mercoledì 19 ottobre 2011

Martin Caparròs

...Giornalista e scrittore argentino, 54 anni, Caparròs ha conosciuto l'esilio - a Parigi - durante la dittatura militare nel suo Paese. Una penna graffiante, allergica al comune senso della retorica. Questo libro è un invito a coltivare il dubbio. Perché i suoi viaggi, in luoghi del pianeta ''dove la notte è notte e non c'è luce che la distragga'' sono una sfida. A mettere in discussione una serie di concetti che siamo stati educati a sentire come nostri. Ma non è chiaro dopo quanta, reale, riflessione.

Lo scrittore argentino, mettendo in discussione in primo luogo sé stesso, parte da quello che lui ha sentito come un furto. ''Quando la destra si è appropriata del cambiamento?''. In prima battuta, rispetto al tema del libro, sembra che si parli solo del cambiamento climatico, il cosiddetto riscaldamento globale. Manila e le isole Marshall, il Marocco e la Nigeria, Sidney e le Hawaii. Storie, persone. Quelle che, davvero, soffrono le conseguenze di un mutamento che non sanno spiegare. Se non con le parole d'ordine di questi anni: riscaldamento globale.

L'approccio più ingenuo a un libro come questo sarebbe quello negativo. Caparròs, come tanti scienziati prezzolati in giro per il mondo, non nega che abbiamo un problema nel rapporto tra lo stato di salute del pianeta e sviluppo economico dello stesso. Lo scrittore non nega nulla, ma si chiede perché. Perché, in primo luogo, non venga messo in discussione questo modello sociale, economico, culturale che, dopo la caduta del muro di Berlino, appare dominante.

Rispetto all'aspirazione legittima di paesi emergenti a uno sviluppo economico, qual'è la risposta? Per Caparròs è troppo semplice, adesso, per i paesi ricchi dire che non si può, non a quelle velocità, non con quel modello di sfruttamento delle risorse. Buoni a dirlo solo ora, come i politici citati ad esempio da Caparròs: Al Gore e Kofi Annan. Quando erano, rispettivamente, vice presidente degli Usa e segretario generale dell'Onu non hanno mosso un dito. Adesso, a capo di fondazioni milionari, diventano i paladini dell'energia pulita. Business pure quello.

Caparròs ce l'ha con quelli che chiama ecololò, i militanti sempre radical, spesso chic, che dalcomodo scranno dell'opulenza lanciano strali contro l'inquinamento del mondo. Per l'autore argentino, però, contribuiscono a un arrocco conservatore che non ha più nulla dell'anelito internazionalista della sinistra storica. Salvare le tradizioni, senza capire chi è che le sceglie, le tradizioni da salvare.

Un invito, il dubbio come sale del pensiero. Una rivoluzione che deve partire dalla società, dalle società globali. Mettendo in discussione quello che ha creato questa situazione, non stabilendo che per salvare quello che resta si deve perpetuare l'esclusione di una parte di mondo dallo sviluppo.
Un libro politico, senza alcuna pretesa tecnica. Caparròs si presenta per quello che è, un ''voyeur che l'ha trasformato in un mestiere''. Non è un climatologo che deve rispondere alle sue provocazioni, ma un politico. E tutti quelli che si sentono parte di una società globale che deve continuare a porsi domande.

da qui

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