I ricchi hanno molte cose in comune tra loro. A partire dal fatto che ogni giorno diventano sempre più ricchi e odiano sempre più i poveri. E questo perché i ricchi amano raccontare la storia che sono diventati tali per merito, si sono fatti da soli, hanno sudato per arrivare dove sono. In realtà questa è un’enorme bugia. Perché, come vedremo, la cosa che accumuna la maggior parte dei ricchi è che sono tali grazie alle eredità ricevute. Anche se tendono a negarlo. Altrimenti crollerebbe tutta la narrazione su cui si fonda non solo la loro ricchezza, ma l’intero sistema economico e politico nel quale ci è dato vivere. Lo riconosce perfino il settimanale britannico The Economist, in un articolo paradigmatico fin dal titolo “Come si diventa ricchi nel 2025. Non certo per la carriera, oggi è l’eredità l’unica cosa che conta”.
La crescita
esponenziale del peso delle eredità nella ricchezza
A inizio del
Novecento le eredità valevano circa il 20% del Pil dei Paesi sviluppati, scrive The Economist. Poi la percentuale di è ridotta
drasticamente, grazie allo sviluppo del welfare state che ha
livellato i cosiddetti ascensori sociali. Fino a riemergere prepotente oggi, e
assestarsi di nuovo oltre il 10% del Pil. L’ascesa dell’eredità,
secondo la rivista, è dovuta principalmente a tre fattori: aumento della ricchezza dovuto
a una crescita economica più lenta, decrescita demografica
diffusa e riduzione delle imposte di successione. Ne manca
forse uno, il più importante, ma lo vedremo in seguito.
«Come quota
della produzione nazionale, le eredità annuali francesi sono raddoppiate dagli
anni ’60. Quelle tedesche sono quasi triplicate dagli anni
’70. In Gran Bretagna sono due volte più importanti, in relazione
ai guadagni, per i nati negli anni ’80 rispetto alla generazione precedente. Le
eredità in Italia valgono ora più del 15% del Pil», scrive ancora
The Economist. Altro che merito. Comincia a configurarsi un sistema nel quale
le eredità non sono solo la prima causa della ricchezza dei
soliti noti. Ma anche la prima causa delle disuguaglianze.
Andiamo con ordine, e vediamo a cosa è dovuta questa impennata delle eredità
all’interno dei vari Paesi più sviluppati.
Ai più
ricchi ancor di più
Curioso che
The Economist di dimentichi il primo e più importante fattore per cui la
maggior parte delle ricchezza derivano dalle eredità. Ovvero l’accumulazione
originaria di capitale: il big bang che ha generato il sistema economico
attuale. O forse non è curioso, dato che proprietari della rivista sono al 27%
gli eredi della dinastia di banchieri Rotschild e al 43% gli eredi
della famiglia Agnelli. I quali, a proposito di eredità, hanno diversi
contenziosi aperti in sede giudiziaria con storie dai contorni abbastanza
squallidi. Una volta stabilito da dove arrivi il potere delle eredità,
esaminiamo attraverso i fattori che le conferiscono validità. E che permettono
alla ricchezza di concentrarsi sempre più nelle stesse mani.
Come abbiamo scritto
su Valori, negli
ultimi dieci anni sono aumentati non tanto i miliardari, ma le loro
ricchezze. E dei poco meno di tremila miliardari esistenti oggi al mondo, un
terzo sono ereditieri. Un numero destinato a salire. Come spiega The
Economist: «I tedeschi con più di 65 anni, che costituiscono un quinto della
popolazione, possiedono un terzo della ricchezza del paese. I baby-boomer americani,
anch’essi un quinto della popolazione del loro paese, possiedono metà della sua
ricchezza netta, ovvero 82 trilioni di dollari. Ora i baby-boomer stanno
iniziando a morire, lasciando grandi patrimoni ai loro eredi». E a
questo si aggiunge la decrescita demografica, per cui sempre meno persone
erediteranno sempre di più.
Diminuisce
il potere del reddito, aumenta quello della ricchezza
La questione
baby-boomer ci aiuta a affrontare il più complesso capitolo della ricchezza.
Come detto prima, il calo del potere delle eredità durante il Novecento avviene
grazie al welfare e alle democrazie, per cui nei Paesi sviluppati il reddito diventa
più importante della ricchezza. Ma quei tempi sono finiti.
«La
ricchezza, più ancora del reddito, sta assumendo un ruolo sempre più centrale
nel determinare il benessere delle famiglie. Nelle economie avanzate,
l’importanza della ricchezza è in costante crescita e ciò è influenzato
dall’aumento dell’età media, dall’incertezza economica e lavorativa, e dalla
riduzione della generosità dello stato sociale, inteso come
l’offerta di servizi pubblici e sistemi di protezione sociale», spiega a
Valori Salvatore Morelli, professore di Economia Pubblica a Roma
Tre e membro del coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità.
Anche la
rivista britannica, infatti, citando i lavori di Thomas Piketty e Gabriel
Zucman, accetta il fatto che i Paesi a crescita lenta accumulano
più ricchezza misurata in relazione al reddito nazionale. In questi Paesi le
persone aumentano i risparmi a un ritmo abbastanza costante, ma il Pil aumenta
meno rapidamente. «Negli ultimi anni, a causa della debole crescita sia della
popolazione che della produttività, la crescita del Pil del mondo ricco ha
subito un notevole rallentamento. Secondo i nostri dati, i Paesi a
crescita più rapida, come l’America e l’Irlanda, sembrano essere meno colpiti
dall’ereditarietà rispetto a quelli più lenti, come la Germania e l’Italia».
Le eredità
sono la prima causa delle disuguaglianze
E arriviamo
quindi alla situazione del nostro Paese. «In Italia, secondo i dati della Banca
d’Italia e dell’Istat, il patrimonio netto delle famiglie vale
quasi 10.500 miliardi di euro. Questo corrisponde a circa 175mila euro di
ricchezza per cittadino. Questo patrimonio include immobili,
piccole imprese familiari, risparmi, investimenti e fondi pensione, sottraendo
i debiti. Ma chiaramente, non tutti hanno questa somma e i patrimoni sono
distribuiti in maniera molto iniqua. Il patrimonio medio dei 50mila
adulti più ricchi è infatti vicino ai 15 milioni di euro
mentre la ricchezza pro-capite dei 25 milioni di adulti più poveri si avvicina
ai 7mila euro», ci dice Salvatore Morelli, sui cui lavori si basa
anche la ricerca di The Economist.
Ecco quindi
che le eredità si configurano come vettore di privilegio, per
pochi, e di disuguaglianze, per tutti gli altri. Queste
disuguaglianze si acuiscono sempre più, al giorno d’oggi, anche a causa della
diminuzione delle imposte di successione. «All’inizio del XX secolo, le entrate
derivanti dalle imposte di successione rappresentavano una fetta considerevole
delle entrate fiscali totali in America e Gran Bretagna. Ma
nell’ultima parte del secolo, i politici si sono rivoltati contro le imposte.
Oggi le imposte di successione rappresentano ben meno dell’1%
delle entrate governative nei Paesi ricchi».
In Italia
non va certo meglio, anzi. «Le imposte sulle donazioni e le eredità sono state
persino abolite tra il 2001 e il 2006», dice Morelli a Valori. «Attualmente, i
lasciti ereditari superiori ai 10 milioni di euro generano imposte versate che
valgono solo l’1% di tutto il valore del lascito. Questo onere
fiscale era di 6 volte superiore negli anni ‘90. Tutto ciò ha senza dubbio favorito
la cristallizzazione delle posizioni socio-economiche nel
tempo e ha acuito la profonda crisi generazionale che vive il
nostro Paese».
Imposte di
successione e redistribuzione della ricchezza
«Il boom
delle eredità creerà sempre più disuguaglianze nel mercato
immobiliare, indipendentemente dal fatto che i trasferimenti di ricchezza
vengano effettuati alla morte o durante la vita», scrive il magazine
britannico. «Una ricerca sull’America condotta da Legal & General, una
società di servizi finanziari, suggerisce che se la “Bank of Mum and
Dad” fosse un’azienda, sarebbe tra i dieci maggiori istituti
di credito ipotecario. Il generoso sostegno dei parenti, a sua volta,
aumenta il tasso di proprietà immobiliare tra i giovani di più di un terzo.
Allo stesso tempo, le persone senza benefattori ci rimettono». Sembra quasi di
capire che anche i ricchi si siano accorti, bontà loro, che un sistema
così iniquo è controproducente per tutti. Forse anche per
loro.
«Il Forum Disuguaglianze e Diversità ha proposto molteplici interventi che, riequilibrando
i rapporti di potere nella società, possano assicurare già nella
produzione del reddito un riequilibrio che progressivamente si rifletta
sulla distribuzione della ricchezza: la partecipazione strategica
del lavoro al governo delle imprese; l’indirizzo strategico delle imprese
pubbliche; regolazione della transizione digitale», ci dice Salvatori Morelli,
che poi propone due misure che, accordate tra loro, potrebbero ridurre
l’infausto peso delle eredità nella composizione sociale del
nostro Paese.
«Due
ulteriori interventi fra loro combinati possono intervenire nel decisivo
momento del trasferimento generazionale di ricchezza», spiega Morelli. «Da un
lato, l’istituzione di un trasferimento di risorse a tutti e
tutte le giovani per livellare verso l’alto le basi della ricchezza finanziaria
da cui si parte. Quelle su cui si può contare in una fase cruciale della vita
com’è la transizione verso la vita adulta, quando si fanno delle scelte che
spesso segnano il percorso di vita delle persone. Dall’altro,
il ripensamento della tassazione dei trasferimenti di ricchezza in
chiave progressiva come vuole la nostra Costituzione, che serva anche a
generare buona parte del gettito fiscale per finanziare la
dotazione di ricchezza».
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