«Dare soldi è una cosa facile ed è in potere di ogni uomo. Ma decidere a
chi darli e quanti e quando, e per quale scopo e come, non è in potere di ogni
uomo e non è una questione facile» (Aristotele). In effetti è un tema
difficile perché per donare soldi bisogna averli, e va considerato anche il
«come» sono stati accumulati. Per dare concretezza a un concetto elevato,
prendiamo come modello due esempi: Brunello Cucinelli, imprenditore
del lusso, e Isabella Seràgnoli, azionista unico del Gruppo Coesia.
Hanno in comune due cose: pagano per intero le tasse in Italia, non
dove conviene di più, e pensano che nessuno faccia i soldi da solo,
pertanto una parte deve tornare alla collettività. In quale modo? Un punto
non banale.
I dipendenti
Brunello Cucinelli nel 1978, a 25 anni, si mette a produrre
abbigliamento di lusso nel borgo di Solomeo, alle porte di Perugia. La materia
prima è il cachemire che, fino ad allora, veniva venduto solo nelle sue tinte
naturali (bianco, marrone e beige). Lui si inventa di colorarlo, i suoi capi
diventano riconoscibili in tutto il mondo, le vendite decollano e oggi l’azienda
fattura 1,144 miliardi di euro l’anno. Al contrario di prestigiosi
marchi del made in Italy produce realmente tutto nel nostro Paese e le tasse
versate per intero in Italia. Nel quartier generale di Solomeo, a Gubbio, a
Carrara e in Abruzzo lavorano 1.500 dipendenti e altri 1.500 nei negozi sparsi
un po’ in tutto il mondo. Si pratica il modello di sostenibilità economica,
ambientale, culturale. Lo stipendio dei dipendenti è fino al 40% in più
di quanto prevede il contratto nazionale del manifatturiero (tradotto:
la busta paga di una sarta è di 2.300 euro netti al mese, a fronte dei 1.500
previsti dal contratto nazionale del manifatturiero), non si lavora il
sabato e la domenica, la mensa aziendale è un ristorante, bonus cultura (i
dipendenti possono spendere 500 euro l’anno – per chi ha figli la cifra è più
alta – per acquistare libri, ingressi a teatro, concerti).
No consumo di suolo
I luoghi di lavoro sono in aree verdi. Operano per Cucinelli anche 391
laboratori privati, il 75% in Umbria, che danno lavoro ad altri 7.800
artigiani. Tutta la filiera di appalti e subappalti è vigilata e
deve rispettare il rigidissimo codice etico di Cucinelli. Anche le materie
prime arrivano da fornitori per il 94,5% operativi sul territorio italiano. Il
piano ambientale va nella direzione del non consumo di suolo: 1) acquisto di
aree degradate, 2) abbattimento di capannoni e bonifica, 3) trasformazione in
siti aziendali con intorno coltivazioni.
Beneficio alla collettività
Nel 2010 nasce la Fondazione Cucinelli e negli anni ha
investito un centinaio di milioni di euro nella ristrutturazione dell’antico
borgo di Solomeo, dotato la collettività di un teatro, una biblioteca
universale e una Scuola di Alto Artigianato dove gli studenti percepiscono uno
«stipendio» mensile (fino a 1.500 euro netti) per imparare un mestiere. Ha
costruito e donato al Comune il campo sportivo per i ragazzini del paese. Ora
sta finanziando il restauro dell’acquedotto medievale di Perugia. Dal 2020
i capi invenduti vengono donati in beneficenza alle Ong internazionali.
Tes Pharma
Le multinazionali farmaceutiche ritengono antieconomico investire nella
ricerca per la cura delle malattie che colpiscono un limitato numero di persone. A occuparsene
restano quindi università e centri di ricerca che si sostengono con donazioni e
modesti finanziamenti pubblici. Solo quando il loro lavoro dà risultati
incoraggianti possono sperare che le big pharma acquistino il brevetto per
concludere lo sviluppo del farmaco e metterlo in commercio. I 25
ricercatori di Tes Pharma fanno proprio questo: studiano molecole per la cura
di alcune forme di tumore raro e per patologie renali acute per le quali non
esistono ancora delle cure. A fondare Tes è stato il professor Roberto
Pellicciari, esperto (anche) di malattie rare, che per dieci anni fa
contemporaneamente il ricercatore, il manager e il procacciatore di
finanziamenti. La svolta arriva nel 2020 quando Brunello Cucinelli
decide di sostenerlo mettendoci 3 milioni di euro. Oggi la start up dispone
di macchinari all’avanguardia e di un team che comprende biologi, chimici,
informatici. Spiega il professor Pellicciari: «Trovare una cura alle malattie è
sempre molto costoso e, senza risorse adeguate, anche l’idea migliore è
destinata a fallire».
Il Gruppo Coesia
Isabella Seràgnoli è presidente e azionista unico del Gruppo Coesia, con
sede a Bologna. Un secolo fa si chiamava Gd e faceva motociclette, poi il padre Enzo la
trasformò in un’azienda di macchine incartatrici, diventando una delle più
importanti al mondo nel settore del packaging. Oggi fattura 2 miliardi
di euro, dà lavoro a oltre 8mila persone ed è presente in 36 Paesi. Non fa
operazioni di ottimizzazione fiscale: paga interamente le tasse in Italia.
Filantropia sanitaria e sociale
Negli anni Settanta l’azienda costruisce e dona all’ospedale Sant’Orsola
l’Istituto di ematologia oncologica e, negli anni, ne finanzia
l’ampliamento e l’ammodernamento. Nel ‘98 costruisce a Bentivoglio uno dei
primi hospice italiani. Nel 2003 nasce la Fondazione Seràgnoli, un modello
di filantropia imprenditoriale che opera attraverso quattro enti, ciascuno
attivo in settori diversi: Fondazione Mast, con mostre temporanee sul mondo
dell’industria e del lavoro, attività di formazione legata all’ innovazione e
sviluppo tecnologico rivolta ai dipendenti del gruppo e ai giovani del
territorio; la Fondazione Gruber, che si occupa di disturbi alimentari con un
centro ambulatoriale, ricovero e l’Accademia delle scienze della nutrizione; la
Fondazione Alsos, che finanzia studi e ricerche in ambito sociale. Ma c’è
soprattutto la Fondazione Hospice Chiantore Seràgnoli, interamente dedicata al
finanziamento e alla gestione di strutture sanitarie destinate ad alleviare la
sofferenza dei pazienti con malattie incurabili. Negli ultimi 15 anni
ha finanziato l’apertura del reparto di cure palliative presso l’ospedale
Bellaria, l’hospice di Casalecchio, l’Accademia delle scienze di medicina
palliativa e, da ultimo, l’hospice pediatrico.
L’hospice per i bambini
Il rapporto sull’attuazione della legge sulla terapia del
dolore stima, in Italia, una necessità di 35.000 posti letto per
cure palliative dedicate a bambini. Solo il 10% di questo fabbisogno trova una
risposta. La Fondazione Seràgnoli ha messo 50 milioni di euro nella
costruzione dell’Arca sull’Albero, uno dei rari hospice che accoglie pazienti
da 0 a 18 anni con patologie inguaribili o di grave complessità clinica.
L’edificio, che a tutto somiglia fuorché a un ospedale, è stato inaugurato a
Bologna il 14 giugno scorso e progettato da Renzo Piano: «Volevo costruire una
struttura che assomigliasse a un luogo fatato, dove la morte purtroppo non
diventa migliore, ma diventiamo migliori noi». Si tratta di 8.350 metri
quadrati di spazi sospesi come palafitte immerse in un parco di 16mila metri.
La struttura, dotata di 50 operatori, è in grado di ospitare 14 piccoli
pazienti e le loro famiglie, ma alcune terapie si possono fare anche in day
hospital. Ogni camera ha una parete di vetro circondata da alberi e sul
soffitto un oblò per vedere sempre la luce del cielo. C’ è una piscina per
l’idrochinesiterapia, l’angolo di arte-terapia, la sala del commiato e uno
spazio meditativo. In questo e negli altri tre hospice i pazienti non pagano
nulla perché le strutture sono accreditate dal Servizio Sanitario Nazionale che
rimborsa alla Fondazione il costo vivo giornaliero per ogni paziente in cura. A
quel 40% che manca per coprire i costi di gestione ci pensa sempre la signora
Seràgnoli.
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