martedì 27 dicembre 2022

Haiti: saggezza dalla giungla - Marilyn Langlois

 

Mentre veniamo inondati da resoconti di varia credibilità sulla guerra istigata da USA/NATO contro la Russia che si sta combattendo in Ucraina, e che provoca giustificabili torcimenti di mani per le vane perdite di vite, la minaccia di un Armageddon nucleare e insperati sempre crescenti profitti ai fabbricanti di armi, faremmo bene a badare un po’ più a Haiti, base primaria di resistenza contro il colonialismo e l’eccezionalismo occidentali.

Giusto un fugace guizzo sul radar dei mass media, ci capita di vedere brevi rapporti di agitazioni a Haiti che travisano la vera portata e natura dell’attuale insurrezione. La popolazione di Haiti è scesa in strada in moltitudine crescente, esigendo il rispetto dei propri diritti umani e democrazia, nonché la fine della corruzione e del saccheggio di risorse pubbliche. Nonché la fine dell’occupazione USA/ONU e del regime di destra del Partito Tét Kale Haitian (PHTK) capeggiato da Ariel Henry.

Chiede invece un governo transitorio di salute pubblica (Sali Piblik) per creare le fondamenta per elezioni libere ed eque, e il ritorno a norme democratiche. Esigono la fine del terrore inflitto dalla Polizia Nazionale Haitiana e dai paramilitari, ivi compreso lo squadrone della morte G-9 agli ordini dell’ex-ufficiale di polizia Jimmy Cherizier, che coopera col regime del PHTK. Vogliono la fine della proliferazione di rapimenti, stupri, uccisioni poliziesche e massacri per tutto il paese, come l’orripilante massacro di Lasalin.

 

Tipicamente, gli USA, che hanno sostenuto Henry e fornito armi alle gang violente, adesso propongono una reazione cinica al caos che hanno scatenato: che i piromani cerchino di spegnere l’incendio mandandoci altri militari stranieri a reprimere la protesta e mantenere sotto controllo gli haitiani, mossa enfaticamente respinta dagli stessi.

Riferendoci alla crisi in Ucraina, il capo della politica estera UE Josep Borrell ha recentemente mostrato i veri colori dell’Occidente, esponendo con arroganza la posizione privilegiata dell’Europa come ‘un giardino di democrazia liberale, di buone prospettive economiche e di solidarietà sociale’ circondato da ‘la giungla’. Beh, benvenuta al club, Russia. Ora fai parte de ‘la giungla’ anche tu, una designazione condiscendente — con altri nomignoli volgari scelti con cura — che i leader occidentali hanno affibbiato a Haiti fin dal suo inizio.

Haiti non è un paese povero; è un paese derubato. La gente di Haiti e le sue preziose risorse naturali sono state sfruttate nei 500 anni scorsi con gli effetti di schiavitù, razzismo, colonialismo, imperialismo, isteria anti-comunista, militarismo, cleptocrazia, globalizzazione aziendale e libero scambio imposti dalle potenze occidentali. Se vi siete mai meravigliati dello splendore di Parigi con i suoi magnifici palazzi, monumenti imponenti e grandi viali, richiamate alla mente che tutto ciò è stato finanziato col sangue, sudore e lacrime di gente schiavizzata al lavoro nei campi di canna da zucchero di Saint Domingue (ora Haiti), in un capitolo precoce del commercio globale delle spezie, essendone quella di eccellenza a quel tempo lo zucchero, in precedenza raro.

L’atteggiamento insofferente degli schiavizzati e la loro determinazione ad asserire la propria dignità condusse  alla Rivoluzione Haitiana del 1791-1804 culminante nell’istituzione della prima repubblica libera dell’emisfero occidentale. Ebbero immediatamente il sopravvento estorsione, cooptamento e sabotagggio da parte delle potenze occidentali, che frustrarono il completamento della visione rivoluzionaria, ma gli haitiani non hanno mai cessato di tenere d’occhio il premio agognato.

Nel 1915, col crescere del movimento di rigetto del giogo di élite corrotte col patrocinio occidentale, Woodrow Wilson inviò i marines USA per sedare le masse in agitazione per i propri diritti. I militari USA occuparono Haiti per 19 anni, assumendo pieno controllo dell’erario nazionale, riscrivendo le costituzione, istituendo un esercito per reprimere il popolo, ed istituendo nuovamente la schiavitù sotto forma di lavoro forzato per costruire strade, al servizio degli interessi militari e commerciali. Durante la “fifa rossa” [l’isteria anticomunista maccarthista – ndt] della metà del 20° scolo, gli USA ricompensarono magnanimamente gli spietati dittatori Duvalier per il loro tenere a bada “il comunismo”.

 

La fioritura più recente dell’autodeterminazione a Haiti fu in seguito all’emergere del movimento Lavalas nei tardi anni 1980. Per parecchi anni fra il 1990 e il 2004 (interrotti dal violento colpo di stato del 1991 sostenuto dalla CIA e relativa truce repressione), gli haitiani sotto la guida Lavalas fecero notevoli progressi nel sollevare le condizioni dei poveri  riguardo a istruzione, sanità, livello salariale, diritti infantili, status femminile, infrastrutture, giustizia e diritti umani, democrazia politica, libertà religiosa, contrasto a traffico di droga e corruzione, e rapporti internazionali. Tutto ciò con un’incessante guerra economica degli USA, che cercavano di riguadagnare il controllo della forza lavoro e delle risorse naturali di Haiti.

Aggiungendo al danno la beffa, appena gli haitiani avevano celebrato con partecipazione senza precedent il bicentenario dell’indipendenza il 1 gennaio 2004—avvenimento di capitale importanza per tutti gli amanti della libertà, scandalosamente ignorato da quasi tutti i media negli USA — USA, Francia e Canada cospirarono per attuare un colpo di stato il 29 febbraio 2004, col rapimento del presidente Aristide e sbarcando i marines USA, successivamente sostituiti da forze multinazionali ONU; con una brusca frenata sull’ulteriore attuazione della politica Lavalas d’inclusione, partecipazione e trasparenza.

Il presidente Aristide aveva sovente affermato con enfasi che il problema era/è l’esclusione e la soluzione l’inclusione, dove ognuno ha un posto a tavola, che smuove la gente dalla miseria alla povertà dignitosa e oltre.

Il regime insediato dagli USA rigettò molta parte della popolazione nella miseria e represse violentemente il partito Fanmi Lavalas, come annotato nella sua recente dichiarazione:

“…dal rapimento/ colpo di stato del 29 febbraio 2004, l’occupazione del paese ha causato altra corruzione, altri massacri nei quartieri popolari / della classe lavoratrice, più impunità, più fame, più miseria, più attori nel settore economico alleatisi con bande che aumentano le sepolture quotidiane. Sono stati spesi molti miliardi di dollari per l’occupazione [militare], e per che cosa? La situazione ha continuato a peggiorare, come possiamo tutti testimoniare. Questa calamità è il risultato del colpo di stato del 2004…”

Eppure la resistenza del popolo haitiano allo sfruttamento continua, coe visto nelle mobilitazioni crescenti.   La dichiarazione del Lavalas prosegue asserendo:

“la soluzione per Haiti è nelle mani dei haitiani…è giunto il tempo di trovare insieme come fermare la macchina dell’insicurezza che sta spargendo morte ovunque nel paese. Sì, non è troppo tardi. Il futuro di Haiti è nelle nostre mani, Popolo Haitiao. Insieme, salvaguardiamo la nostra dignità”.

Per i non-haitiani che chiedono: che cosa posso fare per aiutare?  Se vivete nella UE, in Canada o USA (come me), educate i vostri compatrioti e ditelo ai vostri capi in termini decisi.

Smettete di vedervi più illuminati, più democratici, più capaci di risolvere i problemi, più meritevoli di comodità materiali che la gente di Haiti. Liberatevi della vostra coazione a controllare altri fingendo di “salvarli”. Fatela finite con l’immischiarvi a livello economico, politico e militare a Haiti e altrove. Non in mio nome e non con le mie tasse. Accettate di non poter sempre dire agli altri che cosa fare e abituatevi a rispettare le altre nazioni e a interagire con loro in modo collaborativo.

 

Se vivete in altre parti del mondo (altrimenti dette ‘la giungla’), dite ai vostri capi di respingere la pressione USA ad inviare soldati a Haiti, [pur] in veste di peacekeeper con fucile ed elmo blu.

Gli haitiani hanno bisogno che gli si garantisca l’opportunità di una piena partecipazione nel plasmare il proprio futuro. Haiti respinge l’assistenza delle armi e non ha bisogno del “dono” di prestiti che creano debito oneroso. Non ha bisogno che le venga detto che cosa piantare o a chi fornire manodopera sfruttata, o a chi si debbano travasare le sue vaste risorse naturali. I bambini haitiani meritano di essere nutriti e accuditi, non resi orfani e privi di tutto, maturi per venire trafficati. Haiti non dev’essere costretta a lottare per le briciole al tavolo del banchetto mondiale. Tale ingiustizia è già durata troppo.

Nelle mie varie visite a Haiti dopo il colpo di stato del 2004, ho visto gli haitiani associarsi per risolvere problemi nelle spire della vita quotidiana. Ho assistito al loro impegno per i veri valori della democrazia. Il popolo haitiano ha conquistato la propria libertà 200 anni fa, e insiste nel voler plasmare il proprio futuro. Ormai è tempo che le istituzioni globali si facciano da parte lasciando che Haiti si goda la libertà per cui il suo popolo ha combattuto, è morto e ha sofferto tanto. Mi sono sentita mortificata ad interagire con tante persone con una determinazione ancora ben viva; che rifiutano di lasciar perdere il proprio sogno e la visione di una Haiti in cui siano soddisfatti i bisogni elementari di ognuno e dove lo spirito umano possa prosperare.

Come fin troppo chiaro, il ladrocinio e l’arroganza occidentali non sono diretti solo a Haiti. Basta sostituire haitiani nei paragrafi precedenti russi etnici nel Donbass, palestinesi, etiopi, eritrei, congolesi, yemeniti, siriani, cubani, etc., e unire i puntini. Dobbiamo stare con la gran massa della famiglia umana sul lato a valle [della giostra globale] nel correggere a modo i loro avidi parenti.

da qui

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