione su chi abbia deciso di scommettere sulla Sardegna. La sede di Nora Ventu srl è corso Venezia 16 a Milano, a palazzo Serbelloni, storico edificio neoclassico dove hanno sede gli uffici di Morgan Stanley Italia, una delle maggiori banche d’investimento al mondo, controllata da una serie di fondi e investitori istituzionali, oltre duemila. Anche in questo caso il progetto è consistente, con una novantina di pale eoliche distribuite a 18 miglia nautiche, quasi 60 chilometri a sud est di Cagliari, ben fuori dal golfo (Nora 2) e a 6 miglia nautiche a sud di Capo Teulada, oltre l’area militare interessata alle esercitazioni.

Questi progetti, per impatto dimensioni e investimenti (tutti miliardari) non hanno possibilità di arrivare tutti insieme al traguardo. Al sud dell’isola, insieme all’intervento previsto al largo di Olbia, c’è spazio per massimo due campi eolici. La competizione è aperta.

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giovedì 24 febbraio 2022

La Commissione Ue contro il recepimento della direttiva Sup. Ora l’Italia è a rischio infrazione - Andrea Turco

  

Per l’Italia continuano i problemi in merito al recepimento della direttiva UE che mira a ridurre la dispersione della plastica monouso nell’ambiente. Dopo la richiesta inascoltata di una sospensione del provvedimento legislativo, il rischio di una procedura d'infrazione si fa più concreto

 

Pronti… via? Anzi no, meglio un rinvio. Da oggi è in vigore il recepimento italiano della direttiva Sup, la normativa comunitaria del 2019 che punta alla “riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. Con il decreto legislativo n. 196 dell’8 novembre 2021 il nostro Paese, dopo più di due anni di rinvii e polemiche, si è finalmente adeguato al dettato comunitario. Lo ha fatto, però, inserendo una serie di commi “aggiuntivi” che la Commissione europea qualche settimana fa ha contestato con una comunicazione ufficiale al ministero dello Sviluppo economico. Il “parere circostanziato” firmato dal commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton, che EconomiaCircolare.com ha avuto modo di visionare, è una bocciatura netta e lunga due pagine e mezzo, che analizza alcuni passaggi del provvedimento italiano soffermandosi sulle singole parole e definizioni.

Uno dei focus della bocciatura di Bruxelles è il tentativo del nostro Paese di salvaguardare il settore delle bioplastiche. “La direttiva Sup non prevede alcuna eccezione per la plastica biodegradabile – scrive in maniera esplicita il commissario Breton -. Al contrario, prevede esplicitamente che la definizione di ‘plastica’ contenuta nella direttiva dovrebbe comprendere la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo. Pertanto, tale plastica biodegradabile è considerata come qualsiasi altra plastica“.

In teoria, quando la Commissione emana un parere circostanziato, dovrebbe conseguirne “la proroga dei termini del periodo di astensione obbligatoria dall’adozione del provvedimento notificato, che risultano ora fissati al 23 marzo 2022”.  In pratica il governo italiano, avrebbe dovuto sospendere l’attuazione del provvedimento che invece da oggi è pienamente vigente. Si presume, allora, che utilizzerà questo arco temporale per riaffermare le proprie ragioni nelle sedi europee.
Ma quali sono nel concreto le parti del decreto legislativo di recepimento che la Commissione contesta? E quali possono essere le conseguenze di una bocciatura così netta?..

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mercoledì 23 febbraio 2022

Affondamento catastrofico della FPSO petrolifera Trinity in Nigeria - Maria Rita D'Orsogna

 

Avro’ predicato tutto questo per anni, in tutti gli angoli d’Italia in cui si parlava di petrolio, di Ombrina Mare, del perche’ no alle trivelle.

Il problema del petrolio e’ non se succedera’ mai un incidente, piuttosto quando succedera’. Perche’ e’ garantito che quando meno te l’aspetti prima o poi qualcosa andra’ storto.

Ed infatti eccoci qui, in Nigeria. La tanto martoriata Nigeria. Come se non bastasse tutto lo schifo che ENI, Shell e compari hanno fatto nel corso degli anni, ecco un’altra petrol-tragedia.

Una FPSO - che sta per Floating, Production, Storage and Offloading unit - e’ esplosa in mare lasciando disastri e dispersi. La FPSO esplosa si chiamava Trinity.

Le FPSO sono navi-raffineria che stanno li, ferme in mezzo al mare, spesso vicino ai campi petroliferi. Il loro compito e’ di raffinare petrolio in loco, di stoccarlo, e poi di agevolare il trasferimento su navi merci in modo che il prodotto finale possa essere mandato nel resto del mondo.

E’ per questo che c’e’ sempre la fiamma accesa, perche’ la FPSO raffina petrolio ed emette fumi di scarto, specie di tipo sulfureo.

E’ esattamente la stessa infrastruttura che l’amico Sergio Morandi della Rockhopper Exploration voleva propinarci in Abruzzo a 5km da riva.

Il lotto di mare nigeriano dove sorge questo petrol-mostro della trinita’ si chiama OML 108 e si trova nel mare dello stato di Warri. Trinity e’ di proprieta’ di una ditta americana Allenne Ltd, ma e’ gestita da una ditta Nigeriana che si chiama Shebah Exploration & Production Company Ltd (SEPCOL).

 

La SEPCOL aveva rilevato delle quote dalla Conoco-Phillips ed ora si trova (e’ il caso di dirlo) in cattive acque finanziarie.

Forse le ristrettezze finanziarie hanno contribuito alla mancanza di sicurezza. E poi c’e’ da tenere conto che i protocolli di sicurezza nigeriani sono assolutamente inadeguati e anche laddove ci sono nessuno li rispetta. Ad ogni modo, non si sa bene cosa sia successo, ma dopo l’esplosione e il fumo e le fiamme il risultato e’ che dieci persone mancano all’appello.

La FPSO era ancorata a 25 metri di profondita’ e raffinava 22,000 barili di petrolio al giorno. Non si sa quanto petrolio fosse stoccato a bordo ma si parla di circa 200,000 barili, quasi tutti provenienti dal vicino campo Ukpokiti che contiene cinque pozzi estrattivi ed uno di reiniezione.

Ovviamente il timore, a parte l’ansia per i dieci dispersi, e’ ora che ci possa essere un mega riversamento in mare di tutto questo greggio.

Trinity e’ stata una petroliera attiva prima di essere una FPSO, e va in giro dal 1976. Ben 45 anni. Non e’ l’unica nave-antica ad operare come FPSO in Nigeria ed in molti sono preoccupati di altri disastri dovuti alla mancanza di manutenzione, di regolamentazioni e all’eta’ di questi mostri.

Un altro ingrediente che genera timore e’ che vari colossi internazionali, Shell in primis, abbandonano la Nigeria, e subentrano operatori piu’ piccoli, come questa sconosciuta SEPCOL con meno garanzie di sicurezza e con infrastruttura che diventa sempre piu’ vecchia.

Ecco, questa Trinity potrebbe essera la prima di una lunga seria.

Restiamo a vedere.

In me, a parte il dispiacere per la Nigeria (e la Basilicata, e l’Ecuador, e il Peru’, e ovunque vivano con questi schifi) c’e’ un pizzico di orgoglio ed un sospiro di sollievo a pensare che all’Abruzzo tutto questo e’ stato risparmiato.

Vorrei solo che queste lezioni non andassero dimenticate perche’ e’ successo in Nigeria ma puo’ succedere ovunque arrivano trivelle e trivellatori e occorre sempre stare all’erta.

Il petrolio migliore del mondo e’ quello che resta sottoterra.

da qui

martedì 22 febbraio 2022

Amazzonia, l’oro estratto illegalmente: “Venduto a un’azienda italiana” - Umberto Verdat

 

Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha lanciato un piano per espandere l’estrazione dell’oro in Amazzonia, in linea con la sua politica di sfruttamento economico dell’area tropicale più grande del mondo. Con questa misura, il presidente dà ulteriore impulso all’attività mineraria nella regione, che causa deforestazione, inquinamento e attacchi alle popolazioni indigene circostanti.

Bolsonaro ha firmato un decreto che crea un programma per sostenere l’estrazione mineraria artigianale, un’attività controversa conosciuta come “garimpo”.

Estrazione illegale

L’estrazione mineraria artigianale è legale in Brasile, a patto che i minatori abbiano le licenze ambientali appropriate e l’autorizzazione a estrarre specifici pezzi di terra. In pratica, però, molte operazioni non rispettano i regolamenti.

Almeno 220 miniere che hanno registrato la produzione di oro nel 2019 e 2020 semplicemente non esistono. O meglio, esistono solo formalmente: sono autorizzati a operare e a vendere il minerale, ma chiunque cerchi di visitarli troverà solo foresta chiusa e nessun segno di intervento umano. Si tratta delle cosiddette “miniere fantasma”, utilizzate per coprire l’origine del metallo estratto clandestinamente e che si diffondono in tutto il paese beneficiando della mancanza d’ispezione da parte dell’Agenzia Nazionale delle Miniere.

Quando un minatore invade una terra indigena o un’unità di conservazione ambientale, può mettere sul mercato l’oro estratto solo se ne camuffa l’origine. È in questo schema che entrano le “miniere fantasma”, registrando il minerale delle miniere illegali come produzione propria.

Uno studio della ONG Instituto Escolhas, pubblicato la settimana scorsa, dice che: “I garimpos sono una delle principali minacce per la foresta amazzonica e i suoi popoli, e sono ben lungi dall’operare su scala artigianale o rudimentale, poiché lo fanno come vere e proprie organizzazioni industriali”.

La deforestazione in Amazzonia sale a nuovi massimi storici

Il  coinvolgimento di un’azienda italiana

Nel sud della provincia amazzonica di Pará c’è una riserva indigena del popolo Kayapó. Secondo un articolo pubblicato da Repórter Brasil , ora si è scoperto che l’oro estratto illegalmente da minatori che agiscono sotto la protezione, se non l’incentivo, del governo nazionale avrebbe alimentato la produzione di uno dei principali produttori europei di metalli preziosi, la società italiana Chimet S.p.a (Chimica Metallurgica Toscana).

Il gruppo italiano specializzato nella raffinazione del minerale per la fabbricazione di gioielli, come le fedi nuziali, e per la formazione di lingotti d’oro che sono conservati nei caveau delle banche svizzere, inglesi o americane.

La Chimet nel 2020 ha avuto le maggiori entrate della sua storia: più di 3 miliardi di euro con un aumento del 76% rispetto all’anno precedente.

È stato provato che l’oro estratto è stato “legalizzato” grazie ai meccanismi di controllo disattivati o indeboliti dall’attuale governo. L’istituzione incaricata del controllo, l’Agenzia Nazionale delle Miniere (ANM), non ha mai avuto così poche risorse e il numero di funzionari attivi è stato ridotto al minimo.

L’indagine condotta dalla polizia federale brasiliana, il cui controllo assoluto non è riuscito a Bolsonaro, ha raggiunto i responsabili dell’acquisto dell’oro illegale e della sua esportazione fraudolenta in Italia. In ottobre, dodici persone coinvolte nella frode sono state arrestate. Dopo tre mesi, sono stati tutti rilasciati grazie all’habeas corpus ottenuto presso i tribunali di prima istanza.

L’azienda italiana, a sua volta, sostiene che i suoi acquisti d’oro sono conformi al requisito che la loro origine sia identificata. Forse dimentica di menzionare un piccolo dettaglio: sotto Bolsonaro, il venditore dichiara l’origine senza dover dimostrare nulla. Contattata da Repórter Brasil, l’azienda ammette anche che comprare oro estratto in “zone a rischio” porta come una delle conseguenze il pericolo di acquisire minerale senza origine legale. E sottolinea che il Brasile è, in ogni caso, una “zona ad alto rischio”. C’è stata solo una tonnellata di oro illegale, dicono gli italiani, sottolineando che si tratta di una quantità minuscola rispetto al totale acquistato in varie parti del mondo.

 

https://www.strisciarossa.it/amazzonia-oro-estratto-illegalmente-venduto-a-azienda-italiana

Quelle banche nere di carbone - Luca Manes

 

Le due più importanti banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit, fra il 2020 e il 2021 hanno aumentato sensibilmente il loro sostegno all’industria del carbone, il combustibile fossile più inquinante e per questo responsabile in modo massiccio dell’attuale crisi climatica. In particolare, l’istituto torinese ha quadruplicato i suoi finanziamenti tra il 2020 e il 2021, passando da 449 milioni a 2,1 miliardi di euro, mentre quello di piazza Gae Aulenti cresce da 1,36 a 1,71 miliardi di euro. Stesso trend per gli investimenti, soprattutto quelli della prima banca italiana: da 778 milioni a 1,35 miliardi di euro tra il 2020 e il 2021.

Lo rivela l’analisi finanziaria della Global Coal Exit List, redatta dalla Ong tedesca Urgewald, dalla francese Reclaim Finance e da 350.org Giappone insieme ad altre 25 realtà internazionali, tra cui ReCommon, e resa pubblica oggi (15 febbraio, ndr).

La crescita di Intesa Sanpaolo è stata trainata soprattutto dalla sottoscrizione di bond (sestuplicata tra 2020 e 2021), modalità di finanziamento tra le meno regolate in circolazione, dal momento che le società dell’industria fossile possono impiegare i proventi legati ai bond per scopi generici, il più delle volte il proprio core business. Tra i finanziamenti, spiccano i 120 milioni di euro alla sudafricana Sasol e, soprattutto, i 200 milioni alla tedesca RWE, società più inquinante d’Europa.

I finanziamenti a Sasol, avvenuti tra marzo e maggio del 2021, si configurano inoltre come una violazione della precedente policy sul carbone (maggio 2020), concessi poco prima dell’entrata in vigore di quella attuale (luglio 2021). Gli impegni presi nel 2020, infatti, escludevano la possibilità di finanziare società intenzionate a espandere il proprio business attraverso la costruzione di nuove miniere, proprio come sta facendo Sasol.

Anche UniCredit ha intensi rapporti commerciali con Sasol (136 milioni di euro) e RWE (226 milioni di euro). Il gruppo non sembra dunque intenzionato ad abbandonare definitivamente il carbone, come confermato dall’analisi dei dati finanziari e dalla nuova policy, adottata pochi giorni fa, con cui UniCredit ha rivisto al ribasso i propri impegni di disinvestimento nei confronti del settore.

 

«I dati del 2020 delle due principali banche italiane sembravano indicare un trend al ribasso rispetto all’esposizione finanziaria al carbone. Quelli aggiornati sono uno schiaffo a chiunque si stia impegnando per contrastare la crisi climatica», commenta Simone Ogno di ReCommon. «I ridotti prestiti al carbone da parte di Intesa Sanpaolo nel 2020 non erano quindi dettati dall’azione climatica, bensì la fotografia di un comparto fermatosi all’inizio della pandemia. Come fa la prima banca italiana a definirsi “leader della sostenibilità” se nel 2022 stiamo ancora a parlare della sua crescente esposizione al più inquinante dei combustibili fossili e se non ha ancora indicato una data per interrompere il suo supporto all’energia prodotta dal carbone?», aggiunge Ogno.

La Global Coal Exit List ha preso in esame 1.032 società del settore carbonifero e i rispettivi sostenitori finanziari: banche, fondi di investimento, asset manager. In base ai dati raccolti nella ricerca, risulta che nel 2021 le istituzioni finanziarie abbiano investito oltre 1.200 miliardi di dollari nell’industria del carbone. Un aumento molto preoccupante rispetto al 2020, quando i soldi investiti superavano di poco 1000 miliardi di dollari.

Le banche di soli 6 paesi – Cina, Stati Uniti, Giappone, India, Regno Unito e Canada – sono state responsabili dell’86% dei finanziamenti complessivi per l’industria del carbone.

Un totale di 376 banche commerciali hanno fornito 363 miliardi di dollari sotto forma di prestiti all’industria del carbone. Solo 12 banche contano però per il 48% del totale dei prestiti alle società presenti nel Global Coal Exit List. Guidano questa poco onorevole classifica le tre banche giapponesi Mizuho Financial, Mitsubishi UFJ Financial e SMBC Group, seguite da Barclays (Regno Unito) e Citigroup (Stati Uniti). Ironicamente, dieci di queste fanno parte della Net-Zero Banking Alliance, in cui rientrano anche Intesa Sanpaolo e UniCredit da ottobre 2021.

Nello stesso periodo, i tre istituti più esposti in termini di sottoscrizione di bond sono la Industrial Commercial Bank of China, la China International Trust and Investment Corporation e la Shanghai Pudong Development Bank. L’unica banca non cinese tra i primi 12 sottoscrittori per l’industria del carbone è la statunitense JPMorgan Chase.

«Le organizzazioni della società civile, i regolatori finanziari e gli stessi investitori devono smascherare le pratiche di greenwashing e mettere alle strette gli istituti di credito più importanti del Pianeta, affinché smettano di finanziarie il carbone. L’ipocrisia nascosta dietro vaghi impegni di net-zero e sostenibilità è inaccettabile», ha affermato Daniela Finamore di ReCommon.

https://comune-info.net/quelle-banche-nere-di-carbone/