lunedì 30 giugno 2025

Un miliardo di spesa sanitaria sprecata: perché gli italiani non scelgono il generico - Giovanni Fattore

 

Gli italiani spendono un miliardo all’anno perché rinunciano ai farmaci generici. Ad un livello superficiale si potrebbe dire: fatti loro. Eppure questo “spreco” fa riflettere

 

Quando il brevetto di un farmaco scade lo stesso farmaco può essere prodotto e venduto come “generico”: è esattamente lo stesso principio attivo ma possono cambiare gli eccipienti e il colore o la forma delle capsule o delle pillole. Il prezzo dei farmaci generici è libero ma deve essere almeno il 20% inferiore a quello del farmaco originale. Il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa solo il prezzo del farmaco generico a prezzo più basso e l’eventuale differenza rispetto ad una scelta più costosa è a carico del cittadino. Il razionale di fondo di questa norma è semplice: attivare competizione di prezzo per i farmaci il cui brevetto è scaduto, visto che il periodo di monopolio dell’innovatore ha generato abbastanza profitti.

Il medico dovrebbe sempre prescrivere il nome generico, a meno di motivazioni cliniche specifiche (rare), e il farmacista dovrebbe avere disponibili le opzioni generiche. Come ricordato, se il paziente preferisce l’originale deve pagare la differenza, spesso nettamente superiore al 20%. Né i medici né i farmacisti hanno incentivi rilevanti a prescrivere i farmaci originali, eppure gli italiani spendono un miliardo all’anno perché rinunciano all’opzione generica.

Ad un livello superficiale si potrebbe dire: fatti loro. I cittadini hanno la possibilità di spendere meno per lo stesso prodotto e non lo fanno; in fondo è una questione privata. I consumatori si comportano così per tanti altri prodotti il cui valore d’uso è lo stesso ma il prezzo molto diverso. Ad un livello un po’ più profondo questo “spreco” ci deve invece fare riflettere. In Regno Unito la prescrizione dei farmaci generici è all’80%, da noi poco più del 20%. E il cittadino inglese ha mediamente un reddito più alto di quello italiano. Dietro questa ostilità domestica verso i generici c’è qualcosa di specifico della realtà italiana, a partire dalla mancata informazione dei pazienti, al probabile non pieno rispetto delle norme da parte di medici e farmacisti, alla mancanza di politiche di informazione da parte del SSN che chiariscano bene ai pazienti che i farmaci generici hanno gli stessi effetti di quelli originali.

A questo proposito, si pensi che spesso una sola azienda produce sia i farmaci originali che i generici, modificando semplicemente colori e nomi sulle confezioni. Ancora più assurdo è notare che i farmaci sono molto meno diffusi al sud che a nord; ancora, laddove ci sono meno risorse si spreca di più.

Il modesto utilizzo dei generici in Italia è probabilmente un sintomo di una scarsa cultura della salute e dei servizi sanitari. Probabilmente alcuni pazienti pensano che i farmaci originali siano meglio di quelli generici (se li avessimo chiamati equivalenti forse sarebbe stato meglio), nella logica del più si spende più si ha qualità. Ma la qualità dei farmaci non è assicurata dal mercato ma da precise regole sulla loro produzione, distribuzione e conservazione. La responsabilità è anche di farmacisti e medici: non vendono profumi ma prodotti per la salute. E’ quindi loro compito proteggere il paziente anche quando pagante, spiegandogli che effettivamente il generico è uguale all’originale ed è quindi irrazionale spendere di più per lo stesso farmaco. Tra l’altro, c’è anche un elemento paradossale: la spesa sanitaria privata è deducibile dalle imposte per il 19%, al di sopra di una franchigia di circa 129 Euro). In altre parole, circa un quinto della spesa inutile per il mancato utilizzo dei generici è pagata dallo Stato, in termini di mancate entrate. Sic!

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domenica 29 giugno 2025

Meta e il mega data center in Louisiana: così la “fame d’energia” dell’IA rischia di gonfiare le bollette dei cittadini Usa - Michelangelo Mecchia

 

 

Bollette più alte e nuove centrali a gas per soddisfare la fame d’energia di Meta, il colosso tech di Mark Zuckerberg. La multinazionale sta costruendo un gigantesco data center in Louisiana, nelle campagne di Holly Ridge (una vasta area rurale nel nord-est dello stato). Sono infrastrutture strategiche per Big Tech: i data center contengono migliaia di server che, a loro volta, effettuano miliardi di calcoli al secondo, lavorando senza sosta. È il “cervello” dell’intelligenza artificiale, che se ne serve per eseguire i compiti che gli vengono commissionati o, più banalmente, per fornirci le risposte richieste. Ma proprio perché i computer lavorano ininterrottamente in condizioni normali si surriscalderebbero; dunque, per evitare guasti tecnici, vanno raffreddati artificialmente (ad esempio, tramite aria condizionata industriale ad alta potenza). Bisogna poi alimentare la potenza di calcolo e sostenere i costi energetici relativi ai sistemi d’illuminazione o di sicurezza dell’infrastruttura. In definitiva, il fabbisogno complessivo di energia dei data center è già di per sé molto elevato.

Ma Zuckerberg vuole costruire un arcipelago informatico che si estenderà su 370.000 metri quadrati (a grandi linee, un’area coperta da cinquantadue campi di calcio regolamentari). E secondo le stime di una Ong locale, Alliance for Affordable Energy, avrà bisogno del doppio dell’energia di cui vive New Orleans, una città che conta quasi quattrocentomila abitanti. Per l’approvvigionamento energetico dell’infrastruttura Meta ha siglato un accordo con Entergy Louisiana, il principale fornitore di elettricità dello Stato. Secondo l’Alliance for Affordable Energy il data center – dunque, un solo edificio – consumerebbe il 25% dell’elettricità che attualmente Entergy eroga per case, scuole, fabbriche, ospedali e negozi lungo tutto il territorio della Louisiana. Questo significa che, per “sfamare” Meta, Entergy dovrebbe aumentare di un quarto la quantità d’energia che fornisce attualmente. Ma i costi potrebbero ricadere sulla popolazione dello Stato. E anche se il progetto è ancora ad uno stato embrionale già sono arrivati i primi rialzi in bolletta.

La partnership tra la multinazionale e Entergy, infatti, prevede la costruzione di tre nuove centrali a gas e una linea di trasmissione. Tuttavia, Meta si è impegnata a coprire i costi delle tre centrali solo per i primi 15 anni (il progetto è spalmato su 30 anni). Se a metà del percorso l’azienda dovesse disinvestire, abbandonare il sito o ridurre le attività Entergy Louisiana si dovrebbe far carico del resto dei costi. Attingendo fondi dai suoi clienti, i cittadini dello Stato. Inoltre l’accordo con Meta non è stato allargato alla linea di trasmissione; se n’è dovuta occupare Entergy, finanziandone la costruzione con un aumento di 1,66 $ in bolletta. La cifra di per sé non è consistente, ma va calata in un quadro più ampio segnato da rialzi continui (dal 2018, +90%). Tuttavia, può essere un’importante iniziativa per rilanciare un’area economicamente depressa: Meta promette 500 posti di lavoro con stipendi medi di 82.000 dollari. Ma i data center, lamentano alcune associazioni locali, sono strutture fortemente automatizzate, che richiedono poco personale stabile. Molti impieghi sono temporanei (limitati alla costruzione della struttura) o a scarsa qualificazione (sicurezza, pulizie). Eppure il governo statale, guidato da Jeffrey Martin Landry – un trumpiano di stretta osservanza – ha fatto di tutto affinché Meta investisse, riscrivendo leggi urbanistiche, abolendo l’obbligo di aste pubbliche per vendere terreni di proprietà dello Stato e modificando le regole relative agli incentivi per la banda larga – circoscrivendoli ai data center.

La vicenda apre uno squarcio sul grande tema dei costi energetici (e ambientali) di questa rivoluzione industriale. In Kentucky una compagnia elettrica sta progettando nuove centrali a gas per alimentare data center che, almeno per il momento, ancora non esistono. L’intelligenza artificiale è vorace d’energia. E all’aumentare dell’intelligenza – sulla scia dei progressi tecnologici in questo campo – cresce la sua “fame”. Compresi i costi per placarla. È il prezzo del progresso, sibilano gli esegeti della quarta rivoluzione industriale. Ma ne può derivare un problema, e anche molto serio, se, da ultimo, a pagarlo saranno l’ambiente e i cittadini comuni.

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sabato 28 giugno 2025

28 Giugno 2025 GIORNATA NAZIONALE BOICOTTA CARREFOUR! AGISCI!!!

 




Il 28 giugno è la giornata nazionale di boicottaggio contro Carrefour, unisciti a noi in un'azione social per far sentire la tua voce contro le complicità della multinazionale francese: le tue recensioni su Google sono uno strumento potente per mettere in luce il suo legame con Israele.

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Carrefour non solo è complice, ma beneficia della colonizzazione illegale della Palestina e del sistema di apartheid imposto da Israele, facendo accordi con società coinvolte. Da ottobre 2023 inoltre, le sue filiali israeliane forniscono tonnellate di cibo e materiali vari di uso quotidiano ai soldati israeliani che stanno attuando il genocidio a Gaza.

https://bdsitalia.org/index.php/campagna-carrefour

venerdì 27 giugno 2025

Deterioramento delle basi statistiche: le politiche pubbliche vacillano - Patricia Iori


Un’emergenza meno visibile ma altrettanto cruciale sta emergendo con forza: il deterioramento delle basi statistiche su cui si fondano le politiche pubbliche. Il mancato aggiornamento regolare dei dati demografici – spesso dovuto alla mancata realizzazione di censimenti o al loro ritardo – sta mettendo a rischio la capacità dei governi di rispondere in modo efficace alle esigenze delle proprie popolazioni. A sollevare l’allarme è un recente studio condotto dall’Università di Southampton e pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, che mette in luce una crisi della raccolta dei dati demografici a livello mondiale.

Conseguenze su larga scala: istruzione, sanità e gestione delle crisi

Le implicazioni di questo deficit informativo sono ampie e profondamente interconnesse. Senza dati affidabili sulla consistenza e la distribuzione della popolazione, i governi non sono in grado di pianificare adeguatamente servizi fondamentali come l’edilizia scolastica, la sanità pubblica, l’approvvigionamento di infrastrutture o la distribuzione delle risorse durante un’emergenza, come nel caso delle pandemie. La gestione delle epidemie, ad esempio, si basa su modelli predittivi che richiedono dati precisi sui gruppi di popolazione a rischio. Una sottostima o una stima errata può condurre a errori fatali nella distribuzione dei vaccini o nella predisposizione dei posti letto ospedalieri.

Il censimento: uno strumento antico ma ancora indispensabile

Il censimento nazionale rappresenta, da secoli, uno degli strumenti principali per conoscere la composizione di una nazione. Benché possa sembrare un’attività burocratica e routinaria, esso costituisce il fondamento delle decisioni politiche, economiche e sociali. La sua funzione non si limita a “contare” le persone: serve anche a comprendere come la popolazione si distribuisce sul territorio, quali fasce d’età prevalgono, quali sono i flussi migratori, i livelli di istruzione, l’accesso ai servizi. Si tratta, in altre parole, di un vero e proprio termometro della realtà sociale. Eppure, secondo lo studio britannico, un numero crescente di Paesi ha omesso o posticipato i propri censimenti.

 

I motivi del ritardo: pandemia, finanze pubbliche e sfiducia

L’arresto o il ritardo dei censimenti non è un fatto casuale, ma il risultato di fattori ben precisi. Innanzitutto, la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto dirompente sui calendari statistici, costringendo molti governi a rinviare le operazioni censuarie per motivi sanitari o logistici. In secondo luogo, il clima di austerità e i tagli ai bilanci pubblici hanno ridotto i fondi destinati alla raccolta dei dati demografici, considerati da alcuni governi meno urgenti rispetto ad altre voci di spesa. Infine, la crescente sfiducia verso le istituzioni – sia da parte dei cittadini che, talvolta, da parte delle stesse amministrazioni – ha indebolito la legittimità dei censimenti, rendendo più difficoltosa la loro realizzazione.

Una geografia della crisi: chi sta smettendo di contare?

Il fenomeno è particolarmente marcato nei Paesi a basso e medio reddito, dove le sfide infrastrutturali e la carenza di personale statistico si sommano alle difficoltà economiche. Ma anche alcune economie avanzate hanno mostrato segnali di debolezza. Secondo i dati riportati nello studio, la percentuale di Paesi che ha effettuato censimenti completi negli ultimi dieci anni è scesa in modo preoccupante, con impatti maggiori in regioni come l’Africa subsahariana, il Medio Oriente e alcune aree dell’America Latina. In questi contesti, la mancanza di dati aggiornati ha contribuito ad accentuare disuguaglianze e a rendere meno efficaci le politiche di sviluppo.

Censimenti digitali: una soluzione incompleta

In risposta alle difficoltà operative, alcuni Paesi hanno cercato di innovare i metodi di raccolta dati, adottando strumenti digitali e rilevazioni basate su fonti amministrative. Tuttavia, questi approcci – pur offrendo maggiore rapidità e minori costi – non sempre garantiscono l’accuratezza e la completezza del censimento tradizionale. In particolare, le popolazioni marginalizzate o prive di accesso ai servizi digitali rischiano di essere escluse, alimentando così il fenomeno della “popolazione invisibile”. Inoltre, la dipendenza da fonti non censuarie può introdurre bias e lacune che compromettono la qualità del dato.

L’effetto domino sulle politiche internazionali

Il problema non riguarda soltanto i governi nazionali, ma coinvolge anche le agenzie internazionali e le organizzazioni umanitarie che si affidano a dati demografici per pianificare le proprie azioni. Programmi di assistenza alimentare, iniziative educative o campagne vaccinali su scala globale si basano su statistiche fornite dai governi. Quando queste informazioni sono incomplete o inattendibili, anche le strategie internazionali rischiano di fallire o di essere meno efficaci. La sottostima della popolazione può portare, per esempio, a una distribuzione insufficiente di aiuti o a una valutazione errata delle necessità locali.

Rischi per la democrazia e la rappresentanza

Oltre agli effetti pratici, la crisi censuaria ha implicazioni politiche di rilievo. In molte democrazie, la rappresentanza parlamentare è determinata sulla base della popolazione registrata. Una stima imprecisa può falsare la distribuzione dei seggi, riducendo la voce politica di determinate comunità. Anche il disegno dei collegi elettorali si basa su dati demografici: quando questi mancano o sono obsoleti, il rischio di distorsioni aumenta. In sostanza, la qualità della democrazia può dipendere – più di quanto si immagini – da un censimento ben condotto.

Alla luce della gravità del fenomeno, gli autori dello studio chiedono un rilancio del censimento come strumento essenziale di governance. Servono investimenti mirati, sostegno tecnico e soprattutto una volontà politica chiara di mettere i dati al centro dell’azione pubblica. Alcuni Paesi, come il Kenya o il Bangladesh, stanno tentando di recuperare terreno attraverso programmi sostenuti dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale, ma il cammino è lungo.

Infine, non si tratta solo di una questione tecnica. Il rilancio dei censimenti richiede anche una battaglia culturale per riaffermare l’importanza della conoscenza collettiva, della trasparenza e dell’inclusività. La disponibilità di dati affidabili è una condizione imprescindibile per garantire diritti, ridurre le disuguaglianze e progettare un futuro equo.

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giovedì 26 giugno 2025

La fabbrica di batterie per auto elettriche che rischia di distruggere il popolo incontattato in Indonesia - Luisiana Gaita

 

La loro foresta ancestrale viene già distrutta dall’estrazione di nichel, ma nei prossimi giorni il governo indonesiano annuncerà la costruzione di una fabbrica di batterie per auto elettriche sull’isola di Halmahera, la maggiore dell’arcipelago delle Molucche. Ma questo, denuncia Survival International, significherà “una catastrofe per i circa cinquecento Hongana Manyawa”, il popolo incontattato che vive sull’isola. Il progetto porterà a realizzare il primo ecosistema integrato al mondo per la produzione di batterie per auto, perché l’intero processo – dall’estrazione alla raffinazione del nichel, fino alla realizzazione delle batterie – avverrà su Halmahera. Valore: 6-7 miliardi di dollari. Anche Catl, il più grande produttore al mondo di batterie per veicoli elettrici, dovrebbe diventare partner della joint venture che realizzerà la nuova fabbrica. Rifornisce, tra gli altri, Volkswagen, Tesla, StellantisFordBMW e Mercedes Benz. Ma tutto accade a poco più di un mese dall’inchiesta che Mediapart ha realizzato insieme al giornale indonesiano Narasi e al settimanale tedesco Der Freitag, denunciando che la direzione della miniera indonesiana di Weda Bay Nickel, di cui è co-proprietario il gruppo minerario francese Eramet, da anni nasconde incidenti gravi e contaminazioni dei corsi d’acqua.

La più grande miniera al mondo di nichel – Halmahera, infatti, ospita già la più grande miniera al mondo di nichel, che ha distrutto ampie aree di foresta sull’isola. Il sito in cui molto probabilmente verrà costruito la nuova fabbrica di batterie è a meno di 20 chilometri dal luogo in cui, nel 2023, due Hongana Manyawa vennero filmati mentre intimavano a un bulldozer di stare alla larga dal loro territorio. Quasi la metà di quell’area, infatti, si sovrappone già a concessioni minerarie, come raccontato da Survival International nel rapporto ‘Driver to the edge’. “Questo annuncio è una sentenza di morte per gli Hongana Manyawa incontattati. Le concessioni per l’estrazione di nichel si estendono già sul 40% del loro territorio” commenta la direttrice generale di Survival International, Caroline Pearce. Tesla ha affermato di stare studiando “la necessità di stabilire una zona interdetta alle attività minerarie (no-go zone) per proteggere i diritti umani e indigeni, in particolare quelli delle comunità incontattate” in Indonesia.

La denuncia – La compagnia che gestisce la miniera Weda Bay Nickel, invece, la francese Eramet, secondo le ultime rivelazioni sarebbe a conoscenza da oltre dieci anni dei gravi rischi che le sue attività comportano per i Hongana Manyawa. “Alcuni documenti trapelati dalla miniera – racconta Survival – rivelano che la compagnia francese è a conoscenza del fatto che le sue attività minerarie possono avere un impatto sull’esistenza degli Hongana Manyawa, ma liquida questa eventualità come ipotetica e irrilevante”. Il nuovo progetto porterà alla devastazione delle case e dei mezzi di sussistenza degli Hongana Manyawa, ma metterà a rischio “anche il loro cibo, il loro riparo, le loro medicine e la loro stessa identità. Ucciderà intere famiglie hongana manyawa – aggiunge Pearce – che vivono e si prendono cura di quell’isola e delle sue foreste da innumerevoli generazioni. Ma ora vengono distrutti nel nome di una presunta strategia sostenibile per combattere i cambiamenti climatici”.

Dove si fanno scelte diverse in nome del turismo – La notizia, tra l’altro, arriva a sole due settimane dalla decisione del presidente Prabowo Subianto di cancellare invece quattro concessioni per l’estrazione di nichel nelle vicine isole di Raja Ampat. La ragione? Il timore che l’attività mineraria possa danneggiare la fiorente industria turistica. “Il governo indonesiano ha dimostrato di essere pronto a fermare l’estrazione di nichel per salvare il turismo – spiega Pearce – ora deve farlo anche per fermare una scioccante violazione dei diritti umani. Se agirà immediatamente, stabilendo una zona interdetta alle attività minerarie nel territorio degli Hongana Manyawa, può impedire il loro sterminio”.

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mercoledì 25 giugno 2025

Una campagna di pressione alle banche armate

 

Davanti ad una sempre più preoccupante situazione internazionale, dove continua la devastante guerra in Ucraina, il genocidio della popolazione palestinese a Gaza, il massacro nascosto del Sudan e dell’Africa centrale, non possiamo chiudere gli occhi.

La campagna di pressione alle banche armate, promossa nel 2000 dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia, aveva lo scopo di favorire il controllo attivo dei cittadini sulle operazioni di finanziamento all’industria militare e al commercio di armi. Pubblichiamo la nota del Comitato sardo Campagna Banche Armate.

Le guerre, oltre ad essere un’inutile carneficina, portano all’instaurarsi di governi totalitari ed all’annullamento delle libertà democratiche, all’impoverimento della popolazione e solo all’arricchimento sfrenato delle industrie che sfornano armi, tank, missili, bombe, droni-killer e tutte le tecnologie atte ad usarli.

Il riarmo europeo rientra nella follia globale di una nuova corsa agli armamenti. Ma quale riarmo? I paesi europei non sono mai stati disarmati, anzi già da anni le loro spese militari, sommate insieme, risultavano seconde solo alla macchina da guerra del Pentagono. Si parla di incrementare una spesa già molto rilevante che, in un’epoca di cambiamenti climatici e catastrofi ambientali, meriterebbe ben altro utilizzo.

Solo una forte spinta verso il disarmo potrà evitare all’umanità di cacciarsi nel vicolo cieco di una nuova guerra mondiale. Le guerre sono alimentate dall’industria delle armi, che utilizza le banche per le proprie transazioni economico-finanziarie. Ma se per i cittadini è assai difficile raggiungere direttamente i fabbricanti di armi, possono però tentare di arrivare alle banche.

Da qui nasce l’idea di rilanciare la Campagna di pressione alle banche armate. Ogni persona ha a che fare con le banche, non fosse altro perché i pagamenti di pensioni, stipendi, compensi nel settore pubblico e, in parte, anche in quello privato, passano obbligatoriamente attraverso gli istituti di credito. E poiché ad una banca ci dobbiamo forzatamente affidare, vogliamo almeno che la banca sulla quale riceviamo lo stipendio o la pensione, col cui bancomat facciamo la spesa, non abbia fra i suoi clienti e non faccia operazioni con produttori o mercanti di armi.

Il Comitato Sardo Campagna Banche Armate, dopo un attento studio, coadiuvato anche dai massimi esperti in materia, ha avviato un’interlocuzione con tre banche, due rilevanti nell’ambito dell’isola, il Banco di Sardegna-BPER e Poste Italiane; la terza, Banca Valsabbina, nel bresciano, la banca cui si è affidata l’industria bellica RWM per le sue operazioni sul mercato.

Da Banca Valsabbina, nessuna risposta in quasi due mesi, nonostante un sollecito: il che la dice lunga sul suo reale interesse di interloquire con la società civile. Con Poste Italiane l’interlocuzione sta andando avanti, mentre con il Banco di Sardegna- BPER la comunicazione si è interrotta con il rifiuto della banca di chiarire gli aspetti del suo coinvolgimento con l’industria bellica.

Ci sembra arrivato il momento di dare spessore a questa mobilitazione, nata in Sardegna, ma che vuole essere d’esempio per altri territori. Vogliamo banche disarmate, che facciano a meno dei denari di aziende che forniscono ordigni bellici o apparecchi d’ intelligence militare, per diversi motivi.

Ci ripugna la guerra come ignobile ed inutile strage, compiuta e subita da persone che appartengono alla stessa specie biologica e che muoiono per gli interessi dei loro governanti.

Le condizioni economiche della popolazione vengono ulteriormente impoverite sottraendo risorse alla sanità, alla scuola, alla cultura, ai servizi sociali, per dare spazio alle armi. In caso di guerra conclamata, è la popolazione civile a subire le peggiori conseguenze dei bombardamenti e dovrà sfollare dalle città o finire sepolta sotto le macerie.

Le conseguenze sociali sono altrettanto orribili. Vengono erose le libertà fondamentali: la libertà di opinione, di associazione, la libertà di stampa e quella di circolazione vengono ogni giorno messe a dura prova. In uno stato di guerra, ogni dissenso viene criminalizzato, ammutolito, estirpato.

Dobbiamo provare a fermare la macchina della guerra, a partire dai soldi che le servono e dai servizi che le vengono erogati. Diventa fondamentale fare pressione sulle banche e ciascuna persona può farlo, completando e spedendo la lettera alla propria banca.

Stiamo compiendo un’azione nonviolenta di consumo critico e di risparmio responsabile, per contribuire ad un futuro di pace e di giustizia sociale.

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martedì 24 giugno 2025

Guerrafondai di ieri e di oggi - Francesco Casula

 

È incredibile come nella storia i guerrafondai, cinici e disumani, si rassomiglino e si piglino. Persino nelle espressioni lessicali. Anche a più di 2 mila anni di storia.

Succede infatti che lo stato terrorista di Israele con il suo gran capo, il satrapo, criminale di guerra Benjamin Netanyahu, nella notte del 12 giugno scorso, aggredisce l’Iran bruciando palazzi residenziali, distruggendo e devastando: ad iniziare dagli aeroporti. Da quello di Tabriz (distrutto) a quello, internazionale di Mehra colpito brutalmente.

Ma soprattutto uccidendo: ben 78 morti e 329 feriti. Tra cui 20 comandanti, 6 scienziati ma anche civili, donne e bambini.

E non è finita.

Bene: sapete come Israele ha chiamato questo mostruoso eccidio: blitz, raid, operazione militare.

Non aggressione e guerra, al di fuori e contro qualunque convenzione internazionale.

“Operazione militare”: questo lessico non vi ricorda qualcuno? Putin? Sì, proprio lui: che considera la guerra di aggressione all’Ucraina una “operazione speciale”.

Ma questo è ancora niente, rispetto alle valutazioni che si danno sull’Evento: per Trump si tratta di un’operazione “eccellente”. Ma capite? Non un mostruoso e sanguinario eccidio!

E il terrorista di Stato: “E’ apparso raggiante” dopo i bombardamenti, scrivono le cronache dei giornali. “Raggiante”!

Siamo alla disumanizzazione totale. Roba da criminali mentecatti. Ma a questo punto potrebbe qualcuno meravigliarsi se i terroristi di al-Qaeda considerassero l’operazione delle Torri gemelle dell’11 settembre del 2001 “eccellente” e altrettanto i terroristi di Hamas per l’operazione del 7 ottobre 2023? E gli uni e gli altri, come Netanyahu, fossero “raggianti”?

Facciamo un salto di 2 mila anni e più? Il principale storico romano Tito Livio usa un termine simile a quello del capo terrorista israeliano: dopo un immane eccidio della popolazione sarda, l’esercito romano, ritorna “felice” a Roma dopo aver ucciso in due guerre (12 mila Sardi nel 177 a. C. e 15 mila nel 176).

Cialtroni e ciarlatani guerrafondai che leggessero per avventura questa mia nota, mi risparmino inutili e becere lezioni sul “contesto” storico e scempiaggini simili. Gioire per una strage di uomini è abominevole: ieri come oggi come sempre. Punto!

Ma ecco il testo di Tito Livio (libro 23^ della sua della monumentale Storia di Roma “Ab urbe condita” in 142 libri) che ricorda l’Evento.

“Sotto il comando e gli auspici del console Tiberio Sempronio Gracco la legione e l’esercito del popolo romano sottomisero la Sardegna. In questa Provincia furono uccisi o catturati più di 80.000 nemici. Condotte le cose nel modo più felice per lo Stato romano, liberati gli amici, restaurate le rendite, egli riportò indietro l’esercito sano e salvo e ricco di bottino, per la seconda volta entrò a Roma trionfando. In ricordo di questi avvenimenti ha dedicato questa tavola a Giove, nel tempio della Dea matuta”.

Gli schiavi condotti a Roma furono così numerosi che turbarono il mercato degli stessi nell’intero mediterraneo, facendo crollare il prezzo, tanto da far dire allo stesso Livio Sardi venales: Sardi di poco valore e dunque acquistabili e da vendere, a basso prezzo.

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lunedì 23 giugno 2025

La professione infermieristica: quale ruolo rispetto alle problematiche climatiche e all’assistenza primaria - Mario Fiumene


L’evoluzione dei bisogni di salute, la crescente complessità dei percorsi assistenziali e la riorganizzazione dei servizi territoriali richiedono un ripensamento del contributo di tutte le professioni (mediche, sanitarie, infermieristiche, sociali e così via) nei processi di trasformazione del sistema sanitario.

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano rappresenta una complessa organizzazione Knowledge-Based, ovvero una realtà che si fonda sul valore della conoscenza e competenza professionale di chi vi lavora. Tra queste figure professionali, gli infermieri rappresentano circa il 40% di tutto il personale del SSN e svolgono un ruolo cruciale nel garantire l’efficacia, la continuità e la qualità delle cure. La dotazione strutturale di un sistema sanitario rappresenta uno dei principali indicatori per valutarne l’efficienza e la capacità di rispondere alle esigenze della popolazione.

Gli indicatori utilizzati per rappresentare queste dimensioni riguardano la disponibilità di risorse umane sulla base della domanda (popolazione da coprire e numero posti letto) e la composizione del personale. Un contesto globale in rapida evoluzione pone sfide per i sistemi sanitari e influisce sulla salute e sul benessere. Instabilità geopolitica, conflitti, cambiamenti climatici e sconvolgimenti ambientali stanno avendo un impatto su un numero crescente di paesi.

L’incertezza economica persiste insieme all’aumento del debito pubblico, all’inflazione e alla riduzione del margine di bilancio, tutti fattori che incidono sulla spesa del settore sociale. Le ripercussioni sulla salute umana si riflettono nel rallentamento dei progressi nella riduzione della mortalità materna, neonatale e infantile e nell’aumento delle malattie non trasmissibili (NCD), dei problemi di salute mentale, delle malattie trasmissibili, della resistenza antimicrobica e dei rischi infettivi ad alto rischio.

Mancano 5 anni all’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030. I progressi in materia di copertura sanitaria universale (UHC), sicurezza sanitaria e Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) relativi alla salute non possono essere realizzati senza un numero adeguato di operatori sanitari e assistenziali dotati delle competenze necessarie per soddisfare i bisogni di salute della popolazione. Mentre lo “stock” globale di operatori sanitari è aumentato costantemente nell’ultimo decennio, i progressi nel colmare la carenza di operatori sanitari sono rallentati, inducendo una revisione al rialzo della carenza globale prevista per il 2030 da 10 a 11 milioni, il 69% dei quali sarà a carico delle regioni africane e del Mediterraneo orientale dell’OMS.

Queste lacune nell’accesso agli operatori sanitari rappresentano una grave disuguaglianza che deve essere affrontata. Lo Stato dell’assistenza infermieristica nel mondo 2025 fornisce dati ed evidenze aggiornati e convalidati sulla forza lavoro infermieristica globale, come riportato attraverso un approccio standardizzato per i dati sulla forza lavoro sanitaria nazionale. La maggiore disponibilità di dati consente una maggiore precisione nella descrizione delle sfide relative alla formazione infermieristica, all’occupazione, all’erogazione dei servizi e alla leadership, nonché una pianificazione adeguata delle risposte politiche per affrontarle.

Ottimizzare la produzione nazionale di infermieri per soddisfare o superare la domanda del sistema sanitario è nell’agenda di molti Paesi. In particolare quelli africani e del Mediterraneo orientale, devono aumentare il numero di laureati in infermieristica per tenere il passo con la crescita demografica e l’espansione della domanda del mercato del lavoro. Molti paesi dovranno affrontare i colli di bottiglia che impediscono l’ammissione o l’iscrizione degli studenti (ad esempio, la disponibilità di facoltà infermieristiche e sedi di formazione clinica; limitazioni nelle infrastrutture e nelle attrezzature per la formazione), da noi in Italia si discute di come rendere attrattiva la Professione infermieristica. In altre realtà si pensa a come dare agli infermieri gli strumenti per contribuire all’agenda climatica attraverso la formazione, l’advocacy, la pratica consapevole del clima in ambito sanitario e la leadership.

Integrare i risultati di apprendimento sugli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute nei programmi di studio basati sulle competenze e negli studi interdisciplinari. I ruoli infermieristici nelle strutture sanitarie possono promuovere misure di sostenibilità e consapevolezza climatica nei loro luoghi di lavoro. Anche in Italia si dovrebbero ripensare i percorsi didattici e inserire nei programmi le tematiche di salute dell’ambiente e dei luoghi di vita. L’ambiente globale è sempre più caratterizzato da crisi e conflitti concomitanti, incertezza economica, accelerazione dei cambiamenti climatici e aumento delle disuguaglianze sociali.

Conflitti e emergenze prolungati si verificano in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche. La stagnazione e la regressione economica globale stanno esercitando pressioni sui bilanci degli aiuti allo sviluppo e limitando la spesa del settore sociale in senso più ampio. Gli impatti dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale sono più evidenti e colpiscono in modo sproporzionato le popolazioni vulnerabili. I cambiamenti demografici sono sempre più caratterizzati dall’invecchiamento della popolazione e dai bassi tassi di natalità in molti paesi, compreso il nostro, parallelamente a un costante aumento dell’urbanizzazione in tutto il mondo. Sebbene i progressi tecnologici offrano un potenziale significativo per migliorare l’accesso alle informazioni, il processo decisionale e la produttività, i benefici comportano il rischio di ampliare i divari di accesso, aggravare le disuguaglianze, la disinformazione e la disoccupazione.

Gli infermieri svolgono un ruolo cruciale nell’affrontare gli impatti sulla salute dei cambiamenti climatici attraverso l’istruzione, la sensibilizzazione e le pratiche sanitarie sostenibili. In quanto operatori sanitari che lavorano in prima linea nella fornitura dei servizi, educano i pazienti e le comunità sui rischi per la salute legati al clima, tra cui l’inquinamento atmosferico, il caldo estremo e le malattie trasmesse da vettori, promuovendo al contempo misure protettive come la preparazione e la risposta alle emergenze, strategie di idratazione e prevenzione delle infezioni.

I loro stretti legami con le comunità li rendono potenti sostenitori della giustizia sociale, affrontando l’onere sproporzionato dei cambiamenti climatici, come l’aumento della prevalenza di malattie respiratorie e cardiovascolari dovuto all’inquinamento atmosferico o malattie trasmesse da vettori dovute ai cambiamenti climatici. In molti Paesi oltre all’educazione dei pazienti, gli infermieri guidano iniziative per ridurre l’impronta di carbonio delle strutture sanitarie e assistenziali promuovendo il riciclaggio, riducendo il consumo energetico, implementando pratiche di approvvigionamento sostenibili e sostenendo la telemedicina. Questi sforzi contribuiscono a mitigare l’impatto ambientale della salute e dell’assistenza, garantendo al contempo la resilienza contro i cambiamenti climatici come eventi meteorologici estremi, incendi boschivi e alluvioni.

Tuttavia, gli infermieri stessi affrontano rischi per la salute derivanti dai cambiamenti climatici, tra cui l’esposizione a temperature estreme, la scarsa qualità dell’aria e il peso psicologico della risposta alle emergenze causate dal clima. Il supporto alla salute mentale per gli infermieri che affrontano stress, burnout e traumi è essenziale per mantenere il benessere e l’efficacia della forza lavoro. Nonostante il loro ruolo fondamentale, molti infermieri segnalano una formazione inadeguata sui problemi di salute legati al clima.

Uno studio globale ha rilevato che tra gli operatori sanitari intervistati, il 41% ha segnalato una mancanza di conoscenza come ostacolo alle iniziative sui cambiamenti climatici, il 22% ha citato un supporto tra pari limitato e il 31% riteneva che gli operatori sanitari avrebbero avuto scarso impatto, sottolineando l’urgente necessità di una migliore istruzione e sviluppo delle competenze. Pertanto, il rafforzamento dei programmi di studio infermieristici e l’espansione dei programmi di sviluppo professionale continuo prepareranno meglio gli infermieri ad affrontare le sfide climatiche nella loro pratica. Integrando un’assistenza consapevole del clima nella loro pratica, gli infermieri contribuiscono alla resilienza sanitaria globale e al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

La loro competenza sia nell’assistenza diretta ai pazienti che nella più ampia sostenibilità del sistema sanitario li rende centrali per promuovere una risposta incentrata sulla salute ai cambiamenti climatici che dia priorità alla prevenzione, all’adattamento e all’equità. Come già detto in precedenza è auspicio che anche in Italia i programmi di studio infermieristici siano rivisti in applicazione dell’art.7 del nuovo Codice Deontologico 2025: «l’infermiere promuove stili di vita ecosostenibili e rispettosi dell’ambiente, riconoscendo l’interazione tra la salute umana, quella animale e l’ambiente, per una salute integrale a livello globale».

Vediamo un altro aspetto: gli infermieri nell’assistenza sanitaria primaria. Gli infermieri sono fondamentali per l’assistenza sanitaria primaria, poiché forniscono servizi equi, convenienti e incentrati sulle persone, rafforzando al contempo le capacità del sistema sanitario. Basato su prove concrete e supportato da politiche globali, l’approccio all’assistenza sanitaria primaria rimane fondamentale per raggiungere la copertura sanitaria universale e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Gli infermieri sono fondamentali per coordinare, personalizzare, supervisionare e comunicare l’assistenza tra specialisti, assistenti e caregiver informali. In qualità di caregiver, promotori, supervisori, educatori e leader, gli infermieri sono essenziali per la sicurezza del paziente.

La loro competenza nella gestione del rischio e nell’assistenza basata sulle evidenze garantisce la sicurezza nell’erogazione dei servizi. In particolare, il 67% dei paesi segnala l’integrazione dei principi di sicurezza del paziente nella formazione infermieristica, supportando funzioni critiche come la somministrazione di farmaci e la prevenzione e il controllo delle infezioni (IPC). Nonostante le sfide come la carenza di personale, gli infermieri sostengono le misure di IPC come l’igiene delle mani e le tecniche asettiche, promuovendo al contempo la fiducia attraverso l’educazione del paziente. Investire nella capacità e nella leadership infermieristica è fondamentale per sostenere l’assistenza primaria e le funzioni essenziali della sanità pubblica come nucleo dei servizi sanitari integrati consentendo agli individui e alle comunità di gestire la propria salute.

Gli infermieri sono fondamentali nel promuovere questi pilastri e nel guidare l’agenda dell’assistenza sanitaria primaria. Gli infermieri di famiglia IFeC (legge 77/2020) dovranno essere in prima linea in questa visione. Al contrario di altre professioni sanitarie, l’infermiere di famiglia e comunità (e in generale l’infermiere) non è una figura tecnica perché il suo intervento non si esaurisce con la prestazione erogata a fronte di una bisogno, ma agisce in modo preventivo, proattivo e partecipativo rispetto al paziente e anche alla sua famiglia perché questi siano in grado di comprendere la loro situazione e di affrontarla secondo i parametri necessari all’assistenza e alla tutela della salute, ma anche da punto di vista sociale e di integrazione per una qualità di vita migliore, anche attraverso la tutela dell’ambiente.

Mario Fiumene Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche, già Coordinatore Area delle Cure Domiciliari Servizio delle Professioni Sanitarie Asl 3 e Asl 5, Regione Sardegna

https://www.manifestosardo.org/la-professione-infermieristica-quale-ruolo-rispetto-alle-problematiche-climatiche-e-allassistenza-primaria/

domenica 22 giugno 2025

Avviso dei giuristi alla cittadinanza italiana - Giuristi contro la guerra

 

I sottoscritti giuristi italiani, internazionalisti, privatisti e pubblicisti, in riferimento ad un eventuale ‘prestito’ di basi italiane agli Stati Uniti nel caso di un coinvolgimento americano nella guerra, osservano:

a) l’attacco israeliano all’Iran integra, con ogni probabilità, un uso della forza armata internazionalmente illecito, dal momento che quest’ultima è consentita solo dinanzi a un attacco armato, e non certo per prevenire la preparazione (fra l’altro, indimostrata) di bombe nucleari da parte di uno Stato;

b) un eventuale intervento statunitense in appoggio a Israele si configurerebbe, dunque, come una forma di complicità, anch’essa internazionalmente illecita, nell’azione militare israeliana;

c) ogni supporto fornito a un tale intervento si tradurrebbe altresì, da parte italiana, in una gravissima violazione dell’art. 11 della Costituzione, che, ripudiando la guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, vieta qualsiasi ricorso alla forza in contrasto col diritto internazionale, ivi compresa ogni forma di compartecipazione a simili azioni;

d) la suddetta violazione si verificherebbe anche se l’attacco israeliano fosse ritenuto, a differenza di quanto crediamo, un semplice episodio di una guerra più ampia, fra Israele e Iran, dal momento che l’art. 11 impedirebbe, anche in quest’eventualità, qualsiasi forma di coinvolgimento da parte italiana. Le azioni cui il Governo italiano si dichiarasse disponibile, in una fase delicatissima in cui un intervento degli Stati Uniti potrebbe generare una escalation nucleare senza precedenti, confermerebbero la sua insipienza giuridica e il suo spregio per la legalità internazionale e costituzionale, già resi evidenti dalla sua oggettiva complicità nei crimini di massa in corso sul Territorio palestinese occupato. 

In questo momento storico sarebbe al contrario indispensabile recuperare il rispetto dei principi che hanno dettato la nostra costituzione e le carte internazionali nate dalla sconfitta del nazifascismo, e formare a livello internazionale un fronte non allineato, lontano dagli estremismi di Washington e Bruxelles e del sionismo internazionale.

Pasquale De Sena, Nerina Boschiero, Ugo Mattei, Barbara Spinelli, Luigi Daniele,  Veronica Dini, Alberto Lucarelli, Lucilla Gatt,  Gianluca Vitale, Maria Rosaria Marella, Michele Carducci, Alessandra Quarta, Luca Nivarra, Marisa Meli,  Luigi Paccione, Alessandro Somma,  Fulvio Rossi Albertini, Fabio Marcelli, Claudio Giangiacomo, Luca Saltalamacchia, Carlo Iannello, Paolo Cappellini, Ugo Giannangeli, Fausto Gianelli, Domenico Gallo,  Arturo Salerni, Cesare Antetomaso, Geminello Preterossi, Michela Arricale, Nicola Giudice, Carlo Augusto Melis Costa.

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sabato 21 giugno 2025

Il ruolo antisistemico dei migranti - Raúl Zibechi

 

La guerra contro i migranti che dicono “basta!” è in realtà la guerra del capitalismo. La cosa più importante, dice Raúl Zibechi, è che i migranti hanno perso la paura. Da quando è cominciata la politica trumpista delle esplusioni, molti si sono chiusi in casa per paura di essere scoperti, arrestati ed espulsi. Ora scendono in piazza. “Qualcosa è cambiato, e questo cambiamento ci riempie di speranza nel momento più buio del dominio capitalista. Per coloro che auspicano la caduta dell’imperialismo e del capitalismo, questo è un momento importante. Non perché crediamo che la sua caduta avverrà da un giorno all’altro… Ciò che ci incoraggia è constatare che le rivolte non sono state messe a tacere… e, soprattutto, che le lotte più diverse si stanno collegando…”

 

La caccia ai migranti da parte del governo statunitense, che li insegue persino per le strade, entra nelle loro case e ne abusa, è un’ulteriore prova che le democrazie hanno cessato di esistere, persino nel Nord del mondo, dove sono nate. La vera novità sono le risposte date sia dai migranti stessi che da molti figli di migranti nati negli Stati Uniti e senza problemi legali.

È possibile che i migranti stiano diventando come i cristiani dell’antica Roma. Furono perseguitati, ma ebbero un ruolo di primo piano nella trasformazione e anche nella caduta dell’impero, rifiutandosi di partecipare ai riti ufficiali. Oggi non è più lo stesso, ma potrebbe essere un sintomo della crescente decomposizione della “nazione essenziale”.

Chiamiamo le cose con il loro nome: questa è una guerra del capitalismo. Contro i migranti, contro le persone di colore, contro i popoli indigeni e neri, contro chi è diverso. Sebbene sia condotta in nome della democrazia, è totalitarismo. Il filosofo Giorgio Agamben ha definito il totalitarismo moderno come

“l’instaurazione, mediante lo stato di eccezione, di una guerra civile legale, che permette l’eliminazione fisica non solo degli avversari politici, ma di intere categorie di cittadini che per qualche ragione non risultano integrabili nel sistema politico” (Lo stato d’eccezione, Bollati).

Certo, questa non è una guerra contro tutti i migranti (non è mai “contro tutti”), ma contro quella parte di giovani che dice “basta!”, che non si arrende, che si ribella e resiste. Ciò che è notevole è che siano sempre più numerosi e che abbiano una consapevolezza più chiara che la loro situazione non è dovuta a un governo o a un governatore, ma è il risultato di un sistema globale chiamato capitalismo che li attacca in California, in Messico, in Europa, a Wall Street o ovunque si trovino.

Le proteste in corso riecheggiano quelle di migliaia di giovani messe in scena nel 2024 a sostegno del popolo palestinese, una solidarietà che continua e tende a crescere in questo periodo. I protagonisti sono le stesse giovani generazioni che non hanno futuro nel sistema. Ma sono anche legate alla lunga storia di lotte nello stato della California, sia tra i migranti che tra la popolazione nera, scoppiate quando una giuria assolse gli agenti di polizia che picchiarono Rodney King nel 1991, causando la morte di oltre cinquanta persone.

Ora migranti irregolari, figli di migranti legali e molti bianchi si uniscono, esprimendo la rabbia accumulata per decenni di politiche neoliberiste che avvantaggiano solo i ricchi. Le proteste in corso espongono la dura realtà vissuta da milioni di persone negli Stati Uniti.

In primo luogo, rivelano il vero volto del sistema, che ha mobilitato 2.000 soldati della Guardia Nazionale e poi 700 Marines per contenere le proteste, sebbene il governatore dica che ora i membri della Guardia Nazionale siano 4.000. La brutalità degli ufficiali in uniforme pesantemente armati, l’uso abbondante di gas lacrimogeni e granate stordenti, dimostrano in cosa consiste la tanto decantata democrazia della superpotenza. La militarizzazione della risposta per contenere la popolazione dimostra che ci sono sempre meno differenze tra il Nord e il Sud del mondo.

In secondo luogo, le proteste hanno aperto una frattura istituzionale, poiché il governatore della California e il sindaco di Los Angeles hanno respinto la militarizzazione. È normale che le proteste dal basso aprano crepe nelle istituzioni, soprattutto in uno stato come la California, che si esprime chiaramente contro Trump. Vedremo quanto profonda si spingerà la frattura istituzionale, anche se possiamo aspettarci pocoLa cosa più importante, tuttavia, è che i migranti hanno perso la paura. Da quando è iniziata la politica trumpista delle espulsioni, molti si sono chiusi in casa per paura di essere scoperti, arrestati ed espulsi. Ora non solo scendono in piazza, ma non hanno paura di affrontare le forze armate del Paese più potente del mondo.

Qualcosa è cambiato, e questo cambiamento ci riempie di speranza nel momento più buio del dominio capitalista. Per coloro che auspicano la caduta dell’imperialismo e del capitalismo, questo è un momento importante. Non perché crediamo che la sua caduta avverrà da un giorno all’altro. Sappiamo di essere testimoni di un processo storico di aspre lotte tra chi sta in alto e chi sta in basso, che durerà decenni, sarà prolungato e tortuoso.

Ciò che ci incoraggia è constatare che le rivolte non sono state messe a tacere, che ciò che sta accadendo a Gaza non rimarrà impunito e, soprattutto, che le lotte più diverse si stanno collegando. Infine, per coloro che credono che la caduta di un impero avvenga sia dall’interno che dall’esterno, le mobilitazioni in California e in altri stati ci mostrano che ci troviamo di fronte a una possibilità senza precedenti: la continuazione delle lotte negli Stati Uniti, visto che fino ad ora ci sono state grandi fiammate che si sono spente in poche settimane. A quanto pare, ci troviamo di fronte a una nuova realtà.


Pubblicato anche su La Jornada e qui con consenso dell’autore

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venerdì 20 giugno 2025

Il sequestro illegale, il concorso truccato, il bando su misura: storie (vere) di abusi che con Nordio non sono più reato. E i processi vanno in fumo - Paolo Frosina


Uno studio della Statale di Milano passa in rassegna le vicende oggetto dei ricorsi alla Consulta, che ha legittimato l'abrogazione dell'abuso d'ufficio. E sottolinea "i gravi vuoti di tutela" lasciati dalla riforma del ministro

La pm che sequestra illegalmente le quote di una società per favorire un imprenditore amico. Il dirigente della Asl che nega il permesso di aprire nuovi ambulatori per evitare concorrenza a quello di suo figlio. I “baroni” universitari che aggiustano i bandi per assumere i loro protetti. Il commissario del concorso in magistratura che cerca di truccare la prova per aiutare un candidato amico. Sono tutti esempi (veri) di soggetti indagati e imputati per abuso d’ufficio e ora scagionati grazie alla legge Nordio, che ha abrogato il reato a partire dall’agosto 2024. A raccoglierli è stata un’assegnista di ricerca dell’Università Statale di Milano, Cecilia Pagella: in un articolo sulla rivista online Sistema penale – diretta dal professor Gian Luigi Gatta – la studiosa passa in rassegna i casi concreti sollevati alla Corte costituzionale dai 14 giudici (inclusa la Cassazione) che hanno sostenuto l’illegittimità della cancellazione della fattispecie per violazione della Convenzione Onu di Merida contro la corruzione. Una tesi rigettata dalla Consulta lo scorso 8 maggio, con il risultato che i procedimenti sospesi in attesa del verdetto – nonostante i (presunti) gravi soprusi commessi – finiranno o sono già finiti in fumo “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Le motivazioni della sentenza saranno depositate a breve, ma lo studio della Statale prende spunto dalle vicende oggetto dei ricorsi per “sottolineare ancora una volta i gravi vuoti di tutela” aperti dalla riforma del ministro della Giustizia, che lascia “sfornite di tutela penale” condotte dal “peso politico-criminale non trascurabile“.

Il colpo di spugna più clamoroso riguarda i casi in cui l’abuso d’ufficio consiste(va) in una prevaricazione. In un piccolo comune in provincia di Avellino, ad esempio, un capogruppo di opposizione era stato dichiarato decaduto dal segretario comunale che lui stesso aveva denunciato per abusi edilizi: un atto secondo l’accusa illegittimo, perché basato su dimissioni in realtà mai rassegnate dal consigliere, e comunque emesso in violazione dell’obbligo di astensione. In primo e in secondo grado il segretario era stato condannato per abuso d’ufficio: dopo la cancellazione del reato, però, aveva impugnato la sentenza chiedendo l’assoluzione piena. E lo scorso febbraio la Sesta Sezione della Suprema Corte ha deciso di portare la questione alla Consulta, ultima a farlo in ordine di tempo. Il primo, invece, era stato a settembre il Tribunale di Firenze nel processo sul cosiddetto “caso Duchini”: Antonella Duchini, ex procuratrice aggiunta di Perugia, era accusata di aver sequestrato illegittimamente le quote di una società, in modo da consentire di comprarle “a un altro imprenditore con cui intratteneva una duratura relazione personale“. Infine c’è il caso sollevato dal gup di Locri, il cui protagonista è “il direttore dell’area dei servizi veterinari di un’azienda sanitaria, il quale serialmente negava ai richiedenti l’autorizzazione all’apertura o alla prosecuzione dell’attività di nuovi ambulatori al fine di assicurare che lo studio di cui era titolare il figlio non ne subisse la concorrenza”.

 

Secondo la ricercatrice, le condotte di questo tipo sono ormai “penalmente irrilevanti“: l’unico reato astrattamente ipotizzabile, infatti, sarebbe la violenza privata, che però non è quasi mai applicabile in quanto presuppone l’uso di “violenza o minaccia” per “costringere” qualcuno a fare o subire qualcosa. Diversi invece i casi di abusi a vantaggio del privato, il cui esempio classico sono i concorsi truccati: l’articolo cita i processi sulle “concorsopoli” universitarie di Catania e Firenze, in cui rettori e professori sono accusati di aver cucito bandi su misura per i candidati prescelti. Ma tra le vicende rimesse alla Consulta ce n’era una particolarmente clamorosa, a giudizio di fronte al Tribunale di Roma: un tentativo di truccare il concorso per l’accesso in magistratura da parte di un membro della commissione. Secondo i pm l’imputato, professore universitario, non aveva dichiarato “un consolidato rapporto personale con uno dei candidati, che era anche suo dottorando e col quale aveva instaurato una relazione amicale che andava oltre i normali rapporti professionali”. E aveva concordato con lui una serie di “segni di riconoscimento” del suo tema, salvati sul proprio pc. La furbata non era andata in porto solo perché era stata scoperta da un altro commissario, che l’aveva prontamente denunciata.

Anche queste ultime condotte, sostiene l’articolo, rimangono “sostanzialmente scoperte dal punto di vista penalistico”: il reato di turbativa d’asta, infatti, è stato reso inservibile da un recente cambio di orientamento della Cassazione, che consente di applicarlo solo alle a gare per l’acquisto di beni e servizi e non alle procedure per la selezione di personale. Anche il nuovo reato di “peculato per distrazione“, introdotto dal governo contemporaneamente all’abolizione dell’abuso d’ufficio (per evitare procedure di infrazione da parte dell’Ue) “presenta margini talmente angusti da risultare sostanzialmente inutile”: il delitto infatti si configura solo quando i fondi pubblici sono destinati “a un uso diverso” da quello individuato dalla legge. E nel caso dei concorsi truccati questo requisito apparentemente non sussiste: le risorse, infatti, sono stanziate per assumere un tot (ad esempio) di ricercatori o magistrati, senza precisare che tipo di caratteristiche debbano avere. Insomma, conclude la studiosa, “c’è materiale in abbondanza per toccare con mano i vuoti di tutela che restano dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio. Vuoti che sta al legislatore, di oggi o di domani, colmare”.

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giovedì 19 giugno 2025

I Luoghi e gli Intraluoghi - Miguel Martinez

I Luoghi e gli Intraluoghi (1) - Miguel Martinez

In questi giorni, ho fatto un viaggio da Firenze a Timișoara in Romania e ritorno, partecipando a un progetto europeo sul tema dell’economia solidale e sociale. Che senza soldi, non si campa; ma senza solidarietà, si campa male.

I lettori di questo blog sono pochi ma variegati, per cui ricordo loro che, l’anno scorso, i paesi europei della Nato hanno preso dalle nostre tasche e messo in quelle delle multinazionali 454 miliardi di dollari in spese belliche (la Russia, nello stesso anno, ha speso 149 miliardi).

Quindi, comunque la pensiate sull’Unione Europea, un euro speso per mandare Miguel Martinez in Romania è un euro in meno buttato per mutilare o ammazzare qualcuno.

Ora, Firenze per me è un Luogo, più precisamente un luogo sotto un campanile.

Timișoara per me è un altro Luogo. O meglio, lo è il posto dove siamo andati a mangiare la sera, un podere chiamato Farmely.

Ci arriviamo attraverso una stradina sterrata, verso il tramonto.

Siamo in un paese in cui, alla caduta del comunismo, speculatori europei hanno comprato a prezzi da miseria immensi spazi agricoli, dove spruzzarci ogni tanto qualche pesticida per ricevere la manna dei fondi agricoli europei (l’Europa è anche questo).

Ma qualche isola sopravvive.

I poeti di tutte le lingue hanno inventato un sacco di parole straordinarie per descrivere cosa si prova in certi momenti; e i pubblicitari hanno subito scippato quelle parole per venderci merci, per cui non vi dico cosa ho sentito. Questo video rende comunque qualcosa. E’ tutto in lingua romena, infatti l’azienda è locale e non si rivolge al Mercato Globale.

Ad accoglierci, c’è la Contadina.

 

La Contadina, in maglietta, mentre noi patiamo il freddo in maglioni e giacche, corre di qua e di là, dando da mangiare agli animali, mentre ci racconta con lieve ironia che in una vita passata, era stata insegnante d’inglese. Poi ci indica un avvallamento, e ci dice che era stata una discarica dove si trovava di tutto, come dimostra questa vecchia foto:

 

Così si sono messi, lei, suo marito e sua figlia, a ripulire il tutto, e proprio dove c’era la discarica, è sgorgato un mic laculet, un piccolo lago. “It was our revenge!” ci spiega sorridendo la Contadina.

 

Cani e gatti, tanti; e con un’interazione che ci affascina tutti.

I gatti si annusano tra di loro e si rotolano giocosamente con gli enormi cani. E ovunque vada la Contadina, c’è sempre un gatto o due che la rincorre: hanno già mangiato, e quindi non è fame, è una forma di relazione antichissima che da gattaro, vorrei decifrare. Mi metto in ginocchio, e mi trovo un gatto su ciascun ginocchio che fa le fusa, e tre cani in fila per farsi coccolare.

 

Passiamo al pollaio, ci sono due galli enormi, con lo sguardo torvo da conquistare assiro, che ogni tanti becchettano qualche sottomessa femmina: due galline hanno mezza schiena spennata.

I polli vegetariani che si massacrano, i cani e gatti carnivori che si vogliono bene, non so esattamente che morale trarne, ma credo che sarebbe importante.

Posiamo per una foto, ma mancano i gatti, perché hanno deciso tutti insieme di saltare affettuosamente addosso al fotografo.

 

Interrompiamo, per vedere il tramonto:

 

La Contadina ci chiede,

Do you want to live here?“, e sorride.

Ogni elemento della cena è unico, come sapore, come tatto e come colore.

 

In quel momento, in quei sapori, nell’aria fresca della sera, colgo la natura demoniaca del Turismo…

Il due giugno, a Livorno, sbarcheranno a Livorno ben dieci gigantesche navi da crociera, che manderanno decine di migliaia di turisti in pullman a visitare Firenze. In giornata, lasciandosi dietro solo montagne di rifiuti.

 

Non sono diversi da me: sono persone che cercano un Luogo.

Ma così non solo non lo troveranno, ma distruggeranno ancora un altro Luogo, di tutti quelli che esistono al mondo.

Però proprio per questo, non c’è nulla di più importante che aiutare ogni Luogo che spunta al mondo, a vivere.

https://kelebeklerblog.com/2025/05/31/i-luoghi-e-gli-intraluoghi-1/

 

 

I Luoghi e gli Intraluoghi (2) - Miguel Martinez

Nell’ultimo post, ho parlato di un viaggio, di andata e ritorno, tra due Luoghi: il Gonfalone del Drago Verde di Firenze, e la Fattoria Farmerly vicino a Timișoara in Romania.

Tra i due Luoghi, c’è necessariamente un Intraluogo: lo spazio che ho dovuto attraversare per arrivare da un Luogo all’altro.

Questa volta ho vissuto in maniera molto forte il passaggio.

Ho preso:

§  un treno dalla stazione di Firenze a quella di Bologna;

§  la monorotaia dalla stazione di Bologna all’aeroporto;

§  un aereo da Bologna a Monaco;

§  e un aereo di Monaco a Timișoara;

§  e specularmente al ritorno.

L’immensa struttura della Stazione si cala nel cuore di Firenze sotto forma di fabbrica/caserma/fascio littorio cementizio, con la distruzione di non si quanti giardini e luoghi.

 

L’ha fatta il Duce per permettere a me di fare il mio viaggetto.

Certo, oltre a me, in qualche centinaio di milione di altre persone lo dobbiamo ringraziare, tra cui un ex-cancelliere tedesco, predecessore dell’attuale signor Merz, che in questa foto vediamo accanto al Duce:

 

Per farmi arrivare a Bologna, hanno sbucaltato oltre settanta chilometri di montagna

Decine di corsi d’acqua inquinati o prosciugati, discariche abusive,  tonnellate di rifiuti altamente inquinanti scaricati nell’ambiente. […] oltre 1 miliardo di euro di danni ambientali: via al processo civile, nel penale accuse cadute per prescrizione

Un anticlericale dell’Ottocento attribuì, pare falsamente, a Papa Gregorio XVI la frase, chemin de fer, chemin d’enfer: eppure, nella grande buca, siamo davvero negli inferi.

Per farmi arrivare dalla stazione all’aeroporto di Bologna, mi metto dentro una scatola che corre velocissima lungo cinque chilometri costati 130 milioni di euro, che fanno due euro a testa per ognuno di voi (grazie!). Poi arriva l’immensa, totale distesa di cemento dell’aeroporto di Monaco, infine la destinazione.

L’Intraluogo è uguale da un capo del pianeta all’altro, ed è fatto di ferro, cemento, cose che vanno in un solo verso, telecamere che sorvegliano e uomini muscolosi dotati di mitra.

L’Intraluogo si espande incessantemente, ovunque, divorando trasversalmente i Luoghi: Destra e Sinistra impazziscono sui pronomi da dare ai trans o sugli scantinati dove pregano i musulmani, ma sull’irreversibile consumo della biosfera, la pensano allo stesso modo. “Grand plans needn’t be politically divisive..”:

 

E’ un mondo archetipicamente maschile, che impone un Ordine e una Disciplina che avrebbe fatto invidia al comandante di una legione romana: solo che non c’è nessun Comandante, il Re non ha volto.

Dentro i rigidi canali, scorre informe Vita Umana.

(Le successive illustrazioni sono riprese da Steve Cutts, un artista che ha capito i nostri tempi meglio di tanti)...

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