Dato che il territorio è il posto su cui tutti,
nessuno escluso, appoggiamo i piedi, tutti nessuno escluso hanno pienamente
diritto ad esprimersi a proposito di organizzazione del territorio, vista la
loro comprovata specifica competenza ed esperienza. Esiste però,
qui come sempre, un certo limite alle legittime espressioni dell’istinto
induttivo: non è detto che quanto mi va bene qui e ora possa andar bene a tutti
gli altri sempre e comunque. Soprattutto considerando che le trasformazioni del
territorio sono per loro natura praticamente irreversibili, nel senso che
restano lì per l’eternità, le appioppiamo non solo ai nostri contemporanei, ma
a tutte le stirpi della discendenza settanta volte sette eccetera. Quindi
andiamoci piano con l’istintiva induzione, mi scappa di fare una cosina e la
lascio lì per sempre su tutto l’universo.
Ma andatelo a spiegare a certa politica dal fiato
corto, sempre trafelata dietro la ricerca di facili consensi e pronta a tutto
pur di aumentarli e orientarli ai fatti propri. In Italia proprio in questi
giorni sono esposte agli occhi di tutti le arrampicate (orgogliose e ostentate
arrampicate) sugli specchi di un presidente di regione a statuto autonomo che
nega l’evidente. Ovvero il disastro di un certo modello di
trasformazioni territoriali di fronte agli eventi naturali, solo per compiacere
una certa sua committenza di interessi, ritenuti legittimi a prescindere perché
dovrebbero (pura fede, e pure un po’ fanatica) contribuire ad arricchire tutti.
Preso dalla foga inciampa anche sul generale e sul
particolare, mettendo ben in luce almeno un aspetto: delle cose che dice non
glie ne frega niente, i suoi obiettivi sono altri, e nemmeno tanto nascosti.
Sono quelli della fede cieca di cui sopra: l’ambiente serve a far quattrini da
spendere in consumi voluttuari, se no che ci sta a fare? Il resto è poesia
infantile…
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