Pubblichiamo l’intervento di Fernando Codonesu, presidente del comitato di direzione della Scuola di cultura politica Francesco Cocco sulle ragioni del no alla proposta di inserire nucleare e gas nella tassonomia verde dell’Europa. Codonesu spiega come la sostenibilità, la transizione ecologica ed energetica si realizzino con un modello energetico costituito solo dalle rinnovabili, sia per l’Italia sia, e a maggior ragione, per la Sardegna che oggi è tenuta all’amo della canna del gas.
C’ è bisogno di una transizione ecologia ed energetica in una prospettiva
di sostenibilità per il pianeta, sostenibilità fisica innanzitutto, economica e
sociale, come condizione necessaria per la continuazione della specie homo
sapiens sulla terra.
E’ per questo motivo che dobbiamo essere sempre più convinti della
necessità di questa transizione ecologica ed energetica per la
sostenibilità di tutti i processi produttivi e di consumo sulla terra.
E’ a partire da questa considerazione che bisogna escludere dalla nuova
tassonomia energetica suggerita dalla Commissione europea il capitolo del
nucleare e quello del gas che sono e restano componenti del mondo fossile,
indipendentemente dalle nuove riclassificazioni.
Il nucleare di “nuova generazione” di cui si parla, infatti, continua ad
essere il nucleare da fissione di Chernobyl e Fukuschima Dai-ihi, quanto al gas
è sempre un combustibile fossile e come tale è inquinante, compromette
l’atmosfera ed è a termine.
Sui prezzi dell’energia e del gas
L’aumento vertiginoso del prezzo dell’energia elettrica e del gas dipende
dalla congiuntura geopolitica che stiamo attraversando, a sua volta amplificata
in parte strumentalmente dalla persistenza e diffusione in ogni parte del mondo
della pandemia da Covid-19 con le sue varianti, ma l’andamento di
questi prezzi non ha alcun rapporto né con l’energia nucleare (infatti la
importiamo dalla Francia e i prezzi dell’energia non diminuiscono) né con
l’aiuto delle navi gasiere statunitensi che hanno dato un minimo di respiro all’Europa
sulla vicenda dei prezzi energetici in questi ultimi due mesi.
Per quanto riguarda il nostro paese l’aumento così significativo del prezzo
dell’energia dipende anche dalle scelte fatte nei decenni precedenti che non
hanno visto un adeguato sviluppo delle fonti rinnovabili pur essendo nelle
condizioni di sviluppare un’industria del vento e del solare.
Ma non tutto è perduto, i giochi sono ancora aperti e vi può essere un
nuovo e più decisivo protagonismo da parte delle comunità locali, cittadini e imprese,
a tutte le latitudini dell’Italia.
Investire sulle rinnovabili in Italia
L’unica scelta saggia che può condurre in un orizzonte temporale di due-tre
decenni all’indipendenza energetica del nostro Paese, che dipende quasi
interamente dall’estero, così come per l’intera Europa, è quella di investire
massicciamente nello sviluppo delle rinnovabili.
Bioenergie, idroelettrico, vento e solare: sono queste le quattro filiere
da sviluppare convintamente a livello nazionale e regionale.
Se si analizzano i dati di produzione e di consumo, è immediatamente
quantificabile il ruolo rilevante delle importazioni dall’estero per soddisfare
la domanda.
I due miliardi all’anno stimati come necessari da dedicare al gas, secondo
il ministro Cingolani, andrebbero più utilmente dedicati alla realizzazione di
impianti da energia rinnovabile in grado di colmare il deficit italiano
con l’estero nei prossimi cinque anni.
Un modello energetico sostenibile
In Sardegna ci sono ancora le condizioni per realizzare un sistema
energetico sostenibile, costituito da impianti di produzione da fonte
totalmente rinnovabile che rendano sostenibili anche tutti i consumi a valle.
La regione Sardegna è nelle condizioni ideali per diventare una unica
comunità energetica regionale: ci sono le condizioni strutturali, normative e tecniche che
permettono di realizzarla.
Lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili e dei cittadini possono
costituire una valido percorso partecipativo della cittadinanza sarda per
arrivare in breve tempo ad un modello interamente basato sulle rinnovabili.
Queste realtà economiche, culturali e sociali, dal nostro punto di vista,
vanno prese come esempio e possono essere replicate su scala più ampia
fino ad arrivare ad un processo politico economico in grado di coinvolgere
tutti i Comuni della Sardegna: è questa la sfida che dovrebbe essere
raccolta coralmente da tutte le forze politiche sarde e dalla società civile.
Un progetto politico, culturale, economico, sociale e tecnologico di questa
portata richiede uno sguardo lungo, non di parte, soprattutto una
responsabilità politica bipartisan giacché in Sardegna quasi tutto ruota
intorno alla politica, se si vuole riempire di contenuti ogni discorso sulla
sostenibilità, sui programmi e progetti del PNRR e sulla necessità di
intervenire significativamente contro il caro energia.
Sardegna totalmente rinnovabile
L’andamento dei consumi energetici ci permette di osservare che in Sardegna
si è avuta una crescita lineare caratterizzata da un pendenza positiva costante
dal 1983 al 2000, ancora sostenuta fino a metà degli anni 2000, per poi
presentare una diminuzione continua fino al 2016.
Il picco complessivo dei consumi può essere riconosciuto intorno al 2010.
Il declino dei consumi industriali va di pari passo con la chiusura e
dismissione delle industrie dei poli industriali isolani un tempo di proprietà
della partecipazioni statali e poi in parte vendute ad alcune multinazionali.
Il gas che arriva con 50 anni di ritardo, sicuramente accettabile con
l’avvio dei poli industriali nel secolo scorso, risulta obsoleto come proposta
energetica e antistorico da un punto di vista politico, culturale e
sociale.
Per questi motivi bisogna cambiare rotta e dire no ad ogni ipotesi di
riproposizione di combustibili fossili per la produzione di energia
elettrica, per l’uso termico e per la mobilità.
Secondo uno studio commissionato dal WWF e realizzato dall’Università di
Padova e dal Politecnico di Milano, entro il 2050 la Sardegna può ambire a
diventare un’isola a energia totalmente rinnovabile, abbandonando il carbone e
creando dai 4mila ai 9mila posti di lavoro. Lo studio “Una valutazione
socio-economica dello scenario rinnovabili per la Sardegna” ipotizza lo
scenario di chiusura degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati
a carbone entro il 2025, e la decarbonizzazione dell’intero sistema energetico
al 2050, evitando nuovi investimenti in combustibili fossili.
Anche l’Enel si è proposta di decarbonizzare l’isola con un orizzonte della
potenziale neutralità climatica anticipato al 2030.
Rispetto ai bisogni energetici della Sardegna, la produzione da fonte
rinnovabile è già oggi al 40%, ben al di sopra degli obiettivi stabiliti
dall’Europa e dal piano nazionale.
L’analisi dei dati, degli impianti da fonte rinnovabile già presenti, le
loro potenzialità di sviluppo, una diversa programmazione delle produzioni e
dei consumi in uno scenario ecosistemico integrato, permettono di affermare che
l’obiettivo della neutralità climatica potrebbe essere raggiunto in un periodo
di 15-20 anni, pur di volerlo fare veramente.
Le risorse presenti nell’isola consentono peraltro di traguardare anche la
possibilità di generare ulteriore energia fino alla produzione attuale che
viene esportata, pur di programmare bene gli interventi e facendo in modo che
ci sia un effettivo protagonismo e condivisione da parte delle comunità locali,
delle imprese sarde e delle istituzioni pubbliche.
Le possibilità ci sono tutte, basta mettersi in cammino e provarci
coralmente.
È possibile leggere l’intervento completo nel seguente link:
Per la defossilizzazione dei processi produttivi e dei consumi nel pianeta
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