Un’emergenza meno
visibile ma altrettanto cruciale sta emergendo con forza: il deterioramento
delle basi statistiche su cui si fondano le politiche pubbliche. Il mancato
aggiornamento regolare dei dati demografici – spesso dovuto alla mancata
realizzazione di censimenti o al loro ritardo – sta mettendo a rischio la
capacità dei governi di rispondere in modo efficace alle esigenze delle proprie
popolazioni. A sollevare l’allarme è un recente studio condotto
dall’Università di Southampton e pubblicato sulla prestigiosa
rivista Science, che mette in luce una crisi della raccolta dei
dati demografici a livello mondiale.
Conseguenze su larga scala: istruzione,
sanità e gestione delle crisi
Le implicazioni di questo deficit
informativo sono ampie e profondamente interconnesse. Senza dati affidabili
sulla consistenza e la distribuzione della popolazione, i governi non sono in
grado di pianificare adeguatamente servizi fondamentali come l’edilizia
scolastica, la sanità pubblica, l’approvvigionamento di infrastrutture o la
distribuzione delle risorse durante un’emergenza, come nel caso delle pandemie. La gestione delle epidemie, ad esempio,
si basa su modelli predittivi che richiedono dati precisi sui gruppi di
popolazione a rischio. Una sottostima o una stima errata può condurre a errori
fatali nella distribuzione dei vaccini o nella predisposizione dei posti letto
ospedalieri.
Il censimento: uno strumento antico ma
ancora indispensabile
Il censimento nazionale rappresenta, da
secoli, uno degli strumenti principali per conoscere la composizione
di una nazione. Benché possa sembrare un’attività burocratica e
routinaria, esso costituisce il fondamento delle decisioni politiche,
economiche e sociali. La sua funzione non si limita a “contare” le persone:
serve anche a comprendere come la popolazione si distribuisce sul territorio,
quali fasce d’età prevalgono, quali sono i flussi migratori, i livelli di
istruzione, l’accesso ai servizi. Si tratta, in altre parole, di un vero e
proprio termometro della realtà sociale. Eppure, secondo lo studio
britannico, un numero crescente di Paesi ha omesso o
posticipato i propri censimenti.
I motivi del ritardo: pandemia, finanze
pubbliche e sfiducia
L’arresto o il ritardo dei censimenti
non è un fatto casuale, ma il risultato di fattori ben precisi. Innanzitutto,
la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto dirompente sui calendari
statistici, costringendo molti governi a rinviare le operazioni censuarie per
motivi sanitari o logistici. In secondo luogo, il clima di austerità e i tagli
ai bilanci pubblici hanno ridotto i fondi destinati alla raccolta dei dati
demografici, considerati da alcuni governi meno urgenti rispetto ad altre voci
di spesa. Infine, la crescente sfiducia verso le istituzioni – sia da parte dei
cittadini che, talvolta, da parte delle stesse amministrazioni – ha indebolito
la legittimità dei censimenti, rendendo più difficoltosa la loro realizzazione.
Una geografia della crisi: chi sta
smettendo di contare?
Il fenomeno è particolarmente marcato
nei Paesi a basso e medio reddito, dove le sfide infrastrutturali e la carenza
di personale statistico si sommano alle difficoltà economiche. Ma anche alcune
economie avanzate hanno mostrato segnali di debolezza. Secondo i dati riportati
nello studio, la percentuale di Paesi che ha effettuato
censimenti completi negli ultimi dieci anni è scesa in modo preoccupante,
con impatti maggiori in regioni come l’Africa subsahariana, il Medio Oriente e
alcune aree dell’America Latina. In questi contesti, la mancanza di dati
aggiornati ha contribuito ad accentuare disuguaglianze e a rendere meno
efficaci le politiche di sviluppo.
Censimenti digitali: una soluzione
incompleta
In risposta alle difficoltà operative,
alcuni Paesi hanno cercato di innovare i metodi di raccolta dati, adottando
strumenti digitali e rilevazioni basate su fonti amministrative. Tuttavia,
questi approcci – pur offrendo maggiore rapidità e minori costi – non sempre
garantiscono l’accuratezza e la completezza del censimento tradizionale. In
particolare, le popolazioni marginalizzate o prive di accesso ai servizi
digitali rischiano di essere escluse, alimentando così il fenomeno della
“popolazione invisibile”. Inoltre, la dipendenza da fonti non censuarie può
introdurre bias e lacune che compromettono la qualità del dato.
L’effetto domino sulle politiche
internazionali
Il problema non riguarda soltanto i
governi nazionali, ma coinvolge anche le agenzie internazionali e le
organizzazioni umanitarie che si affidano a dati demografici per pianificare le
proprie azioni. Programmi di assistenza alimentare, iniziative educative o
campagne vaccinali su scala globale si basano su statistiche fornite dai
governi. Quando queste informazioni sono incomplete o inattendibili, anche le
strategie internazionali rischiano di fallire o di essere meno efficaci. La
sottostima della popolazione può portare, per esempio, a una distribuzione
insufficiente di aiuti o a una valutazione errata delle necessità locali.
Rischi per la democrazia e la
rappresentanza
Oltre agli effetti pratici, la crisi
censuaria ha implicazioni politiche di rilievo. In molte democrazie, la
rappresentanza parlamentare è determinata sulla base della popolazione
registrata. Una stima imprecisa può falsare la
distribuzione dei seggi, riducendo la voce politica di determinate
comunità. Anche il disegno dei collegi elettorali si basa su dati demografici:
quando questi mancano o sono obsoleti, il rischio di distorsioni aumenta. In
sostanza, la qualità della democrazia può dipendere – più di quanto si immagini
– da un censimento ben condotto.
Alla luce della gravità del fenomeno,
gli autori dello studio chiedono un rilancio del censimento come strumento
essenziale di governance. Servono investimenti mirati, sostegno tecnico e
soprattutto una volontà politica chiara di mettere i dati al centro dell’azione
pubblica. Alcuni Paesi, come il Kenya o il Bangladesh, stanno tentando di
recuperare terreno attraverso programmi sostenuti dalle Nazioni Unite e dalla
Banca Mondiale, ma il cammino è lungo.
Infine, non si tratta solo di una questione tecnica. Il rilancio dei censimenti richiede anche una battaglia culturale per riaffermare l’importanza della conoscenza collettiva, della trasparenza e dell’inclusività. La disponibilità di dati affidabili è una condizione imprescindibile per garantire diritti, ridurre le disuguaglianze e progettare un futuro equo.
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