Alla fine hanno dovuto chiedere aiuto a paesi stranieri. L’eruzione devastante dal vulcano sull’isola di Tonga ha causato uno tsunami lungo le coste del Perù, non lontano dalla capitale Lima. Le onde a loro volta hanno travolto una nave che scaricava petrolio destinata alla raffineria “La Pampilla”, gestita dalla spagnola Repsol. Bello scenario, eh?
Sono finiti in mare 24.000 litri di petrolio che hanno devastato
l’ecosistema: ventuno spiagge sono a rischio per la salute umana e non si possono
accedere. Ci sono pure scene di pinguini, foche e cormorani coperti di petrolio
e morti. La pesca è stata chiusa, e pure la raffineria. In Perù non hanno
personale adeguato e cosi hanno dovuto chiedere all’Onu di assistere.
Il copione è sempre lo stesso: a pagare il prezzo i pescatori che
non hanno accesso al mare e dunque alla loro fonte di sostentamento, dalle
sardine ai pesci più grandi. La pesca è uno dei più importanti settori
economici del paese e qui almeno mille famiglie vivono di pesca. Adesso
è tutto malato, morto, e dall’odore di petrolio e di morte. E poi
ovviamente le creature del mare, incluse quelle che vivevano dentro due aree
marine protette lungo la costa peruviana. Fra questi pinguini, foche,
cormorani, delfini, gabbiani. Alcune sono specie rare.
La zona è particolarmente ricca di biodiversità perché le acque
sono fredde e il plankton, alla base della catena alimentare marina, è
particolarmente abbondante.
Il Perù pensava di non essere impattato dall’eruzione vulcanica in Tonga e
non hanno messo in atto particolari misure di sicurezza. E infatti sono morte
pure due donne travolte dalle onde.
Ma la Repsol, petrolditta spagnola, non è totalmente innocente in
tutto questo perché non hanno avvertito le autorità in tempo e perché non hanno
risposto in modo adeguato al disastro. La nave che scaricava il
petrolio, la Mare Doricum, è italiana, e gli operatori dicono che è stato
un oleodotto marino a cedere durante il processo di carico e scarico, causando
le perdite. Inizialmente la Repsol ha parlato di perdite “contenute e limitate”
ma invece non era vero niente, e infatti hanno successivamente confermato che i
lavori di pulizia dureranno almeno fino a febbraio. Ci sono ora 840 persone
dedicate alla pulizia e sono state rimosse almeno 500 tonnellate di sabbia.
Tine Van Den Wall Bake, portavoce della Repsol, dice che non è colpa loro.
Liquida tutti con quattordici parole: “We did not cause this ecological
disaster and we cannot say who is responsible”. Ponzio Pilato in gonnella.
Il ministro dell’ambiente Ruben Ramirez dice però che tutto quello che la
Repsol ha fatto o sta facendo è improvvisato e che lui ha solo visto gente con
scope, secchi e buste di plastica, mentre invece ci vorrebbe attrezzatura e
personale molto più avanzati. Alcuni dei volontari sono pescatori ora senza
lavoro. Qualcuno è finito all’ospedale per le esalazioni dal greggio. Ramirez
dice che potrebbero esserci fino a 36 milioni di dollari di multa per la Repsol:
sono tanti soldi, ma sempre noccioline per i petrolieri.
Ma non è che il petrolio scomparirà magicamente dopo febbraio. Il
petrolio, i metalli pesanti che ci si annidano dentro, resteranno per anni
nascosti nelle profondità del mare, nelle pinne dei pesci, e nelle pance di chi
li vive.
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