(attivista del Coordinamento Gallura contro la speculazione eolica e fotovoltaica)
Stavolta il
solito ritornello “Ce lo chiede l’Europa” può andare a farsi benedire.
L’Europa, infatti, ci chiede l’esatto contrario. Ma noi siamo italiani,
facciamo a modo nostro e i ritornelli li usiamo quando ci conviene. Soprattutto
se si tratta della Sardegna.
Già, la
Sardegna, questa terra un tempo meravigliosa che nel giro di un paio d’anni
probabilmente non esisterà più: l’intento è di trasformarla in un polo
industriale, destinato a produrre energia elettrica da trasportare chissà dove.
Questi sono
i programmi per noi, per il nostro sviluppo. E per salvare la terra
dal cambiamento climatico. Eh sì, perché a quanto pare per salvare la terra è
necessario smettere di coltivarla, togliercela e consegnarla alle
multinazionali. Così il pianeta sarà salvo.
Per capire
cosa sta accadendo dobbiamo partire dall’inizio, dalla cosiddetta Transizione
energetica. Ovvero la necessità sacrosanta, che nessuno contesta, di
smettere di utilizzare combustibili fossili come carbone e metano per la
produzione di energia elettrica e transitare verso “fonti rinnovabili” come il
sole, il vento e l’acqua.
L’Europa si
è proposta di arrivare alla totale decarbonizzazione entro il 2050, passando
per vari step. Il primo step ci attende nel 2030, quando l’Italia dovrà
installare sull’intero suolo nazionale una potenza di 70 Gigawatt per la
produzione da fonti rinnovabili.
Ora, 70
diviso 20 regioni fa 3,5 Gigawatt a testa… Ma siccome noi sardi siamo
notoriamente generosi e avvezzi ad essere colonizzati, la bozza del decreto
nazionale ce ne assegna 6. E questo nonostante produciamo già molta più energia
di quanta ne consumiamo.
Però sta succedendo
una cosa strana: invece di prepararci ai 6 Gigawatt per il 2030, ci ritroviamo
già oggi con quasi 58 Gigawatt pronti da installare. Quasi dieci volte tanto!
Grazie al
famigerato decreto Draghi e a causa di delibere indegne firmate dalla Regione
Sardegna negli ultimi anni, sono arrivate qui come avvoltoi aziende e
multinazionali da ogni parte del mondo, per spartirsi la nostra terra e
piazzarvi i loro impianti colossali.
Si è
stabilito che i due terzi della nostra Isola possano essere sventrati, perforati,
riempiti di cemento, devastati, depredati. I due terzi del nostro suolo possono
essere sottratti all’agricoltura, alle aziende agro-pastorali, alle aziende
turistiche e agrituristiche, ai nostri progetti, al nostro futuro, a noi.
Non per
darci opportunità ma per toglierci ogni opportunità.
Ad oggi le
richieste di allaccio sono 809, ma crescono di giorno in giorno. Se le pratiche
presentate andassero in porto, verrebbero impiantate sulla terraferma 3.000
turbine eoliche alte fino a 240 metri (da sommarsi alle 1.200 già esistenti),
altre 1.300 turbine di 320 metri davanti alle spiagge, visibilissime anche a
decine di km di distanza, e quasi 50 km2 di pannelli solari su
campi e pascoli. A tutto ciò dobbiamo aggiungere le innumerevoli autorizzazioni
già concesse!
Numeri da
far accapponare la pelle. Solo per il foto e agrivoltaico, quasi 50.000 nuovi
ettari verrebbero sottratti alle nostre attività e ai nostri paesaggi per
riempirli di specchi di silicio, che nel giro di due decenni (o ancor prima se
dovesse arrivare qualche grandinata) si trasformerebbero in sconfinate
discariche a cielo aperto. Eppure l’Europa ci raccomanda di evitare ulteriore
consumo di suolo, un bene primario essenziale per contrastare i cambiamenti
climatici.
Su tutto
questo, migliaia di tralicci alti 49 metri con infiniti km di fili sospesi.
Ora
immaginatela, questa immensa landa industriale in cui saremmo costretti a
vivere, con il terribile ronzio che ci accompagnerebbe giorno e notte.
Immaginatevi le migliaia di luci rosse intermittenti che cancellerebbero le
nostre notti stellate… Quelle notti e quel silenzio che fanno della Sardegna
una terra celebrata ovunque, e che noi non avremmo più.
Se tutto ciò
dovesse realizzarsi – e sta già accadendo – la Sardegna sarà irrimediabilmente
sconvolta nei suoi panorami unici, nella biodiversità, nella ricchezza
naturale, storica, archeologica, culturale e identitaria.
A fronte di
quali vantaggi?
Per noi non
è contemplato alcun risparmio in bolletta né, tanto meno, alcuna compensazione
in denaro, ora vietato per legge. Sono previsti solo “interventi di
miglioramento ambientale”.
Cioè?
Di solito il
miglioramento consiste nel ripristino delle strade distrutte per il trasporto
delle enormi pale. Talvolta i progettisti sono più premurosi, arrivando
addirittura a costruire, in cambio dei territori violentati, graziose siepi
oppure altalene e scivoli per bambini. O noccioleti per la produzione di
nutelle. Verremo ripagati anche con “campagne di sensibilizzazione per il
cittadino”, per persuaderlo della bontà degli atti speculativi.
D’altronde
gli europei di un tempo, quando andavano a colonizzare l’America latina, si
conquistavano la fiducia degli indigeni regalando collanine e altre
cianfrusaglie. Il sistema è identico.
Per loro,
invece?
Da 900.000 a
1.200.000 euro all’anno per ogni turbina eolica! Cifre anche maggiori per
quelle in mare.
Oltre al
danno la beffa: una parte di questo milione esce dalle nostre tasche, perché
gli incentivi, magnanimamente concessi dal Governo italiano, vengono prelevati
dalle bollette. In pratica lo Stato prende i nostri soldi e li dona agli
speculatori che sbarcano qui, come la famosa JP Morgan. Non è fantastico?
Tra 25-30
anni questi impianti saranno già arrivati a fine vita, salvo incidenti nel
frattempo. Chi provvederà allo smaltimento?
Certamente
non le ditte installatrici: in molti casi si tratta di aziende con 10.000 euro
di capitale sociale, magari organizzate in un sistema di scatole cinesi, che
falliscono o spariscono presto. Chi subentra non si sente affatto in dovere di
onorare impegni presi da altri. Perciò i rottami sono tutti nostri e dovremo
occuparci noi di smaltirli. Come? Affrontando spese enormi e andando ad inquinare
altri territori.
Ma i terreni
che ospitano gli aerogeneratori non saranno mai più bonificati, perché il
basamento (circa 1.300 metri cubi di calcestruzzo) non può essere eliminato:
verrà lasciato lì, rendendo sterile il terreno in eterno. È questa l’idea
comune di “energia pulita”.
Ecco perché
parliamo di SPECULAZIONE. Loro si prendono la nostra terra e il nostro futuro e
in cambio ci gettano qualche osso, per tenerci buoni.
Spesso,
però, manco quello. Le truffe sono all’ordine del giorno, sia ai danni di
privati che delle Pubbliche Amministrazioni. Sono sempre più numerosi i
proprietari di terreni che si rivolgono agli avvocati, prima di firmare i
contratti di concessione, perché cominciano a rendersi conto che è facilissimo
cadere in trappola.
Se l’affare
non dovesse andare in porto, tuttavia, si può sempre ricorrere agli espropri.
Imprese private che espropriano altre imprese private: ogni infamia è concessa,
in nome della pubblica utilità.
Sono molti
gli amministratori che si oppongono, ricevendone addirittura minacce; altri
invece ricercano il vantaggio personale. L’inerzia della Giunta Solinas, appena
decaduta, ha favorito qualunque tipo di malaffare.
Ci sono
soluzioni al disastro incombente?
Certo:
basterebbe recepire le direttive europee. L’energia necessaria al nostro
sostentamento, e anche in sovrappiù, potrebbe essere prodotta dal fotovoltaico
sui tetti sia pubblici che privati, senza ulteriore consumo di suolo; dallo
sviluppo dell’idroelettrico – che stranamente non viene preso in considerazione
– ed eventualmente dal geotermico di bassa profondità. Si potrebbero potenziare
gli impianti eolici già esistenti, sfruttando le nuove tecnologie ma
rispettando l’estensione e le altezze attuali, senza altro concedere. Redigere
piani energetici locali e concordati con le comunità, che non distruggano
l’economia e il tessuto sociale come invece fanno questi impianti di taglia
industriale. Piani che rispettino il territorio e la nostra dignità.
Sono queste
le soluzioni suggerite dai 14 Comitati che si sono costituiti per difendere la
Sardegna dall’assalto, riunendosi in un Coordinamento regionale. I Comitati
chiedono con urgenza una moratoria, per stoppare almeno momentaneamente i
progetti e avere il tempo di fare scelte migliori, una Legge regionale di recepimento
delle direttive UE, la possibilità di partecipare alla redazione di un piano
energetico regionale.
Si attendono
i primi passi della Giunta Todde, che molto ha promesso in campagna elettorale.
Si è già perso troppo tempo. Intanto gli speculatori avanzano in gran fretta e
con arroganza, favoriti da vent’anni di norme nazionali che facilitano
incredibilmente ogni tipo di autorizzazione, scavalcando le comunità locali.
La nuova
Amministrazione Regionale verrà messa immediatamente alla prova. Alessandra Todde
vorrà e sarà capace di tutelare la sua terra, pur rispettando il fine comune
della transizione energetica? Sarà capace di condurci all’obiettivo senza
barattare la Sardegna?
***
Per contatti: coordinamentogallura.stopeolico@gmail.com
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