venerdì 4 febbraio 2022

Dopo il vulcano, la marea nera - Maria Rita D'Orsogna

Alla fine hanno dovuto chiedere aiuto a paesi stranieri. L’eruzione devastante dal vulcano sull’isola di Tonga ha causato uno tsunami lungo le coste del Perù, non lontano dalla capitale Lima. Le onde a loro volta hanno travolto una nave che scaricava petrolio destinata alla raffineria “La Pampilla”, gestita dalla spagnola Repsol. Bello scenario, eh?

Sono finiti in mare 24.000 litri di petrolio che hanno devastato l’ecosistema: ventuno spiagge sono a rischio per la salute umana e non si possono accedere. Ci sono pure scene di pinguini, foche e cormorani coperti di petrolio e morti. La pesca è stata chiusa, e pure la raffineria. In Perù non hanno personale adeguato e cosi hanno dovuto chiedere all’Onu di assistere.

Il copione è sempre lo stesso: a pagare il prezzo i pescatori che non hanno accesso al mare e dunque alla loro fonte di sostentamento, dalle sardine ai pesci più grandi. La pesca è uno dei più importanti settori economici del paese e qui almeno mille famiglie vivono di pesca. Adesso è tutto malato, morto, e dall’odore di petrolio e di morte. E poi ovviamente le creature del mare, incluse quelle che vivevano dentro due aree marine protette lungo la costa peruviana. Fra questi pinguini, foche, cormorani, delfini, gabbiani. Alcune sono specie rare.

La zona è particolarmente ricca di biodiversità perché le acque sono fredde e il plankton, alla base della catena alimentare marina, è particolarmente abbondante.

Il Perù pensava di non essere impattato dall’eruzione vulcanica in Tonga e non hanno messo in atto particolari misure di sicurezza. E infatti sono morte pure due donne travolte dalle onde.

Ma la Repsol, petrolditta spagnola, non è totalmente innocente in tutto questo perché non hanno avvertito le autorità in tempo e perché non hanno risposto in modo adeguato al disastroLa nave che scaricava il petrolio, la Mare Doricum, è italiana, e gli operatori dicono che è stato un oleodotto marino a cedere durante il processo di carico e scarico, causando le perdite. Inizialmente la Repsol ha parlato di perdite “contenute e limitate” ma invece non era vero niente, e infatti hanno successivamente confermato che i lavori di pulizia dureranno almeno fino a febbraio. Ci sono ora 840 persone dedicate alla pulizia e sono state rimosse almeno 500 tonnellate di sabbia.

Tine Van Den Wall Bake, portavoce della Repsol, dice che non è colpa loro. Liquida tutti con quattordici parole: “We did not cause this ecological disaster and we cannot say who is responsible”. Ponzio Pilato in gonnella.

Il ministro dell’ambiente Ruben Ramirez dice però che tutto quello che la Repsol ha fatto o sta facendo è improvvisato e che lui ha solo visto gente con scope, secchi e buste di plastica, mentre invece ci vorrebbe attrezzatura e personale molto più avanzati. Alcuni dei volontari sono pescatori ora senza lavoro. Qualcuno è finito all’ospedale per le esalazioni dal greggio. Ramirez dice che potrebbero esserci fino a 36 milioni di dollari di multa per la Repsol: sono tanti soldi, ma sempre noccioline per i petrolieri.

Ma non è che il petrolio scomparirà magicamente dopo febbraio. Il petrolio, i metalli pesanti che ci si annidano dentro, resteranno per anni nascosti nelle profondità del mare, nelle pinne dei pesci, e nelle pance di chi li vive.

da qui

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