Gli italiani
spendono un miliardo all’anno perché rinunciano ai farmaci generici. Ad un
livello superficiale si potrebbe dire: fatti loro. Eppure questo “spreco” fa
riflettere
Quando il brevetto di un farmaco scade lo stesso farmaco
può essere prodotto e venduto come “generico”: è esattamente
lo stesso principio attivo ma possono cambiare gli eccipienti e
il colore o la forma delle capsule o delle pillole. Il prezzo
dei farmaci generici è libero ma deve essere almeno il 20% inferiore a
quello del farmaco originale. Il Servizio Sanitario Nazionale rimborsa
solo il prezzo del farmaco generico a prezzo più basso e l’eventuale differenza
rispetto ad una scelta più costosa è a carico del cittadino. Il
razionale di fondo di questa norma è semplice: attivare competizione di prezzo
per i farmaci il cui brevetto è scaduto, visto che il periodo di monopolio
dell’innovatore ha generato abbastanza profitti.
Il medico dovrebbe sempre prescrivere il nome generico, a meno di
motivazioni cliniche specifiche (rare), e il farmacista dovrebbe avere disponibili
le opzioni generiche. Come ricordato, se il paziente preferisce l’originale deve
pagare la differenza, spesso nettamente superiore al 20%. Né i medici
né i farmacisti hanno incentivi rilevanti a prescrivere i farmaci originali,
eppure gli italiani spendono un miliardo all’anno perché rinunciano all’opzione
generica.
Ad un livello superficiale si potrebbe dire: fatti loro. I
cittadini hanno la possibilità di spendere meno per lo stesso prodotto e non lo
fanno; in fondo è una questione privata. I consumatori si comportano così per
tanti altri prodotti il cui valore d’uso è lo stesso ma il prezzo molto
diverso. Ad un livello un po’ più profondo questo “spreco” ci
deve invece fare riflettere. In Regno Unito la prescrizione dei farmaci
generici è all’80%, da noi poco più del 20%. E il cittadino
inglese ha mediamente un reddito più alto di quello italiano. Dietro questa
ostilità domestica verso i generici c’è qualcosa di specifico della realtà
italiana, a partire dalla mancata informazione dei pazienti, al probabile non
pieno rispetto delle norme da parte di medici e farmacisti, alla mancanza di
politiche di informazione da parte del SSN che chiariscano bene ai pazienti che
i farmaci generici hanno gli stessi effetti di quelli originali.
A questo proposito, si pensi che spesso una sola azienda produce sia i
farmaci originali che i generici, modificando semplicemente colori e nomi sulle
confezioni. Ancora più assurdo è notare che i farmaci sono molto meno diffusi
al sud che a nord; ancora, laddove ci sono meno risorse si spreca di
più.
Il modesto utilizzo dei generici in Italia è probabilmente un sintomo di una scarsa cultura della salute e dei servizi sanitari. Probabilmente alcuni pazienti pensano che i farmaci originali siano meglio di quelli generici (se li avessimo chiamati equivalenti forse sarebbe stato meglio), nella logica del più si spende più si ha qualità. Ma la qualità dei farmaci non è assicurata dal mercato ma da precise regole sulla loro produzione, distribuzione e conservazione. La responsabilità è anche di farmacisti e medici: non vendono profumi ma prodotti per la salute. E’ quindi loro compito proteggere il paziente anche quando pagante, spiegandogli che effettivamente il generico è uguale all’originale ed è quindi irrazionale spendere di più per lo stesso farmaco. Tra l’altro, c’è anche un elemento paradossale: la spesa sanitaria privata è deducibile dalle imposte per il 19%, al di sopra di una franchigia di circa 129 Euro). In altre parole, circa un quinto della spesa inutile per il mancato utilizzo dei generici è pagata dallo Stato, in termini di mancate entrate. Sic!
