lunedì 14 aprile 2025

Il clima di guerra rovina tutto, oggi coraggio è la generosità - Franco Arminio

Non so se c’è un male che è solo dell’Italia, un male che ci è cresciuto dentro in silenzio e ora è qui come un collutorio che passa di bocca in bocca, un filo di saliva che dice di una rabbia, di un rancore senza rimedio. Non è una rabbia confinata in un ceto sociale, in una regione geografica, è un uccello che zoppica in ogni palude e quando vola sparge le sue piume in ogni cielo.

È incredibile che non sia messa a fuoco questa grande scontentezza che si coglie in ogni luogo. C’è nelle facce qualcosa di rigido, come se nessuno si sentisse libero, nessuno sentisse di portare la sua vita dove vuole, ma solo può tenerla sull’orlo di un precipizio portatile che ci segue ovunque andiamo. E se qualche ragazzo si suicida o qualche personaggio famoso che cade in depressione, non sono eventi che bastano a farci interrogare veramente sullo sconforto in cui siamo caduti.

Non credo sia una questione politica. Non credo sinceramente ci sia uno sgomento per le guerre in corso. Anzi, le guerre è come se fossero lo sfondo, il contorno, il cuore della questione è la crisi di ognuno, una crisi che è insieme di scontentezza e solitudine, due baratri che si mettono uno sull’altro e quindi raddoppiano il vuoto da colmare.
Non si può chiedere al governo di fare qualcosa, sono vicende che gli esseri umani devono regolare attraverso il gioco della vita. Non è tanto una questione di successo economico e forse neppure di trovare un amore. Il male di cui sto parlando ha toccato l’osso che nessuno ha mai visto, è come se fosse fuori da ogni diagnostica possibile. Ognuno lo sente e ognuno dovrebbe solo provare a pronunciare onestamente quel che sente. Nessuno può venirci in soccorso se non mettiamo a fuoco che siamo tutti in una condizione di emergenza, come se ci fosse caduta una trave sulla pancia dopo un terremoto a cui nessuno ha fatto caso. E la terra continua a tremare e la nostra vita non si aggiusta, è sempre alle prese con qualche disturbo, qualche malessere più o meno grave.

Non possiamo andare tutti in ospedale, anzi, dovremmo diventare noi stessi luoghi di cura, infermieri della nostra comunità. La trave non possiamo toglierla da sopra la nostra pancia, ma solo dalla pancia degli altri. L’unica cura possibile è curare gli altri. Non è una scelta di bontà, siamo obbligati a essere generosi. Chi non lo ha capito è un attardato e può solo farci perdere tempo coi suoi sofismi. Questo è il momento dei coraggiosi. Non è il tempo di quelli che descrivono la luce ma non la danna. Si dia inizio a una nuova stagione, la stagione di chi crede che alla fine dei nostri giorni ci rimane solo ciò che abbiamo dato.

da qui

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