Stiamo assistendo a un genocidio in atto. Finché Israele non sarà ritenuto responsabile per il sangue che ha versato in Palestina, temo che il destino degli abitanti di Gaza toccherà anche a noi.
Tra i luoghi felici della mia infanzia tra le montagne
del Libano meridionale, la guerra e i bombardamenti non sono mai stati lontani.
Se l’occupazione israeliana di gran parte del Libano meridionale è terminata il
25 maggio 2000, a due anni dalla mia nascita, l’occupazione della Cisgiordania,
della Striscia di Gaza, delle Alture del Golan e delle Fattorie di Shebaa è
ancora in corso. Nel luglio 2006, quando avevo otto anni, è stata scatenata una
guerra di 33 giorni contro il Libano. Sono cresciuta con la convinzione che il
destino dei libanesi e dei palestinesi fosse storicamente connesso e che un
giorno la Palestina sarebbe stata libera. Ma questo blog non parla di me.
Mentre scrivo, la guerra israeliana contro la Striscia
di Gaza infuria da 271 giorni, con più di 38 mila morti e oltre 87 mila
feriti dal 7 ottobre a oggi, secondo i dati forniti dal Ministero della Salute
di Gaza. Stiamo assistendo a un genocidio in atto che ha conseguenze disastrose
anche per gli ecosistemi e viola il diritto di molte persone di godere e vivere
in un ambiente sano.
«Una delle gravi conseguenze della guerra a Gaza è la
massiccia violazione del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile… che
rappresenta un grave rischio per la vita e il godimento di tutti gli altri
diritti. La regione sta già sperimentando gravi impatti climatici che
potrebbero peggiorare ulteriormente», ha spiegato sul Guardian, lo scorso 6 giugno,
Astrid Puentes Riaño, relatrice speciale delle Nazioni Unite sul diritto umano
a un ambiente sano. Dall’inizio della guerra, come ricercatrice ambientale e
legale, ho letto e raccolto articoli e informazioni sull’impatto devastante
della guerra sull’ambiente di Gaza. Di seguito un’istantanea di ciò che è stato
documentato finora.
Il tributo ambientale della guerra in corso a Gaza
La guerra in corso a Gaza ha avuto come conseguenza
anche gravi danni ambientali, con un impatto su aria, acqua e terra, e su tutti
coloro che ne dipendono. Le emissioni immediate di CO₂ causate dalla guerra
sono impressionanti, con una stima media di 536.410 tonnellate
di anidride carbonica nei primi 120 giorni di guerra, il 90% delle
quali attribuite al bombardamento aereo e all’invasione terrestre di Gaza da
parte di Israele. Si tratta di una quantità superiore all’impronta di carbonio
annuale di molte nazioni vulnerabili al cambiamento climatico. A seguito degli
intensi bombardamenti, sono state registrate contaminazioni
da metalli pesanti.
L’aria è contaminata da sostanze chimiche
provenienti da armi come il fosforo bianco, a causa dell’uso
massiccio di esplosivi, mentre l’esposizione alle munizioni al fosforo bianco
porta, a sua volta, a una riduzione della produttività
dei terreni agricoli e può danneggiare le piante esistenti.
Le risorse idriche sono state gravemente compromesse, con circa 60 mila metri cubi di liquami e
acque reflue non trattate che confluiscono quotidianamente nel
Mar Mediterraneo. Il sistema di acqua potabile di Gaza, già insufficiente prima
della guerra, con il 90-95% delle acque sotterranee
non potabili, è ora in uno stato ulteriormente critico. In media,
nell’aprile 2024, gli abitanti di Gaza avevano accesso a circa 2-8 litri per persona al
giorno, rispetto agli 85 litri per persona al giorno prima dell’ottobre 2023.
Le ricerche indicano che 20 litri pro capite al giorno sono la
quantità minima di acqua pulita necessaria per raggiungere i
livelli minimi essenziali per la salute e l’igiene.
Il degrado del terreno e del suolo ha devastato la
società agraria di Gaza. La distruzione delle fattorie e dei terreni
agricoli, unita a 17 anni di blocco che
ha privato la regione di fattori di produzione agricoli essenziali, ha causato
una grave insicurezza alimentare.
Considerando l’intensità dei bombardamenti, è molto probabile che i terreni
agricoli di Gaza siano contaminati da metalli pesanti e altre sostanze chimiche associate
alle attrezzature e alle munizioni militari. Nel maggio 2024, il 57% dei terreni coltivati di Gaza
risultava danneggiato. Secondo le Nazioni Unite, Israele avrebbe distrutto il 70%
della flotta peschereccia di Gaza. Il bestiame muore di fame,
incapace di fornire cibo o di essere esso stesso fonte di cibo.
Gli ulivi, fondamentali in Palestina per il loro
profondo significato culturale e per la loro importanza economica, in quanto
forniscono sostentamento a molte famiglie attraverso la produzione di olio
d’oliva, sono stati spesso deliberatamente presi di mira
dai soldati israeliani o dai coloni, diventando un simbolo della
sofferenza dei palestinesi espropriati del loro patrimonio e impossibilitati ad
accedere alla loro terra e ai loro raccolti. La distruzione degli ulivi fa
parte di un sistema più ampio di
danneggiamento delle terre e delle proprietà – particolarmente
evidente in Cisgiordania – e
di restrizioni che hanno implicazioni
significative per i mezzi di sussistenza, la sicurezza
alimentare e l’ambiente dei palestinesi.
Salute pubblica e crisi climatica: i killer silenziosi
Le crisi della salute pubblica e l’aumento della
vulnerabilità al peggioramento degli impatti del cambiamento climatico sono
conseguenze silenziose, ma mortali, della guerra. La regione del Medio Oriente
e del Nord Africa si sta
riscaldando a una velocità quasi doppia rispetto alla media globale.
Almeno 1.300 pellegrini del Hajj alla Mecca sono morti quest’anno per malattie legate
al caldo a causa delle temperature estreme.
Gaza, una regione già vulnerabile al clima, deve
affrontare un peggioramento delle condizioni a causa della guerra. Le
proiezioni indicano che le temperature potrebbero
aumentare di 4°C entro la fine del secolo, aggravando le
precipitazioni irregolari, le ondate di calore e la siccità. In aprile, una ondata di
calore ha evidenziato le condizioni disastrose della
popolazione sfollata, con diverse persone morte a causa del caldo.
Le infrastrutture sanitarie, già indebolite da anni di
blocco, stanno crollando sotto la pressione della guerra. I sistemi e le strutture di gestione
delle fognature, delle acque reflue e dei rifiuti solidi sono collassati. Migliaia di tonnellate di rifiuti
solidi si accumulano in discariche informali in tutta Gaza e le acque reflue
non trattate si riversano liberamente in mare. La diffusione di
malattie come infezioni della pelle, epatite A e diarrea è in aumento, con il rischio di epidemie che
mettono a repentaglio migliaia di vite. Gli attacchi agli ospedali e
il blocco delle forniture mediche hanno paralizzato il sistema sanitario di
Gaza, lasciando milioni di persone in impellente bisogno di aiuti
umanitari. La presenza di corpi in decomposizione aumenta
ulteriormente il rischio di epidemie di colera. I bambini, il cui sistema
immunitario e la mancanza di cibo li rendono pericolosamente deboli, sono
particolarmente a rischio.
Le conseguenze ambientali della guerra a Gaza
danneggiano anche i Paesi vicini
L’impatto ambientale della guerra si estende oltre
Gaza, colpendo i Paesi vicini come Egitto, Giordania e Libano.
L’Egitto sta sperimentando l’inquinamento nel Sinai settentrionale
e lungo la costa mediterranea, con potenziali danni agli stock
ittici, alla vita marina e alle riserve di acqua sotterranea. Anche la qualità dell’aria è peggiorata,
con conseguenze sulla salute pubblica. Anche la Giordania sta affrontando un aumento dell’inquinamento
atmosferico a causa della sua vicinanza con Gaza.
Il Libano, in particolare le sue aree di confine
meridionali, soffre di danni agricoli connessi
alla guerra, inquinamento chimico e contaminazione da residui di esplosivi.
Anche qui, una valutazione preliminare ha indicato che i bombardamenti al fosforo bianco
hanno causato danni ambientali estesi, con un impatto sugli
ecosistemi naturali, sulla qualità dell’acqua e con minacce alla salute umana e
al bestiame.
Richieste a Israele di sostenere i costi della
devastazione ambientale secondo il diritto internazionale
Sebbene l’ambiente naturale sia
protetto dal diritto internazionale umanitario, continua a essere
una “vittima silenziosa della guerra”. La devastazione ambientale a Gaza vìola
molteplici leggi e convenzioni internazionali volte a proteggere l’ambiente
durante i conflitti armati. Lo Statuto di Roma e le Convenzioni di Ginevra
evidenziano che la distruzione ambientale
intenzionale può costituire un crimine di guerra.
Esperti e ONG hanno utilizzato concetti come
“ecocidio” per descrivere la distruzione deliberata dell’ambiente di Gaza.
Una recente analisi satellitare rivela
che “la portata e l’impatto a lungo termine della distruzione hanno portato a
chiedere che venga indagata come potenziale crimine di guerra e che venga
classificata come ecocidio, che copre i danni causati all’ambiente da azioni
deliberate o negligenti”.
Il diritto internazionale richiede che Israele
sostenga i costi della ricostruzione di Gaza, data la sua riconosciuta responsabilità
come potenza occupante.
La “distruzione senza precedenti di Gaza richiederà
decine di miliardi di dollari e decenni per essere risolta”.
Recenti rapporti hanno cercato di quantificare i danni
subiti, il tempo necessario e il costo per riparare e ricostruire, tra gli
altri, l’economia, l’ambiente, gli edifici e le infrastrutture primarie di
Gaza.
Una valutazione provvisoria dei danni da
parte della Banca Mondiale ritiene che il costo totale dei
danni alla fine del gennaio 2024 era di circa 18,5 miliardi di dollari; i danni
già subiti nel settore idrico, igienico-sanitario e sanitario sono valutati in
oltre 500 milioni di dollari; altri 629 milioni di dollari nel settore agricolo
e 411 milioni di dollari nel settore ambientale (compresa la rimozione delle
macerie).
Secondo un’analisi condotta da ricercatori
del Regno Unito e degli Stati Uniti, il costo in termini di
emissioni di carbonio della ricostruzione di Gaza sarà superiore alle emissioni
annuali di gas serra generate singolarmente da 135 Paesi.
Secondo l’UNCTAD, la “distruzione
senza precedenti di Gaza richiederà decine di miliardi di dollari e decenni per
essere risolta”. Un rapporto del Programma delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) afferma che “il livello di
distruzione a Gaza è tale che la ricostruzione delle infrastrutture pubbliche
richiederebbe un’assistenza esterna su scala mai vista dal 1948”; il rapporto
afferma anche che Gaza ha bisogno di circa 80 anni per ripristinare tutte le
unità abitative completamente distrutte, seguendo gli stessi schemi di
ricostruzione delle ultime due escalation.
Senza un cessate il fuoco permanente all’orizzonte, i
danni e i costi di ricostruzione aumenteranno inevitabilmente, compromettendo
ulteriormente la capacità del popolo palestinese di vivere nuovamente a Gaza.
Sto assistendo a un genocidio in atto con i miei
occhi, attraverso il mio telefono – una documentazione dell’orrore di prima
mano. Finché Israele non sarà ritenuto responsabile per il sangue che ha
versato nella mia regione, temo che il destino degli abitanti di Gaza toccherà
anche a noi.
Le richieste di Greenpeace per proteggere le persone,
l’ambiente e la pace a Gaza e nella regione
Misure urgenti:
1.
Un cessate
il fuoco immediato e permanente.
2.
Un embargo
globale su tutte le vendite e i trasferimenti di armi.
3.
La fine
dell’occupazione illegale della Palestina.
4.
Un passaggio
costante e sicuro dei camion degli aiuti.
5.
L’accesso di
investigatori e specialisti ambientali per condurre indagini sul campo.
Misure a lungo termine:
1.
Il sostegno
di donatori internazionali e regionali per lo sviluppo delle infrastrutture
idriche.
2.
Valutazioni
ambientali complete per il dopoguerra.
3.
Una
ricostruzione sostenibile incentrata sulla mitigazione del clima, sulle
politiche di resilienza e sul coinvolgimento delle comunità.
4.
Misure per
ritenere Israele responsabile dei danni inflitti a Gaza in violazione dei suoi
obblighi internazionali.
Affrontare gli ingenti danni ambientali a Gaza
richiede un’azione immediata e una pianificazione strategica a lungo termine
per garantire una ripresa sostenibile e una resilienza futura.
Azioni di solidarietà che potete intraprendere
Ovunque vi troviate, la vostra solidarietà può fare la
differenza. Ecco alcune delle cose che potete fare:
Donare alle organizzazioni umanitarie della regione,
come l’UNRWA.
Unirsi agli appelli per il cessate il fuoco e la fine
del blocco, partecipando alle manifestazioni per la pace nel luogo in cui vi
trovate.
Sostenere gli appelli ai governi affinché smettano di
vendere armi a tutte le parti coinvolte. Amnesty International, Greenpeace UK e Greenpeace
Italia sono tra i tanti gruppi che chiedono un embargo sulle
armi in linea con le leggi nazionali e internazionali. Alcuni Paesi si sono già attivati per
bloccare le esportazioni di armi. Paesi Bassi, Spagna, Canada, Belgio
e Italia – che però non
ha mai interrotto l’invio delle armi autorizzate precedentemente il 7 ottobre –
si sono mossi per sospendere la vendita di armi e il sostegno militare a
Israele.
Unirsi a Greenpeace
Norvegia e ai suoi alleati per chiedere alla compagnia
petrolifera statale Equinor di porre fine alle sue partnership commerciali
distruttive e agli investimenti in combustibili fossili nella terra palestinese
occupata, che violano il diritto internazionale.
*Farah Al Hattab – campaigner e ricercatrice legale
di Greenpeace Medio Oriente e Nord Africa con sede a Beirut, nata e cresciuta
nel sud del Libano – disponibile
sul sito di Greenpeace International
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