Le due più importanti banche italiane, Intesa Sanpaolo e UniCredit, fra il 2020 e il 2021 hanno aumentato sensibilmente il loro sostegno all’industria del carbone, il combustibile fossile più inquinante e per questo responsabile in modo massiccio dell’attuale crisi climatica. In particolare, l’istituto torinese ha quadruplicato i suoi finanziamenti tra il 2020 e il 2021, passando da 449 milioni a 2,1 miliardi di euro, mentre quello di piazza Gae Aulenti cresce da 1,36 a 1,71 miliardi di euro. Stesso trend per gli investimenti, soprattutto quelli della prima banca italiana: da 778 milioni a 1,35 miliardi di euro tra il 2020 e il 2021.
Lo rivela l’analisi finanziaria della Global Coal Exit List,
redatta dalla Ong tedesca Urgewald, dalla francese Reclaim Finance e da 350.org
Giappone insieme ad altre 25 realtà internazionali, tra cui ReCommon, e resa pubblica oggi (15 febbraio, ndr).
La crescita di Intesa Sanpaolo è stata
trainata soprattutto dalla sottoscrizione di bond (sestuplicata
tra 2020 e 2021), modalità di finanziamento tra le meno regolate in
circolazione, dal
momento che le società dell’industria fossile possono impiegare i proventi
legati ai bond per scopi generici, il più delle volte il proprio core
business. Tra i finanziamenti, spiccano i 120 milioni di euro alla
sudafricana Sasol e, soprattutto, i 200 milioni alla tedesca RWE, società più
inquinante d’Europa.
I
finanziamenti a Sasol, avvenuti tra marzo e maggio del 2021, si configurano
inoltre come una violazione della precedente policy sul
carbone (maggio 2020), concessi poco prima dell’entrata in vigore di quella
attuale (luglio 2021). Gli impegni presi nel 2020, infatti, escludevano la
possibilità di finanziare società intenzionate a espandere il proprio business
attraverso la costruzione di nuove miniere, proprio come sta facendo Sasol.
Anche
UniCredit ha intensi rapporti commerciali con Sasol (136 milioni di euro) e RWE
(226 milioni di euro). Il gruppo non sembra dunque intenzionato ad
abbandonare definitivamente il carbone, come confermato dall’analisi dei
dati finanziari e dalla nuova policy, adottata pochi giorni fa,
con cui UniCredit ha rivisto al ribasso i propri impegni di disinvestimento nei
confronti del settore.
«I dati del
2020 delle due principali banche italiane sembravano indicare un trend al
ribasso rispetto all’esposizione finanziaria al carbone. Quelli aggiornati sono
uno schiaffo a chiunque si stia impegnando per contrastare la crisi climatica»,
commenta Simone Ogno di ReCommon. «I ridotti prestiti al carbone da parte di
Intesa Sanpaolo nel 2020 non erano quindi dettati dall’azione climatica, bensì la
fotografia di un comparto fermatosi all’inizio della pandemia. Come fa la prima
banca italiana a definirsi “leader della sostenibilità” se nel 2022 stiamo
ancora a parlare della sua crescente esposizione al più inquinante dei
combustibili fossili e se non ha ancora indicato una data per interrompere il
suo supporto all’energia prodotta dal carbone?», aggiunge Ogno.
La Global
Coal Exit List ha preso in esame 1.032 società del settore carbonifero e i
rispettivi sostenitori finanziari: banche, fondi di investimento, asset
manager. In base ai dati raccolti nella ricerca, risulta che nel 2021
le istituzioni finanziarie abbiano investito oltre 1.200 miliardi di dollari
nell’industria del carbone. Un aumento molto preoccupante rispetto al
2020, quando i soldi investiti superavano di poco 1000 miliardi di dollari.
Le banche di
soli 6 paesi – Cina, Stati Uniti, Giappone, India, Regno Unito e Canada – sono
state responsabili dell’86% dei finanziamenti complessivi per l’industria del
carbone.
Un totale di
376 banche commerciali hanno fornito 363 miliardi di dollari sotto forma di
prestiti all’industria del carbone. Solo 12 banche contano però per il
48% del totale dei prestiti alle società presenti nel Global Coal Exit
List. Guidano questa poco onorevole classifica le tre banche
giapponesi Mizuho Financial, Mitsubishi UFJ Financial e SMBC Group, seguite da
Barclays (Regno Unito) e Citigroup (Stati Uniti). Ironicamente, dieci di queste
fanno parte della Net-Zero Banking Alliance, in cui rientrano anche
Intesa Sanpaolo e UniCredit da ottobre 2021.
Nello stesso
periodo, i tre istituti più esposti in termini di sottoscrizione di bond sono
la Industrial Commercial Bank of China, la China International Trust and
Investment Corporation e la Shanghai Pudong Development Bank. L’unica banca non
cinese tra i primi 12 sottoscrittori per l’industria del carbone è la
statunitense JPMorgan Chase.
«Le
organizzazioni della società civile, i regolatori finanziari e gli stessi
investitori devono smascherare le pratiche di greenwashing e mettere alle
strette gli istituti di credito più importanti del Pianeta, affinché smettano
di finanziarie il carbone. L’ipocrisia nascosta dietro vaghi impegni di
net-zero e sostenibilità è inaccettabile», ha affermato Daniela Finamore di
ReCommon.
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