La vicenda dei concerti in
ecosistemi fragili conferma che in Italia se sei famoso, ricco e mobiliti
consensi di massa puoi fare quel che vuoi e il ceto politico resta a guardare.
Una questione grave, commenta il prof. Pileri, in un Paese che già umilia chi
si occupa di tutela e di divulgazione ambientale, salvo poi piangere Piero
Angela
Torno su uno
dei tanti fatti inaccettabili che stanno macchiando questa estate bollente: le
dichiarazioni di Jovanotti intorno al suo JovaBeachParty. Ci torno innanzitutto
perché non posso accettare di ricevere dell’”econazista” - io come tanti altri
che hanno “osato” sollevare dubbi- per di più nel bel mezzo di un tempo storico
dove le destre e i nostalgici del fascismo potrebbero prendere il potere e
farci tornare nel buio più buio. E non ci sto neppure a sopportare il silenzio
di quasi tutti i politici che occupano le prime pagine di social e
media i quali nulla dicono e han detto sull’accaduto, nulla sulle parole
impronunciabili rivolte agli attivisti ambientali e nulla sulle mancate scuse
da parte dell’artista pop a cui peraltro nessuno ha dato del “popnazista”.
Probabilmente hanno fatto i loro conti e sanno che a dire qualcosa ci si
potrebbe scottare e perdere molti voti. E così fan finta di niente e giocano la
carta colpevole dell’inazione, della bocca cucita: giusto per non sbagliare. E
invece sbagliano, eccome se sbagliano.
Per chi si è
perso i fatti, questi sono semplici. Un cantante vuole fare i suoi concerti
sulle spiagge italiane e li vuole fare pure sventolando ai quattro venti che
sono una esperienza green; un gruppetto di ambientalisti gli fa
notare che non è proprio così e che le coste sono ambienti fragili; e lui gli
scodella addosso, in men che non si dica, che sono degli econazisti; il 9
agosto interviene a loro difesa (e a difesa delle coste) Mario Tozzi sulle
pagine de La Stampa spiegando, pacatamente e con dati
scientifici alla mano, i danni che eventi del genere procurano, facendo anche
notare la sgradevole e irricevibile uscita con cui si è rivolto agli
oppositori; il Jova replica l’11 agosto dando le sue ragioni, sventolando
l’appoggio del Wwf e il fatto di aver tutti i permessi e che i ripristini che
farà renderanno addirittura migliori le spiagge oltre al fatto che nei suoi
concerti si fa educazione ambientale. E non si scusa affatto di aver detto
“econazisti” a chi ha sollevato ragionevoli dubbi (in un Paese che ad oggi è
ancora abbastanza democratico).
La questione
rimane quindi grave. Grave perché innanzitutto ci conferma che se in questo
Paese sei famoso, ricco e mobiliti consensi di massa, puoi fare quel che vuoi e
la politica sta a guardare. C’è chi si è fatto un vulcano nella propria villa,
chi se ne costruisce una sul mare e chi organizza i suoi concerti a pagamento
per sé sulle spiagge di tutti e della natura innanzitutto. Quindi la morale è:
se pago, se sono famoso, se sono ricco, posso pretendere e gli altri stiano
muti. Quel che è accaduto fa passare questo messaggio che è dannosissimo per la
cultura ecologica ma anche, attenzione, per quella democratica. Ed è su questo
punto scivoloso che dovrebbero intervenire la politica e i politici mettendoci
la faccia. Ma non mi pare sia accaduto.
Ho scorso i
siti dei principali partiti: nulla di nulla. Non vi sono state repliche
sui media. Nessun appoggio dai politicanti a Mario Tozzi. I neocandidati dei
Verdi, con il loro leader, non hanno neppur cinguettato un tweet.
Insomma, c’è uno che va sulle spiagge di mezza Italia sparando a zero su quelli
che non sono d’accordo e dandogli pure dei nazisti, seppur green, e
nessuno dei big democratici fiata? Evviva. Quale transizione
ecologica ci attende da costoro se nessuno di loro ha il coraggio di metterci
la faccia? Quale cambiamento di modello di sviluppo può mai arrivare da chi sta
zitto davanti a tutto ciò anteponendo il proprio tornaconto elettorale alla
necessità di dichiarare da che parte stare? Un brutto schiaffo anche per i
giovani e la loro educazione. Già perché lo spettacolino loro offerto è quello
di un loro leader pop che schiaccia come formiche, con grande
rispetto per costoro, le ragioni ambientaliste. Hanno imparato che i vincenti
sono quelli che alzano la voce, insultano e sono ricchi e gli altri sono
perdenti: tanto vale stare con i vincenti. E dire che proprio qualche giorno
prima di tutto ciò (8 agosto su la Repubblica), in risposta a un
mega appello di alcuni ecoscienziati, nove sindaci smart si
sono riempiti la bocca dicendo che occorrono politiche coraggiose. Ecco la
spiaggia dove mostrare il vostro coraggio. È qui che serve, ma nessuno ce l’ha
messo. Temo perché non gli convenga o, diranno loro, non gli compete
rifugiandosi dietro la foglia di fico della burocrazia delle competenze che un
attimo prima loro stessi contestavano perché gli lega le mani. Ed è la
convenienza egoista il motore di tutta questa vicenda, uno dei pilastri del
pensiero consumistico che ovviamente è disinteressato ai beni comuni, alla cosa
di tutti, alla natura come bene universale. A cui piace la secessione,
l’autonomia differenziata, la flat tax e cose del genere. Ed è
questo accettare silenziosamente la convenienza come principio su cui poggiare
un progetto di democrazia che dovrebbe ancor più farci andare su tutte le
furie. Si fa quel che conviene in funzione di un profitto personale. Se a uno
conviene star zitto in previsione di un proprio vantaggio politico, sta zitto e
rinuncia a fare il politico. Se uno vuol fare il botto con i concerti e sceglie
di farli “diversi” perché gli conviene, lo fa. E questo virus della convenienza
egoistica che non riconosce limiti né nell’interesse comune né men che meno
nell’interesse ecologico è una patologia grave di questo tempo e non certo un
pilastro di cui andare fieri.
Vengo ora,
pur in breve, alla replica di Jovanotti su La Stampa (11
agosto) perché anche qua ci sono passaggi inaccettabili, oltre a un tono
arrogante e accusatorio (si veda il Ps), che rischiano di passare non solo per
normali ma addirittura per giusti ed ecologici, piegando ovviamente il concetto
di ecologia all’interesse di pochi o svilendolo a una buona azione green. Va da
sé, come ho già detto, che la replica inizia proprio affermando di non volersi
pentire per le affermazioni precedenti.
Concentriamoci
su un paio di “argomenti ecologici” che il Jova usa. A un certo punto, per auto
approvarsi, dice che le spiagge selezionate per i concerti sono quelle “dove le
ruspe ci passano quasi tutte le mattine da maggio a ottobre”, non rendendosi
conto di almeno due cose. La prima è che le ruspe non dovrebbero proprio
passarci sulle spiagge perché danneggiano un ecosistema delicato, torturandolo solo
a fini commerciali e speculativi, quelli degli stabilimenti balneari, peraltro,
spesso inaccessibili alle fasce più deboli (e tema esplosivo per i governi). La
seconda, forse più grave, è che la premessa di un danno o di un uso non
ecologico diviene il lasciapassare incontrovertibile per un ulteriore uso non
ecologico, e questo è il principio di ogni fine delle tutele (peraltro il divo
pop sta dicendo, senza rendersi neppur conto, che i concerti impattano eccome).
Jovanotti sta usando la teoria del vetro rotto a suo vantaggio: laddove tutto è
eccezionalmente bello (lui cita la spiaggia di Budelli) allora lasciamo così,
laddove c’è qualche danno, allora tanto vale aggiungerne altri. Ma è pazzesco.
Bisognerebbe ragionare al contrario: dove la natura è compromessa,
soccorriamola per ripristinare le sue migliore condizioni. E dove sta bene,
eleviamo le tutele affinché non venga in mente a qualcuno di fare cose “pazze”.
Lasciar
correre questo uso e abuso della teoria del vetro rotto da parte di un influencer come
Jova significa poi ritrovarci i suoi effetti altrove e ovunque: se la periferia
è brutta, possiamo farci una discarica; se un campo è abbandonato, possiamo
asfaltarlo; se un bosco è stato danneggiato, possiamo abbatterlo; se un campo è
piccolo, possiamo cementificarlo. Insomma le vittime non meritano più cure ma
ancor più danni. Capite il disastro culturale? Vi è un altro passaggio grave
tra i tanti. Jovanotti chiude poi il suo articolo invitando Tozzi a prendere
una birra al suo concerto. Una specie di fine a taralluci e vino. Così Tozzi si
potrà rendere conto che usano contenitori “compostabili”. Ed ecco un’altra
follia culturale che passa per normale e anzi fa dell’uomo qualunque un eroe
ecologico: basta fare la raccolta differenziata, usare un bicchiere
compostabile e il nostro “dovere” ambientale lo abbiamo fatto, l’assoluzione è
ottenuta. Non solo: la questione culturale si schiaccia di nuovo su un oggetto
che incorpora una prestazione ambientale trasferendo così al suo utilizzatore
una sorta di patente da buon ambientalista. Sappiamo che non è così,
ovviamente. Questa non è che una neo frontiera del consumismo che si veste di
verde e continua a non cambiare il modo di pensare noi stessi sul pianeta.
Ridurre l’ambientalismo al bicchiere compostabile è puro pensiero ecologista
superficiale, direbbe Arne Naess, teorico dell’ecologia profonda.
Non ci
rendiamo conto, e di nuovo mi rivolgo all’inaccettabile silenzio dei politici,
che queste risposte da parte di persone influenti hanno gravissime ricadute sulle
persone e non ci fanno cambiare, ma anzi irrobustiscono la nostra spocchia di
sapiens dominanti che tutto possono fare e hanno diritto di fare in perfetto
stile “pago pretendo”. Penso a quanto degli sforzi immensi dei nostri
insegnanti vengono bruciati dalla risposta di Jovanotti, laddove nelle classi
spiegano con fatica la natura e il suo rispetto, ancor più quando è già
compromessa e degradata. Ma penso, purtroppo, che tutta questa vicenda, oltre a
mettere in mostra la miseria di chi ha un ruolo pubblico e di rappresentanza e
tace, mostra ancora una volta che la nostra cultura ecologica è fragile e basta
poco a spazzarla via. Se nessuno fiata, non rilevando in questa vicenda un
profilo di gravità, forse è proprio perché non abbiamo gli strumenti per riconoscere
a sufficienza cosa è un ecosistema e quali danni si generano deturpandolo.
Pensate che bello sarebbe stato e sarebbe, sentire i leader dei partiti in
lizza per la prossima legislatura dire a gran voce (e riempire una pagina di
giornale) che verranno quintuplicati gli investimenti in cultura, ricerca e
soprattutto in divulgazione ambientale. Ma nessuno dice questo sebbene tutti si
siano accodati a piangere, giustamente, la scomparsa di Piero Angela,
grandissimo divulgatore. Peccato che nessun programma politico preveda uno
straccio di investimento nella divulgazione scientifica (men che meno nella
formazione ecologica di aspiranti politici): probabilmente basta mettere dei
bicchieri compostabili alla Camera e al Senato e fare così di un Parlamento un
ecoParlamento. E vissero tutti felici e contenti: loro, non l’ambiente, non gli
altri.
Paolo Pileri
è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di
Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)
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