Negli stessi giorni della COP 26, l’Organizzazione Metereologica Mondiale ha diffuso una serie impressionante di dati, che certo non sono stati tenuti presenti dagli Stati impegnati nella Conferenza di Glasgow. Nel rapporto annuale si sottolinea che nel 2020, nonostante il rallentamento economico dovuto alla pandemia, le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto livelli record.
Quella di anidride carbonica è stata superiore del 149% rispetto all’era preindustriale,
quella di metano del 262% e quella di biossido di azoto del 123%. Il 2021
dovrebbe aver chiuso con nuovi record. Secondo le stime, la temperatura media
globale supererà di 1,09 gradi quella del periodo 1850- 1900, nonostante un
leggero raffreddamento dovuto al fenomeno climatico periodico della Nina e
l’anno dovrebbe piazzarsi tra il quinto e il settimo posto nella classifica
degli anni più caldi. Inoltre sono stati registrati molti eventi estremi. Il 14
agosto, per la prima volta, ha piovuto sulla vetta più alta della Groenlandia,
a più di 3000 metri di quota. La parte ovest del Nord America è stata investita
da un’ondata di caldo anomalo (a Lytton, in Canada, le temperature hanno
raggiunto i 49,6 gradi). Piogge eccezionali hanno colpito la provincia cinese
dell’Henan, l’Europa occidentale, l’Amazzonia e l’Africa orientale, mentre in
Madagascar è in corso una grave siccità.
Nell’Artico, con i dati satellitari elaborati dall’Agenzia Spaziale Europea
si è costruita la mappa delle strutture stradali e ferroviarie e delle
costruzioni create dall’uomo e si è verificato un aumento del 15% negli ultimi
venti anni. L’espansione si è verificata soprattutto in Russia, Canada e Stati
Uniti, la maggior parte delle costruzioni è legata allo sfruttamento petrolifero,
del gas naturale e minerario. Alcune di queste aree saranno soggette a
instabilità a causa dello scioglimento del permafrost, in quanto si stima che
il 55% delle strutture è stato costruito in zone vulnerabili. Un caso di
cedimento di una costruzione si è già verificato alcuni mesi fa. Per quanto
riguarda i ghiacciai, è stato reso noto di recente che i ghiacciai della
Svizzera hanno perso l’1% del loro volume nel 2021, nonostate le
abbondanti nevicate e una estate relativamente fresca.
L’inquinamento da particolato fine (PM 2,5) ha causato 307mila decessi
prematuri nell’Unione Europea nel 2019, con una riduzione del 10% rispetto
all’anno precedente. A causa dello smog, le autorità di New Delhi, in India,
hanno ordinato la chiusura delle scuole per almeno una settimana, ma hanno però
respinto un invito della Corte Suprema a confinare l’intera popolazione della
capitale.
Una forte tempesta, con venti fino a 140 chilometri all’ora, ha colpito il
nord degli Stati Uniti, lasciando senza elettricità seicentomila abitazioni, in
particolare nel Massachusets e nel Rhodeisland. Le alluvioni causate
dalle forti piogge che hanno colpito la provincia della British Columbia,
nell’ovest del Canada, hanno paralizzato i trasporti e costretto migliaia di persone
a lasciare le loro case. Alluvioni hanno duramente colpito anche lo stato
dell’Uttar Pradesh, nel sud dell’India, causando almenno 30 vittime. Forti
allagamenti sono stati segnalati anche a Bangalore, capoluogo del vicino
stato del Karnataka.
La siccità ha invece colpito la città di Teheran, in Iran, a livelli più
gravi degli ultimi cinquanta anni. Tra il 23 settembre e il 26 ottobre le
precipitazioni sono crollate del 97% rispetto allo stesso periodo del 2020. Le
cinque dighe che alimentano la capitale sono piene per meno di un terzo della
capacità: 477 milioni di metri cubi su 2 miliardi. L’Ufficio delle Nazioni
Unite per gli Affari Umanitari ha lanciato l’allarme per il peggioramento della
siccità in Somalia: circa 2,3 milioni di persone che vivono in 57 dei 74
distretti del paese soffrono di gravi carenze di acqua e di cibo. C’è stata
anche una vittima.
La scorsa estate la regione russa della Carelia è stata colpita da violenti
incendi che hanno distrutto una parte consistente della taiga, o foresta
boreale, formata da boschi di conifere. La superficie distrutta è stata
superiore a quella totale degli incendi registrati nello stesso periodo in
Europa e in Nord America, ma alla Cop 26 si è parlato soltanto di lotta alla
deforestazione, evidentemente senza fare distinzioni tra le fonti delle
distruzioni. Secondo Greenpeace, il 90% degli incendi è legato alle attività
umane. La frequenza dei roghi è molto più alta che in passato e ormai il
fenomeno tende anche ad autoalimentarsi: le fiamme riducono l’umidità delle
foreste aumentando la probabilità di nuovi roghi.
Tutto questo potrebbe far scomparire la taiga nel giro di pochi anni: uno
scenario inquietante, perchè è uno dei principali depositi di carbonio del
mondo, insieme alla foresta pluviale tropicale. Il carbonio è conservato nella
vegetazione, ma anche nel materiale organico delle zone umide, tra cui torbiere
e paludi. E ripristinare una zona umida è molto più difficile che far
ricrescere una foresta.
La fonte qui utilizzata (Internazionale numeri 1434-1437) dedica un certo
spazio ad alcune soluzioni per i problemi climatici che sarebbero allo studio,
anche se mancano ancora le analisi dei loro costi e della loro fattibilità.
Alcuni ricercatori ipotizzano una nave autoalimentata per la raccolta della plastica.
Si dovrebbero raccogliere tonnellate di plastica e si dovrebbero
trasformare chimicamente in carburante, grazie a un processo ad alta
temperatura e pressione. L’energia ricavata dovrebbe rendere autonoma la nave
per potere quindi proseguire la raccolta di plastica; le stime vanno da 4,8 ai
12,7 milioni di tonnellate di plastica che vanno a finire in mare ogni anno.
Le tecnologie a emissioni negative potrebbero avere un ruolo nel contrasto
della crisi climatica. Alcune sono già conosciute e sperimentate, come quelle
in uso nei sottomarini e nelle navette spaziali. Secondo il New York
Times, il governo USA ha promesso di finanziare le ricerche in questo campo, in
modo da far scendere entro il 2030 il costo della cattura del carbonio dagli
attuali 2000 dollari a tonnellata fino a meno di cento dollari. Si potrebbero
quindi realizzare impianti industriali di grandi dimensioni per catturare e
trasformare il carbonio presente nell’atmosfera. L’ipotesi di depositarlo in
grandi spazi sotto terra è ancora molto costosa, anche se alcune imprese
petrolifere pensano di poter utilizzare gli spazi sotterranei che contenevano
il petrolio e i gas ora esauriti.
Vi potrebbero poi essere i rischi connessi con l’opposizione di comunità
locali, che potrebbero temere gli effetti di tutte queste operazioni sui
territori e le abitazioni circostanti. E’ poi da ricordare che l’iniziativa
volta a contrastare l’avanzata del deserto in tutto il Sahel sembra aver dato
dei primi buoni risultati. Il progetto della Grande Muraglia Verde è stato
lanciato nel 2007 con l’obiettivo di ricostiruire gli ecostemi su cento milioni
di ettari di terreno a sud del deserto del Sahara , dalla Mautitania fino
all’Eritrea, sviluppando foreste, zone umide, terreni agricoli e praterie.
Sembra che per ogni dollaro investito si sia ottenuto un ritorno di 1,3
dollari, con punte più alte in Nigeria e più basse in Burkina Faso. Tuttavia il
degrado ambientale e i conflitti stanno limitando la disponibilità delle terre
sulle quali intervenire. Inoltre, per finanziare tutti i progetti servirebbero
ancora almeno altri 44 miliardi di dollari, secondo Nature Sustainability.
Infine, La Repubblica del Congo ha presentato un progetto che prevede la
creazione di una foresta di quattrocento chilometri quadrati vicino alla
localita di NGO, nel dipartimento degli altopiani.
L’obiettivo è di assorbire più di 10mila tonnellate di carbonio, per
contribuire alla lotta per il cambiamento climatico. Non vi sono però
informazioni su chi dovrebbe finanziare un progetto di tale portata. Infine,
alcuni ricercatori hanno usato i dati da satellite per verificare i rapporti
tra spazi verdi e temperature in 293 città europee, in Scandinavia,
Inghilterra, Francia, Europa centrale e Alpi, Europa orientale, penisola
iberica, Europa mediterranea e Turchia. Tra i primi risultati, è emerso che gli
spazi verdi abbassano di più la temperatura quando sono ricchi di alberi,
mentre i prati potrebbero avere un leggero effetto riscaldante.
Ancora eventi estremi
Lo stato del British Columbia, in Canada, a metà del mese di novembre, è
stato colpito da una tempesta che ha rovesciato nel paese in poche ore
molta più acqua che in molti mesi precedenti. Gli sfollati sono stati più
di diciottomila, le autostrade sono state trasformate in torrenti in piena che
trasportavano auto e alberi abbattuti, fango e detriti di ogni genere e tutte
le strade che portavano al porto di Vancouver sono rimaste bloccate per molti
giorni.
I danni complessivi sono stati finora stimati in 790 milioni di dollari. Ma
la cosa più impressionante è il confronto con l’ultima estate, durante la quale
lo stesso territorio ha fatto registrare i 49,6° gradi centigradi e 600 morti
causati dal calore estremo. Evidentemente esistono ormai delle zone nelle quali
si avvicendano eventi estremi di natura diversa ma che derivano tutti dalla
crisi climatica globale.
Anche in Sicilia si sono verificati eventi di natura finora sconosciuta in
quei territori, di segno opposto ma evidentemente causati da fenomeni globali
sempre più frequenti. A fine agosto è stata registrata una temperatura molto
elevata, pari a 48,6 gradi centigradi, mentre in autunno si sono moltiplicate
le condizioni di maltempo, e l’isola è stata sferzata da nubifragi
culminati in un ciclone nel mese di novembre. Ma sono caduti più di 500
millimetri di pioggia su tutta la costa ionica a partire da ottobre,
mentre la concentrazione delle piogge nelle regioni Liguria e Piemonte,
ha determinato le piene storiche di fiumi come la Bormida e l’Orba.
L’Italia quindi sembra ormai stretta dalla presenza di ampie zone di
siccità per molti mesi dell’anno e poi dall’arrivo improvviso e distruttivo di
potenti nubifragi. Un recente rapporto di Legambiente elenca 133 eventi estremi
nel solo 2021; inoltre dal 2010 al primo novembre del 2021 nella penisola sono
stati 1118 gli eventi estremi registrati, quindi con un aumento di oltre il 17%
rispetto al rapporto precedente. Gli impatti più rilevanti hanno colpito 602
comuni. Più in particolare, negli ultimi dodici mesi si sono verificati 486
casi di allagamenti da piogge intense, 406 casi di stop alle
infrastrutture sempre a causa di piogge intense, 304 casi di danni a
seguito di trombe d’aria, 134 casi di esondazioni di fiumi, 48 casi di danni
provocati da prolungati periodi di siccità e temperature estreme, 41 casi di
frane, e 18 casi di danni al patrimonio storico, con 9 vittime (261 dal 2010).
Il rapporto contiene molti altri dati e segnala la mancanza in Italia di un
Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, già adottati invece in
altri 24 paesi europei.
Anche nella Siberia orientale, in particolare nella Jacuzia russa, uno dei
luoghi abitati più freddi, che in passato registrava anche 67 gradi sotto zero,
il termometro ha raggiunto i 37,8 gradi, la temperatura più calda mai
registrata entro il Circolo Polare Artico. Gli abitanti risentono
del mutamento, pesci e altri animali hanno modificato le loro abitudini, il
permafrost si scioglie ogni estate. Infine, non possiamo mancare di citare un
articolo su Singapore (pubblicato da Internazionale n. 1435) dal titolo
emblematico “Freddi Tropici”, dove si descrive con molti dettagli cosa accade
in una grande città che aveva un clima caldo umido e che ora lo sente diventare
più caldo di un quarto di grado ogni decennio (cioè il doppio della media
gobale) a causa di un fenomeno tipico delle città più grandi e ricche, la
cosiddetta “isola di calore”, che le rende molto più calde dei territori vicini
e che di notte, a causa dell’irradiazione proveniente dagli edifici, può
arrivare anche a sette gradi in più rispetto alle aree verdi della città
stessa. Ne consegue un uso molto diffuso di condizionatori d’aria e quindi un
consumo elevatissimo di energia.
Meccanismi economici di danno ambientale
L’Extra Terrestre del 4 novembre presenta una analisi piuttosto
completa dei danni derivanti dal metano, un gas naturale che
produce circa la metà del riscaldamento globale e che oltre cento paesi,
durante la COP 26, hanno promesso di ridurre del 30% entro i prossimi
dieci anni, anche se il gruppo non comprende paesi grandi produttori come la
Cina, la Russia e l’India e il testo dell’accordo promosso da UE e Stati
Uniti non fornisce alcuna indicazione sulle modalità da seguire per conseguire
tale obiettivo e sui relativi costi.
L’articolo sottolinea subito che il metano non è facile da rilevare né da
misurare, che è responsabile di circa la metà del riscaldamento globale finora
preso in considerazione a livello internazionale e che circa la metà del metano
di origine antropica deriva dal bestiame degli allevamenti e dalla coltivazione
di riso, un quarto dai rifiuti e per il 19% dal settore petrolifero.
Però quest’ultimo dato è sicuramente molto sottovalutato, poiché le perdite
di metano dai metanodotti e dagli impianti di produzione non vengono rilevate o
si rivelano sempre molto maggiori di quanto ipotizzato. Ad esempio, una ricerca
effettuata di recente ha evidenziato perdite di metano nei pressi di
serbatoi di stoccaggio, compressori di gas, valvole, pozzi, terminali per il
gas naturale liquefatto, rigassificatori, ecc. Inoltre sono in aumento le emissioni
di metano provenienti da pozzi petroliferi esausti, permafrost in fase di
scioglimento, ecc.
E questo aspetto è particolarmente importante per l’Italia, il paese più
metanizzato d’Europa e dove gran parte degli impianti sono nella Pianura
Padana. Il metano è sempre un gas fossile che ha un effetto potenziale sul
riscaldamento globale più di 80 volte superiore a quello dell’anidride
carbonica in un arco temporale di venti anni (i due gas serra hanno periodi
diversi di dissoluzione nell’atmosfera e di salita verso l’alto). Sono
invece ancora alla fase di studio gli interventi diretti a ridurre gli effetti
dannosi di questo gas, ad esempio un sistema obbligatorio di rilevazione
e riparazione delle fuoriuscite di metano dagli impianti, compresi quelli per
biometano e biogas; divieto di “venting”, cioè del rilascio diretto in
atmosfera del gas metano durante le estrazioni di greggio, e di “flaring”, cioè
della combustione del gas in eccesso rilasciato dalle torri petrolifere,
invece del recupero del gas a scopi energetici.
Inoltre sono da individuare e sigillare i pozzi petroliferi e i siti
minerari fuori produzione che continuano ad emettere metano. Servirà
anche una revisione delle direttive sulle emissioni dell’industria e delle
energie rinnovabili, oltre che sostenere la produzione di biogas da fonti
sostenibili.
L’elenco è lungo, alcune misure dovrebbero essere eseguite dalle società
petrolifere, quanto tempo ci vorrà per approvarle e farle diventare operative?
L’intero comparto rischia di diventare un fattore molto negativo nelle
politiche così urgenti di riduzione delle emissioni climalteranti.
Sono iniziati i tentativi di sfruttamento sistematico dei giacimenti
di litio, la materia prima essenziale per le batterie richieste
dalle auto elettriche, e reperibile in un numero limitato di paesi. La
multinazionale mineraria anglo-australiana Rio Tinto ha annunciato di voler
investire due miliardi di euro in Serbia per lo sfruttamento della miniera di
Loznica. Secondo la multinazionale potranno essere estratti ogni anno i
quantitativi necessari per un milione di auto e ciò permetterebbe all’impresa
di imporsi sul mercato europeo. I cantieri dovrebbero essere aperti all’inizio
di quest’anno ma si sta sviluppando una forte opposizione da parte degli
abitanti della zona e una qualche marcia indietro delle concessioni del
governo.
Ma la multinazionale sembra abbia già acquistato l’80% dei terreni
necessari per le attività minerarie.
La plastica comincia a preoccupare anche i governi, poichè
pure la pandemia sta incrementando in modo massiccio l’uso di prodotti in
plastica, dalle tute protettive alle mascherine, che in gran parte non vengono
smaltiti correttamente. Secondo uno studio condotto in Cina dall’università di
Nanchino e negli Usa dall’università della California, dall’inizio della
pandemia più di otto milioni di tonnellate di rifiuti in plastica sono state
riversate nell’ambiente e in misura consistente finiscono anche negli oceani.
Anche i consumi basati su ordini on line hanno fatto aumentare del 4,7% i rifiuti
in plastica.
Certo si comincia a suggerire di introdurre un sistema di depositi
cauzionali per incoraggiare la restituzione delle bottiglie vuote ed è in
circolazione un progetto mirato a una raccolta differenziata degli oggetti in
polietilene (con marchio PE) che possono essere riciclati, però siamo ancora
molto lontani da una soluzione del problema.
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