Il cosiddetto idrogeno verde ha bisogno di acqua, che non abbiamo, o di energia nucleare, che pensavamo di importare dall’Ucraina.
La crisi
idrica che attraversa il Paese è un campanello di allarme su diversi aspetti
centrali al nostro modo di vivere, di produrre e di generare energia. Il
collegamento tra la siccità protratta degli ultimi cinque mesi e l’avanzare dei
cambiamenti climatici è stato portato in evidenza da esperti e climatologi.
Prenderne atto significa ripensare l’uso dell’acqua nei settori centrali
dell’economia: quello agro-industriale, il manifatturiero ma anche la
produzione energetica.
Pensiamo
alla discussione in corso in Italia e in Europa sull’idrogeno come perno della
decarbonizzazione, tutta orientata a definire i quantitativi da produrre e su
quale fonte di energia impiegare, che di fatto dà per scontata la disponibilità
di acqua. Nella sua visione strategica, la Commissione europea ha disegnato uno
scenario in cui la quota di idrogeno nel mix energetico europeo dovrebbe assestarsi
intorno al 2% nel 2024, fino a raggiungere un 15-22% entro il 2050 (circa
1300-1800 Twh). Si parla di un obiettivo di produzione di idrogeno da
fonti rinnovabili di un milione di tonnellate annue entro il 2024 e 10 milioni
entro il 2030 tramite l’elettrolisi dell’acqua, che implica la realizzazione di
elettrolizzatori per una capacità di potenza installata di 6 GW al 2024 e di 40
GW (più altri 40 GW extra-UE), fino al raggiungimento di 500 GW complessivi nel
2050. Il piano europeo parla di potenza rinnovabile “dedicata”, che
dovrebbe produrre in maniera stabile e costante energia da fonti rinnovabili
esclusivamente destinate all’idrogeno. Anche in Italia il dibattito è aperto:
le linee guida preliminari sono state pubblicate nel novembre 2020 e comprendono
una tabella di marcia di obiettivi a breve e lungo termine.
Per capire
se questi obiettivi siano raggiungibili e se la filiera complessiva risulti
sostenibile, è importante soffermarsi su diversi aspetti. Tra questi, anche la
disponibilità di risorse idriche da destinare, con consumi che andrebbero
ad aggiungersi a quelli esistenti dei diversi settori. Secondo uno studio
realizzato da Leonardo Setti dell’Università di Bologna e da Sofia Sandri del
Centro per le Comunità Solari, commissionato da ReCommon, per produrre 1 kg di
idrogeno da elettrolisi occorrono circa 9 litri di acqua, quindi per ottenere 1
tonnellata di idrogeno devono essere consumati ben 9000 litri. La
strategia italiana prevede di produrre 700mila tonnellate di idrogeno l’anno
entro il 2030, per le quali servono circa 6,3 milioni di metri cubi d’acqua
l’anno. Ovvero un aumento del consumo di acqua che arriverebbe a circa 0,6
miliardi di metri cubi nel 2050: lo 0,3% del consumo europeo di acqua dolce. Un
dato significativo, se letto in un contesto in cui i periodi di siccità
prolungata impongono già oggi dei razionamenti e una gestione della risorsa
idrica “commissariata” in diverse regioni: proprio quelle finora più ricche
d’acqua, per la presenza del bacino del Po e a ridosso dell’arco alpino. Un
dato che, secondo gli autori dello studio, è preludio di limiti alla
localizzazione dei progetti per la produzione di idrogeno verde, fattore che
aumenta gli interessi economici in gioco orientando le scelte in merito alla
gestione dell’acqua e potenzialmente alimenta nuove spinte per la
privatizzazione di questa preziosa risorsa. In base allo studio, l’acqua
diventerebbe infatti “materia prima per la produzione di energia
centralizzata”, potrebbe risentire degli stessi effetti speculativi legati ai
combustibili fossili.
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Uno scenario
non roseo, in un contesto di crisi idrica strutturale in alcuni periodi
dell’anno, di siccità persistente e abbassamento delle falde. La domanda è se
gli esperti del “governo dei migliori” abbiano valutato i costi reali, le
implicazioni e le conseguenze dei diversi modelli di produzione di idrogeno
verde. Ossia il più “sostenibile” delle tipologie di idrogeno, se comparato
all’idrogeno prodotto da combustibili fossili, il preferito delle corporation
oil & gas e di ampi settori dell’industria. Per esempio, preferendo
incentivare l’idrogeno nella mobilità su strada con l’investimento tramite il
Pnrr nella costruzione di stazioni di rifornimento proprio a idrogeno, gli
esperti del governo hanno considerato che è uno dei suoi usi meno efficienti?
Ma lo studio
va oltre e solleva altri punti. Lo scenario di produzione di idrogeno al 2030
elaborato dal World Energy Council Europe (WEC-Europe) stima che, utilizzando
la capacità di idrolisi di 40 GW, questa non potrà superare i 2,6 milioni di
tonnellate. Una quantità molto più bassa rispetto ai 10 milioni di tonnellate
previsti dalla Commissione europea. Inoltre, secondo lo stesso
scenario solamente 0,8 milioni di tonnellate di idrogeno sarebbero
prodotti da energia rinnovabile: la maggior parte dell’idrogeno da elettrolisi
arriverebbe tramite la generazione aggiuntiva da centrali nucleari
esistenti. Quindi idrogeno da elettrolisi, ma tutt’altro che verde!
Che ltalia e
Europa non siano in grado di generare sul territorio italiano – e dell’Ue –
l’idrogeno verde di cui la Commissione europea dice di voler disporre al 2030 e
al 2050 si nota anche dal progetto della European Hydrogen Backbone,
prensentato nel 2020 e aggiornato nel 2021, di cui Snam è tra i più aperti
sostenitori. Nella mappa sono infatti presenti tre gasdotti
attraverso cui l’Europa dovrebbe importare idrogeno verde prodotto fuori dai
confini dell’Ue: il gasdotto Transmed (da Algeria e Tunisia, controllato
da Eni e Snam), il gasdotto TAP (dalla Grecia, con Snam tra gli azionisti di
maggioranza) e dall’Ucraina attraverso il TAG (controllato da Snam).
Proprio in Ucraina, secondo il recente piano RePower EU, dovrebbe
“materializzarsi” l’idrogeno da fonte “non fossile”, ovvero da energia
nucleare, che poi dovrebbe essere esportato in Europa via gasdotto. Certo,
se la riduzione delle risorse idriche è un tema scottante in Italia,
figuriamoci in paesi al momento in guerra, o in altri il cui territorio è
per lo più desertico, piegati dall’inflazione e dal costo esorbitante
dell’energia. Un quadro molto lontano dalla sostenibilità raccontata negli
scenari di uscita dalle fossili, che forse vanno interamente ripensati, come
richiede la crisi attuale.
“I dati
elaborati in questo rapporto dimostrano che non c’è possibilità di coprire il
target minimo di idrogeno a livello nazionale se non tramite una filiera non
sostenibile e non realizzabile di energia rinnovabile” concludono gli autori
del rapporto, che bocciano senza mezzi termini gli attuali piani europei e
italiani.
https://www.recommon.org/produrre-idrogeno-acuira-la-crisi-idrica/
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