Molto spesso gli esseri umani agiscono non per il bene dei singoli animali, ma per assicurare che le specie vivano il più possibile. Con il suo Ted Talk, Ryuji Chua ci invita a cambiare prospettiva.
Attivista per i diritti degli animali, Ryuji Chua è un
filmmaker ed educatore cresciuto in Francia che oggi dedica la sua vita a
cercare di cambiare il modo in cui gli esseri umani vedono gli animali. Nel suo
Ted Talk Animals
and the climate crisis: a missing perspective, Chua si focalizza
sulla sofferenza che i singoli animali —
individui e non cose o gruppi — provano anche a causa della
crisi climatica, ma con uno sguardo nuovo e inconsueto. Perché anche loro,
proprio come noi, hanno la capacità di soffrire: numerosi studi etologici lo
hanno dimostrato.
Per molti non suona di certo come una novità il fatto che a patire
maggiormente la crisi climatica siano i più vulnerabili. E nel caso degli
animali, quando parliamo di crisi climatica, spiega, invece di focalizzarci
sugli animali, menzioniamo termini come “estinzione delle specie”, “biodiversità”, “ecosistemi”,
dimenticando che non sempre aiutare queste categorie significa far vivere
meglio i singoli individui. In altre parole, garantire la sopravvivenza di
una o più specie, non significa assicurare il benessere di chi ne fa parte.
Perciò l’autore passa a chiedersi: è sempre vero che se una specie prospera (è
numerosa) è un fatto positivo, mentre se si sta estinguendo è negativo? Forse
no.
L’esempio dei polli negli allevamenti
intensivi
Se la specie è ciò che ci interessa, allora i polli sono la specie di
uccello la cui sopravvivenza è la più “tutelata” della storia.
Questo perché questi animali sono 10 volte più numerosi della
specie umana: abbiamo edifici per tenerli al caldo e
difenderli dai predatori mentre crescono, stabilimenti dove le loro uova
possono schiudersi al sicuro, mezzi di trasporto per portarli
da un edificio all’altro. I polli, aggiunge, hanno visto gli uomini collaborare
su scala mondiale, spendendo miliardi di dollari e creando
un’industria che in essenza è lì per permettere loro di sopravvivere. Questo,
in termini di specie, è estremamente vantaggioso, ma dal punto di vista dei
singoli polli è disastroso.
La maggior parte di loro vive in enormi allevamenti intensivi dove
sono geneticamente selezionati in modo da raggiungere la taglia di un esemplare
adulto in pochissime settimane. Questo comporta problemi muscolari e
scheletrici molto gravi che li obbliga a una vita di sofferenze: a
molti di loro non è concesso camminare, stare in piedi, nutrirsi o bere. E come
se non bastasse, a conclusione di questo breve periodo di tempo fatto di
sofferenza, il loro destino è essere macellati e mangiati.
Alla luce di questo, Chua arriva ad affermare che probabilmente questi
animali starebbero meglio se fossero estinti. A che cosa serve
assicurare la sopravvivenza di una specie virtualmente per l’eternità, si
chiede, se questo è a spese degli individui che vivranno una vita
miserevole? Gli ecosistemi sono concetti astratti che servono all’essere
umano per spiegare il mondo: non hanno, a differenza degli animali, una
coscienza né la capacità di soffrire. Quindi, se proteggere le specie ci aiuta
a migliorare la vita dei singoli animali allora dovremmo impegnarci a farlo,
altrimenti dovremmo lasciare andare.
Specie “belle” e specie dimenticate
Un esempio che può aiutarci a illustrare questo concetto è la storia
di Marius, una giraffa, che viveva nello zoo di
Copenhagen e che nel 2014 è stata soppressa perché i
suoi geni non erano adatti al programma di riproduzione in cattività dello zoo.
L’obiettivo del programma è che gli animali vivano in cattività il più a lungo
possibile e Marius, in questo, non era d’aiuto: non poteva dare un contributo
alla propria specie.
Secondo questa mentalità, è un peccato se i koala muoiono
negli incendi in Australia o se un orso polare muore
di fame nell’Artico solo perché sono una specie in via di
estinzione e non perché ognuno di loro ha sofferto. Alcuni di questi animali sono
fortunati, perché abbiamo deciso che sono più belli degli altri e
quindi diamo loro più attenzione, ma ce ne sono alcuni che invece non sono così
fortunati, e che nonostante soffrano immensamente sono spesso dimenticati.
Un esempio? I pesci. Ci accorgiamo della personalità dei nostri
animali domestici, ma non di quelli che siamo abituati a vedere come cibo o fauna.
Eppure anche i polli, i maiali, le mucche e i pesci hanno una loro
personalità. Semplicemente non ce ne accorgiamo perché non li
vediamo.
Deve importarci a prescindere
La crisi climatica è un problema perché causa la sofferenza di
miliardi di individui, che siano esseri umani, tartarughe o pesci, polli o
giraffe, e la loro sofferenza è importante per loro stessi. Questa dovrebbe
essere una ragione sufficiente perché a noi importi di
loro.
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