Se penso alla guerra fatta da Donald
Trump, Elon Musk e i loro scagnozzi alla vita sulla Terra, ho un terribile
sospetto. Mi chiedo se, oltre a voler consegnare il mondo agli oligarchi e alle
multinazionali, e spremere dai sistemi viventi il massimo profitto
realizzabile, non ci sia un altro obiettivo. Forse vogliono semplicemente
vedere la distruzione del pianeta? Sappiamo che l’obiettivo principale di Trump
è il potere. Sembra non averne mai abbastanza. Dunque, consideriamo il
traguardo estremo del potere: diventare non solo un imperatore, ma l’ultimo
degli imperatori; chiudere il capitolo della civiltà. È ovvio, naturalmente,
che molte delle sue azioni rientrano nel normale saccheggio capitalista.
Nei giorni scorsi Trump ha ordinato la
distruzione delle foreste nazionali e di altri territori protetti a opera
dell’industria del legname, che avverrà sotto la supervisione del Forest
service degli Stati Uniti, a capo del quale oggi siede l’ex vicepresidente di
un’azienda di legname. Tra le conseguenze ci saranno la perdita di specie
selvatiche e di ecosistemi rari e un maggiore rischio d’incendi. Trump ha
giustificato l’ordine con il solito pretesto da dittatore: una presunta
emergenza. Ha usato la stessa scusa per avviare una nuova ondata di progetti
legati ai combustibili fossili. È probabile che questo causerà l’inquinamento
delle aree umide e delle riserve idriche. Alla guida dell’assalto c’è il nuovo
segretario all’energia Chris Wright, ex amministratore delegato di una
compagnia di fracking. Se gli Stati Uniti fossero davvero alle prese con
un’emergenza energetica, il governo dovrebbe accelerare anche sulle energie
rinnovabili. Invece ha congelato gli investimenti nel settore. Inoltre,
potrebbe spingere per un uso più attento dell’energia, invece sta eliminando le
norme sul consumo di carburante dei veicoli. Sembra una ricompensa per
l’industria dei combustibili fossili che ha contribuito a far eleggere Trump.
Altre politiche, però, fanno pensare più a un gioioso vandalismo: i tagli al personale dei parchi nazionali e del Fish and wildlife service, l’agenzia che si occupa di difendere la fauna selvatica degli Stati Uniti, e la sospensione dei finanziamenti internazionali per la conservazione dell’ambiente che non faranno arricchire nessuna lobby. Anzi, l’obiettivo dichiarato da Trump di sbarazzarsi dell’Ente federale per la gestione delle emergenze, che fa le funzioni della protezione civile, potrebbe mettere a rischio i profitti aziendali, soprattutto per assicuratori e fondi d’investimento, aggravando le sofferenze delle persone colpite dalla crisi ambientale. Il presidente ha anche eliminato gli aiuti forniti alle comunità vittima dell’inquinamento.
Allo stesso tempo promuove con entusiasmo
i piani di Musk per mandare gente su Marte, un pianeta dove gli esseri umani
non potrebbero vivere. Questi uomini, che sostengono spudoratamente di dover
tagliare per forza mille miliardi dal bilancio federale altrimenti “l’America
andrà in bancarotta”, sono gli stessi che premono per lanciare un programma da
centinaia di miliardi che non porterà nessun beneficio alla collettività.
Una delle spiegazioni più convincenti che
ho letto della nostra epoca è un saggio di Jay Griffiths intitolato Fire, hatred and speed! (Fuoco, odio e velocità),
pubblicato nel 2017. L’autrice propone un nesso tra i vandali del pianeta di
oggi e i futuristi italiani del novecento. I futuristi, che crearono gran parte
dell’iconografia e dell’ideologia del fascismo, idolatravano le macchine e
fantasticavano sul “trionfo tecnologico dell’umanità sulla natura”. Erano
ossessionati dal volo, attraverso il quale, osserva Griffiths, pensavano di
poter raggiungere la loro condizione ideale. Penso che questa sia una chiave
per capire Elon Musk e la forte presa che ha sull’amministrazione Trump. Quella
offerta da Musk è la fantasia di fuga definitiva: dalla moralità, dalla cura,
dall’amore e dal pianeta stesso. Distruggere il pianeta per poi trascenderlo;
lasciare il proprio marchio indelebile sulla Terra mentre s’impone un trionfale
dominio nei cieli: io credo che questa sia una pulsione profonda e nascosta che
può contribuire a spiegare i programmi di Trump.
Anche se, per qualche sinistro miracolo, i
demolitori del pianeta dovessero riuscire nel loro intento, scoprirebbero
presto che nessun paradiso tecnologico, nessuna stazione spaziale o città
marziana sarà paragonabile a quello che abbiamo.
Questo è l’unico pianeta nell’universo a
cui ci siamo adattati. Cose alle quali non pensiamo quasi mai – la pressione
atmosferica di 1 bar sulla superficie terrestre; la magnetosfera, che insieme
all’atmosfera ci protegge dalle radiazioni cosmiche e dal bombardamento
protonico del Sole; l’ossigeno atmosferico – insieme ai sistemi viventi creano
un luogo che apparirebbe come una meraviglia a chiunque ne fosse allontanato.
Questo è il nostro paradiso, e non può esisterne un altro. ◆ fdl
Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The
Guardian.
Questo articolo è uscito sul numero 1605 di
Internazionale, a pagina 42.
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