(intervista di Fabrizio Maffioletti)
Abbiamo affrontato con Vittorio Agnoletto alcuni temi che attengono alla salute pubblica
La situazione della sanità pubblica è costantemente denunciata dai
sindacati dei sanitari: c’è una volontà politica di smantellare la sanità
pubblica?
Sì, certo, la volontà è di smantellare totalmente la sanità pubblica,
perché in ambito sanitario, dal punto di vista dei privati, è possibile creare
un’enorme business e trarne grandissimi profitti. A tal proposito ricordo che
WikiLeaks rese pubblico parte del contenuto di un incontro riservato avvenuto
nell’ambito del TISA (Trade in Services Agreement – Accordo sugli scambi di servizi,
n.d.r.), dove i rappresentanti dei fondi finanziari dicevano che la sanità è
l’ambito che può produrre maggiori profitti a vantaggio degli investimenti
privati, a patto che gli Stati, gli Enti religiosi e le Fondazioni si ritirino
dalla gestione della sanità.
La nostra sanità pubblica viene costantemente smantellata a favore di interessi
privati.
Quali sono gli effetti dell’intervento del privato nella sanità?
Nella sanità il privato interviene ovviamente con l’obiettivo di ottenere
dei profitti. Il profitto in sanità si ottiene sui malati e sulle malattie. Il
privato quindi non è interessato alla prevenzione, che anzi diventa antagonista
ai propri scopi. Un’efficace prevenzione diminuisce il numero di malati e
quindi i profitti. Per la sanità pubblica invece la prevenzione è una fonte di
risparmio di denaro pubblico.
In sanità pubblico e privato hanno quindi obiettivi e interessi completamente
diversi.
Durante la pandemia la sanità privata non è stata in grado di far fronte ai
bisogni sanitari dettati dalla pandemia, il SSN, seppur con grande fatica, lo
ha fatto. Non siamo imparando nulla da questa esperienza?
Purtroppo non stiamo imparando proprio nulla. Faccio l’esempio della
Lombardia perché in quella regione il sistema liberista è più avanti nella
privatizzazione della sanità rispetto a tutta l’Italia. Il rischio vero,
quindi, è che il modello Lombardia diventi il modello italiano. Se la Lombardia
fosse una Nazione indipendente (come voleva Bossi) sarebbe al settimo posto a
livello mondiale per decessi da Covid, con oltre 440 decessi attribuiti al
Covid ogni 100.000 abitanti.
I problemi sono principalmente due:
– la sanità pubblica (è un dato anche su scala nazionale) è fortemente
penalizzata a causa dell’accreditamento dei privati, che, oltre a non
intervenire nella prevenzione, non sono interessati alla medicina di
emergenza-urgenza perché produce profitti limitati rispetto ad altri settori
della sanità;
– siamo soggetti ad una concezione della medicina incentrata esclusivamente
sulla cura del malato. L’approccio dovrebbe al contrario essere quello di
tenere le persone in salute, prevenire le malattie. Inoltre, l’approccio
sanitario è sempre più orientato alla cura attraverso l’utilizzo di strumenti
altissima tecnologia destinati ad un numero limitato di interventi, mentre
l’insieme del servizio sanitario è del tutto trascurato.
Senza dimenticarsi che nessun Paese al mondo può fermare una pandemia puntando
esclusivamente sul sistema ospedaliero. La pandemia si ferma mediante la
medicina territoriale, che è stata abbandonata. I medici di famiglia sono
abbandonati a sé stessi e sono in numero del tutto insufficiente. Solo in
Lombardia mancano circa 1.000 medici di famiglia.
Come si affronta una pandemia?
Con i piani pandemici, con i sistemi di allertamento, con l’assistenza
domiciliare, con la prevenzione. Tutto ciò non ha funzionato nella pandemia, le
persone quindi si sono riversate nei pronto soccorsi, che di conseguenza sono
collassati, i posti letto sono venuti a mancare e ci siamo trovati nel
disastro. Nel 1981 c’erano 430.000 posti letto nel SSN, nel febbraio del 2020,
periodo d’inizio della pandemia, ce n’erano poco meno della metà. Una
situazione gravissima.
Si è molto battuto per la sospensione dei brevetti dei vaccini per il
Covid. Si sta inoltre battendo per una produzione farmaceutica da parte di enti
pubblici. Il vaccino è un valido strumento di prevenzione contro le pandemie?
Negli ultimi 40 anni I tempi di distanza tra una pandemia e l’altra sono
diminuiti. Una pandemia, oltre alla prevenzione e alla medicina territoriale,
se si riesce ad individuare velocemente l’agente infettivo e a produrre il
vaccino, si affronta con i vaccini. Ciò che in medicina chiamiamo vaccino è un
farmaco che blocca la trasmissione dell’agente infettivo. Il problema più
grande è che oltre sette miliardi di persone hanno la loro salute affidata ad
un gruppo ristrettissimo di consigli di amministrazione di grandi
multinazionali farmaceutiche. I quali grazie agli accordi TRIPS mantengono il monopolio nella produzione dei
vaccini e dei farmaci per 20 anni. Tale situazione ha condizionato questa
pandemia, la pandemia da HIV ed è quello che rischia di ripetersi nel futuro.
Cosa si può fare per risolvere questo stato di cose?
Nell’immediato noi abbiamo appoggiato la proposta avanzata da India,
Sudafrica e appoggiata da oltre 100 Paesi, di far scattare una moratoria di tre
anni per i brevetti sui vaccini, sui kit diagnostici e di socializzare il know
how. Proposta che non è stata approvata in particolare a causa dell’opposizione
dell’Unione Europea appoggiata soprattutto da tre Governi: Germania, Francia e
Italia. Questa situazione non riguarda solo i vaccini, ma anche i farmaci
antiretrovirali. Per quanto riguarda il futuro sosteniamo la necessità di
un’Agenzia europea pubblica di ricerca e produzione dei farmaci (anche i
vaccini quindi, n.d.r.). Il Parlamento Europeo ha finanziato una ricerca
coordinata dal Prof. Massimo Florio per valutare la fattibilità economica di tale
progetto.
La prima fase della ricerca è stata conclusa a settembre, è stata presentata
davanti a Commissione, Consiglio e Parlamento europei. La tesi si basa su un
principio molto semplice: se si destinasse la stessa cifra stanziata
annualmente per l’ESA, in pochi anni saremmo
in grado di avere un’Agenzia pubblica del farmaco europea in grado di produrre
ogni anno alcune decine di farmaci nuovi. Un progetto fattibile e prioritario.
Qual è il ruolo delle startup nella ricerca farmacologica?
La ricerca per i nuovi farmaci, quella biologica, quella di prima fase, è
ad oggi raramente condotta dalle grandi aziende. E’ in genere condotta dalle
startup che lavorano mediante finanziamenti pubblici. Le grandi aziende
intervengono poi con l’acquisto del brevetto, lo sviluppano e lo commerciano
forti della loro struttura. Il progetto dell’Agenzia pubblica si può collocare
in questo scenario in continuità con l’attività di ricerca – già pubblicamente
finanziata – delle startup. Il problema nella realizzazione di questo progetto
risiede nei Governi europei.
Un Ente pubblico con queste prerogative esiste a Cuba, l’Istituto Finlay ha
peraltro sviluppato un vaccino per adulti, un vaccino pediatrico e un booster,
per combattere la pandemia.
Cuba è una società diversa dalla nostra, ma è di tutta evidenza che il
progetto dell’Agenzia pubblica europea è assolutamente fattibile. Cuba è
peraltro l’unico Paese ad aver sviluppato e prodotto un vaccino pediatrico
specifico, sviluppato fin dalla fase iniziale come vaccino destinato ai
bambini. Non ha utilizzato un vaccino per adulti tentando di adattarlo per
ricavarne un vaccino pediatrico. Lo sviluppo di un vaccino pediatrico specifico
risponde pienamente alle linee guida dell’EMA. Quindi Cuba da questo punto di vista rappresenta un esempio. Lavorando in
questo modo si può risparmiare moltissimo, il prezzo dei vaccini, che gli Stati
acquistano, sarebbe notevolmente più basso.
Vaccinare è quindi utile?
Posto che, come affermato poc’anzi, in medicina chiamiamo vaccini i farmaci
che bloccano la trasmissione dell’agente infettivo da un soggetto ad un altro,
vaccinare significa mettere in sicurezza il servizio sanitario, perché non
vengono messi in crisi i reparti di medicina di emergenza-urgenza e i reparti
di cura. Vaccinare significa anche ridurre il numero di persone che
s’infettano, ridurre il numero di persone che si ammalano, ridurre, tra
l’altro, il numero di persone che a causa del contagio non possono andare a
lavorare. Il vaccino ha quindi un impatto positivo sull’insieme della società.
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