Osservando ciò che sta accadendo su Twitter in
versione Elon Musk, ricordo che era l’inizio degli anni Novanta
quando all’università Sapienza di Roma – mi sono laureato in Scienze
dell’informazione, ovvero informatica – uno di noi fece a
un professore di quelli più affabili e inclini a metter via il programma per
affrontare questioni inaspettate la seguente domanda: “Cos’è davvero
internet?”
“Internet siamo noi”, rispose il docente, come se fosse la cosa più
semplice del mondo. E lo è, se ci pensate. L’idea è elementare, facilmente
comprensibile anche da un bambino: una rete i cui segmenti uniscono tra
loro dei puntini, i quali a loro volta corrispondono ai partecipanti di questo
incontro globale. In una parola, noi.
Rimasi subito folgorato da quest’invenzione come molti all’epoca. Una
vera rivoluzione quella di rendere accessibile sempre più
ovunque uno strumento attraverso il quale poter entrare in contatto con
estrema rapidità con chiunque nel mondo desideri altrettanto. Il tutto –
questo e solo questo è il nucleo fondante dell’aspetto rivoluzionario della
cosa – in modo perfettamente orizzontale, togliendo di mezzo il
medium o mass media di turno.
Io mi connetto con te che ti connetti con lei che a sua volta si connette
con loro a prescindere da dove ci troviamo nel mondo e in tempo reale.
Le potenzialità di tale innovazione furono quasi subito evidenti. Prima tra
tutte, la straordinaria possibilità di condivisione dei saperi e di
ogni tipo di informazione tra i partecipanti, termine che ho sempre
preferito a utenti.
Utenti, ovvero meri utilizzatori, mi fa pensare a ciò che eravamo prima. Come
nella sigla della famiglia Simpson, condannati a finire ogni sera con
l’abbeverarci alla fonte primaria nazional popolare della televisione. Il
didietro sul divano e in mano il telecomando, con l’illusione
del controllo, mentre come spiega in modo brillante il protagonista del film Quinto potere (titolo originale assai più
appropriato Network, ovvero rete televisiva), interpretato da uno
straordinario Peter Finch, l’unica concreta chance di affermazione della
propria libertà di pensiero consisteva nello spegnimento
dell’apparecchio.
Ulteriore momento universitario memorabile fu quando un altro prof si scaldò
più del solito con un gruppo di studenti a suo dire eccessivamente pigri. Non
ricordo le parole esatte, ma il senso fu più o meno questo: “Il computer non
è la televisione – così come smartphone e tablet, aggiungo io – e
usarlo allo stesso modo, ovvero limitandoci a cliccare un tasto – ovvero
a far scorrere immagini e video -, è come salire su un
aeroplano e invece di volare guidarlo a terra come si farebbe con un auto o una
bicicletta.”
Ecco perché preferisco a mio modesto parere il termine partecipante rispetto
a utente. PC, cellulari e tablet non sono solo dei monitor più
o meno grandi ma hanno degli strumenti di input come la
tastiera, la camera o il microfono per condividere a nostra volta
informazioni, il che vuol dire pensieri, idee, opinioni e quant’altro,
auspicabilmente originali e sincere. Ma non si può pretendere nulla, giacché
come detto internet siamo noi. E noi siamo l’umanità,
ecco, non è che sia mai stato un gran biglietto da visita, né ora e tanto meno
prima dell’avvento del World Wide Web. Quest’ultimo in particolare
si deve all’ulteriore invenzione di Tim Berners-Lee e rappresenta
il sistema attraverso il quale oggigiorno siamo in grado di navigare
nella rete tra un sito e l’altro.
Rammento i primi anni di internet e non posso fare a meno di
confrontarli con ciò che è diventato nel tempo sino a oggi.
Agli inizi, chi c’era o gliel’hanno raccontato se lo ricorda, il web era assai
più simile all’idea iniziale. Noi collegati tra noi, punto.
Chiunque e ovunque. I primi tempi sono stati eccezionali perché come in ogni
esordio vi era un gran fermento di idee nuove e molte di esse coerenti con
l’intuizione primigenia: we the people – per usare
un’espressione cara agli statunitensi – noi la gente in grado finalmente di
mettere le informazioni dell’uno al servizio della collettività.
In parte, nonostante tutto, internet è ancora questo, ma con
l’aumento del numero dei connessi è accaduto l’inevitabile. Sarebbe stato
incredibilmente ingenuo pensare che coloro i quali vedono il prossimo
soltanto come mucche da mungere o greggi di pecore da controllare e guidare a
piacimento sarebbero rimasti a guardare.
Quando ricordo il giorno in cui il mio prof disse che internet siamo
noi, mi rammento anche che tra noi altri ci sono pure loro. In questo noi ci
sono gli stessi grandi media affetti dal delirio di onnipotenza e le
schizofreniche multinazionali che gestivano in modo folle e sconsiderato le
politiche e l’economia delle reti televisive.
In questo noi ci siamo tutti, ormai, tranne i presunti
piccoli del mondo, i quali erano fuori della porta prima e lo sono ancora
adesso, anche se per quanto riguarda il web attuale non sono più così convinto
che sia un male per loro.
Per tornare al punto di partenza, in questo “noi” ci sono tanti cittadini medi,
ma ci sono anche i miliardari, gli uomini di potere quasi
illimitato, le persone abituate a comandare e soprattutto
a farsi obbedire, gli individui ossessionati dal culto di
se stessi e dall’illusione di poter piacere a tutti. Un tempo gestivano
i giornali, quindi le reti televisive e oggi
i social network, come semplici investitori o
addirittura proprietari.
Non sono cambiati affatto e il modo grossolano, patetico e puerile con cui
pretendono di amministrare tutto e tutti in accordo ai loro gusti e
interessi è sempre lo stesso. Ma noi, la gente, we the
people, dovremmo dimostrare di aver imparato la vecchia lezione dei prof o
delle persone comuni che ci hanno preceduto. Ed essa ci dice che sono
loro ad aver bisogno di noi, giammai il contrario.
È sufficiente prendere il telecomando e spegnere, chiudere il dispositivo o il
modem, staccare la corrente, o addirittura cancellare l’iscrizione, se
preferite.
Lo dico per esperienza personale. Un secondo dopo internet sarà ancora lì
attorno a noi. Perché a dirla tutta, una rete in grado di metterci in
relazione gli uni con gli altri esisteva già. Eravamo noi e
bastava alzarsi una buona volta dal divano di cui sopra per scendere in
piazza e scambiare idee ed emozioni faccia a faccia.
Non ci serve un altro miliardario megalomane che ci aiuti a farlo.
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