Ci sono
voluti quattordici anni, ma infine giovedì 21 aprile 2022 è stato inaugurato a
Taranto il primo impianto eolico off shore realizzato nel Mediterraneo.
Comprende dieci aerogeneratori (gli ultimi due per la verità ancora da
completare): un impianto relativamente piccolo, 30 megawatt di potenza
nominale. È un segnale importante, nei pressi di una città più nota per le sue
acciaierie fonte di inquinamento, crisi sanitaria e infiniti conflitti.
E però è
anche un caso emblematico del lento sviluppo delle energie rinnovabili in
Italia, ostacolato da lungaggini procedurali, opposizioni e ricorsi. Eppure, il
ministero della transizione ecologica annuncia che il prossimo Piano nazionale
energetico (Pniec) prevede di installare in Italia 114 gigawatt di capacità
produttiva da fonti rinnovabili al 2030 (contro i 56 GW al 2020) e un taglio
delle emissioni di gas serra del 51% rispetto al 1990. Per farlo, bisognerà
realizzare impianti per altri 58 gigawatt di potenza, cioè 6,3 gigawatt
all’anno per i prossimi nove anni. Insomma, bisognerà accelerare. Anche per
questo, bisogna sperare che l’impianto di Taranto sia il preludio a una svolta.
Ho visitato
Taranto durante la costruzione dell’impianto eolico: il reportage completo è
uscito su L’Essenziale il 26 marzo 2022, sotto il titolo:
“L’energia del vento che arriva dal mare”, con le foto di Piero Percoco.
Le prime
pale eoliche piantate nella rada di Taranto si notano appena, seminascoste dalle gigantesche
gru di un molo per container. Bisogna avvicinarsi per capire le dimensioni di
quelle torri d’acciaio bianco contro il blu del mare.
Siamo al
limite estremo del porto, nella rada esterna, sul molo chiamato
“polisettoriale” in concessione alla società turca di logistica e container
Yilport. Le prime torri eoliche sono ormai in posizione, prossime alla costa;
le altre sorgeranno a ridosso della diga foranea che protegge il molo, a due
chilometri e mezzo dalla costa: dieci torri eoliche in tutto. “Dobbiamo
sfruttare le finestre di bel tempo e di alta marea”, spiega l’ingegner Paolo
Sammartino, direttore operativo di Renexia, la società che sta costruendo
l’impianto: “Contiamo di terminare entro marzo”.
Quello di
Taranto è il primo parco eolico off shore che arriva a realizzazione
in Italia, anzi in tutto il Mediterraneo. È un impianto relativamente piccolo,
30 megawatt di potenza nominale. Nei pressi di una città più nota per le sue
acciaierie fonte di inquinamento, crisi sanitaria e infiniti conflitti, molti
ci vedono un simbolico contrappasso: qui si produrrà energia elettrica “pulita”
sfruttando il vento, un’alternativa ai combustibili fossili.
È anche un
segnale importante, in tempi di crisi energetica, guerra in Ucraina, ritorsioni
sulle forniture di gas metano dalla Russia. Molti osservano che se l’Italia
avesse investito in modo più deciso sulle energie rinnovabili, oggi sarebbe
meno dipendente dalle importazioni di gas.
Il parco
eolico di Taranto però ha una storia contrastata, che illustra bene i paradossi
della transizione energetica in Italia.
Un paradosso
è che ci sono voluti ben quattordici anni per passare dal progetto alla
realizzazione. La prima proposta infatti risale al 2008. L’autorizzazione
definitiva è arrivata dopo cinque anni, nel 2013: “Le procedure per progetti di
energia rinnovabile, tra verifiche e valutazione di impatto ambientale,
richiedono purtroppo questi tempi”, osserva l’ingegner Luigi Severini, autore
del progetto e oggi direttore dei lavori.
Una storia
contrastata
Poi è
cominciata una vicenda travagliata. Il progetto ha avuto contro la regione
Puglia, che aveva già dato un parere sfavorevole citando possibili danni
ambientali e paesaggistici. Con le stesse motivazioni il Comune di Taranto è
ricorso al Tribunale amministrativo regionale per bloccare l’impianto. Ha perso
il ricorso e anche il successivo appello al Consiglio di Stato, ma intanto
siamo arrivati al 2016: “Così abbiamo dovuto rinunciare alla prima asta per la
produzione di energia rinnovabile, perché non saremmo stati pronti a produrre
nei tempi richiesti”, ricorda Severini.
Nel
frattempo è cambiato l’assetto societario. Alla piccola azienda tarantina che
aveva ottenuto l’autorizzazione, Societ Energy Spa, è subentrata una società
francese di investimenti, la Belenergia. Infine il progetto, ribattezzato
Beleolico, è passato al Gruppo Toto di Chieti, a cui appartiene la società
Renexia che lo sta costruendo. “Intanto la ditta tedesca che doveva fornire le
turbine è fallita”, spiega Severini: “Non è stato facile trovare un altro fornitore
perché servivano turbine con le stesse caratteristiche tecniche del progetto
approvato nel 2013, e invece l’innovazione tecnologica corre. Alla fine le
abbiamo trovate in Cina”.
Fattostà che
la costruzione effettiva è cominciata nel settembre del 2021, ben otto anni
dopo la prima autorizzazione.
Sulla
banchina del molo polisettoriale di Taranto, Paolo Sammartino descrive una
logistica complessa. Per montare gli aerogeneratori è arrivata una speciale
nave-cantiere della società olandese Van Oord (in Italia non esistono
imbarcazioni simili). Primo, ha piantato le fondazioni monopalo che reggono le
torri: sono cilindri d’acciaio fatti di un pezzo unico, quasi 5 metri di
diametro e lunghi fino a 50 metri, conficcati nel fondale per trenta metri da
una sorta di gigantesco martello a percussione.
Su queste
fondazioni vengono assemblate le torri. Davanti a noi la nave-cantiere si
sposta lentamente vicino al troncone giallo di un monopalo, a cercare la
posizione giusta dove ancorarsi; poi farà scivolare sul fondale dei grandi
piloni d’acciaio che la sollevano dall’acqua, trasformandola in una
piattaforma. Ora può cominciare a montare i tre segmenti cilindrici della
torre, diametro 4 metri. Poi sarà fissata la navicella che contiene il
generatore, infine il rotore con le tre pale – di cui una è dipinta di nero,
spiega il responsabile dei lavori, per una prescrizione ambientale: quando gira
risulta più visibile agli uccelli in volo.
L’ultima
fase sarà posare i cavi che collegano ogni turbina a una sottostazione elettrica
a terra, dove l’energia viene trasformata e immessa nella rete di Terna, il
gestore nazionale.
L’investimento
complessivo per il parco Beleolico ammonta a 82 milioni di euro. La navicella
con il rotore si trova a 90 metri d’altezza; l’apertura delle pale fa 130 metri
di diametro. Ogni aerogeneratore ha una potenza di 3 megawatt: l’impianto ha
dunque 30 megawatt di potenza totale e potrà produrre circa 58 mila megawattora
(Mwh) annui, abbastanza per alimentare l’equivalente di 21 mila abitazioni
con 60 mila persone. In termini di cambiamento climatico, nei 25 anni di vita
dell’impianto saranno risparmiate circa 730 mila tonnellate di anidride
carbonica.
Si tratta di
un piccolo impianto, riconosce l’autore del progetto. “Quando l’abbiamo
pensato, nel 2008, il termine di confronto erano i parchi eolici esistenti
sulla terraferma, che andavano da 20 a massimo 45 megawatt”, spiega Luigi
Severini. “Certo, oggi turbine di dimensioni analoghe potrebbero avere quattro
megawatt di potenza invece che tre. Ma resterebbe un piccolo impianto e non
potrebbe essere altrimenti, in un ambito portuale e così vicino alla costa. Del
resto, il nostro progetto è stato approvato proprio per questo: il ministero
dei beni culturali ha riconosciuto che ha le giuste proporzioni in rapporto
alla morfologia del territorio”.
Tonnellate
di acciaio, ma non di Taranto
A lavoro
finito, le pale eoliche danno un’impressione di leggerezza. Perfino là adagiate
sul molo, insieme agli altri componenti in attesa di assemblaggio, quelle pale
lunghe una sessantina di metri appaiono sottili, agili. Eppure stiamo parlando
di grandi quantità d’acciaio. Ogni fondazione monopalo da sola fa circa 400
tonnellate; si aggiungano torri, pale e tutto il resto: l’energia eolica è un
grande lavoro di siderurgia. Poiché siamo a Taranto si potrebbe pensare che
tutto quell’acciaio venga dallo stabilimento Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, di
cui da questo molo si scorgono le ciminiere. Invece no: e questo è un altro
paradosso.
“Abbiamo
fatto di tutto perché il progetto restasse made in Italy”, spiega
Luigi Severini: ma non è stato possibile. Perché? Per quanto riguarda
l’acciaio, quando sono stati definiti i contratti di forniture l’Ilva era in
pieno passaggio di proprietà, l’esito della vendita e perfino la sorte dello
stabilimento erano incerti: non avrebbe potuto prendere una commessa che
richiedeva il lavoro di un anno e una linea di produzione apposita. Ma c’è un
problema più generale, aggiunge Severini: “L’offerta delle imprese italiane non
reggeva la competizione di aziende del nord Europa, che in questo settore hanno
più esperienza e possono fare offerte più convenienti”.
Così il
monopalo è stato fabbricato in Spagna, le pale e le turbine vengono dalla Cina
(dalla Ming Yang Smart Energy). Il contributo “fatto in Italia” è limitato ad
alcune lavorazioni meccaniche affidate a aziende tarantine, o la posa dei cavi
che correranno sul fondale e poi a terra per trasferire l’energia al
trasformatore. Oltre a vari servizi, come le barche che trasporteranno i
tecnici per la manutenzione continua dell’impianto.
Anche la
squadra di lavoro è mista. La costruzione del parco Beleolico occupa circa 250
persone, di cui un centinaio lavora sulla nave-cantiere. “È un team molto
specializzato”, spiega Sammartino: ci sono i tecnici venuti dal nord Europa con
la nave-cantiere, quelli arrivati dalla Cina con le turbine; gli addetti al
complicato assemblaggio o alla posa dei cavi vengono per lo più da Taranto o
dalla Campania.
“In termini
di occupazione, le ricadute sul territorio di Taranto non sono molte”, osserva
Giuseppe Romano, segretario della Federazione dei lavoratori metalmeccanici
della Cgil nella città pugliese: “La fabbricazione è avvenuta altrove e anche
il montaggio richiede un lavoro molto specializzato, con qualifiche che qui non
sono presenti”. Il segretario della Fiom però vede con favore lo sviluppo
dell’industria eolica. “È un segnale importante e un passo verso la transizione
a energie rinnovabili. In linea di principio servirà anche a sostenere la
nostra siderurgia, se investiremo per produrre qui l’acciaio”. Anche se,
aggiunge, “restano molte diffidenze”.
Un paesaggio
industriale
Da Taranto
le pale eoliche non si vedono. Né dalla città vecchia, né da quella nuova con
il lungomare che guarda verso il largo. Dal belvedere di piazza Marinai
d’Italia si possono osservare le navi ferme nella rada, un piccolo peschereccio
che rientra in porto, le gru sui moli più vicini, i camini delle Acciaierie
d’Italia sempre sullo sfondo. Da certi punti si scorge la raffineria dell’Eni.
Ma non gli aerogeneratori: sono a meno di dieci chilometri in linea d’aria, ma
si trovano oltre punta Rondinella, dove la costa curva e il golfo jonico si
allarga.
Il progetto
eolico però è stato accolto con diffidenze nella città pugliese, quando non
opposizioni attive e ricorsi legali, spesso motivati citando un danno al
paesaggio. Come se la città non si fidasse più di nulla, e si capisce: Taranto
ha i nervi scoperti. Sono passati dieci anni da quando la magistratura ha messo
sotto sequestro l’area a caldo dell’ex Ilva, cioè altiforni e cokerie, ovvero
il cuore di un’acciaieria, facendo precipitare la crisi (anche se l’azienda ha
mantenuto la “facoltà d’uso” degli impianti ed è rimasta in attività). Era
l’agosto 2012: da allora l’impianto industriale è passato attraverso una
gestione commissariale, la vendita al gruppo Arcelor Mittal, infine l’ingresso
in società di Invitalia, cioè lo stato. Sono arrivate nuove prescrizioni
ambientali. C’è stato un processo ai dirigenti del gruppo Riva che ha gestito
lo stabilimento tra il 1995 e il 2013, concluso da condanne per “disastro
ambientale”. Intanto le indagini epidemiologiche hanno descritto i danni
dell’inquinamento sulla salute dei tarantini. E però la crisi resta aperta.
Certo:
insieme alle ciminiere, oggi nel panorama urbano ci sono anche i giganteschi
capannoni che coprono finalmente i “parchi minerari” dello stabilimento: sono i
depositi di ferro e di carbone a cielo aperto che disperdevano polveri
tossiche, tanto che nei giorni di vento bisognava chiudere le scuole del vicino
quartiere Tamburi. Ora le polveri in aria sono diminuite (non eliminate, perché
i capannoni sono aperti di lato). Ma nel terreno e nelle falde idriche, o nei
fondali del Mar Piccolo, restano le sostanze tossiche accumulate in decenni:
metalli pesanti, diossine, pcb, idrocarburi policiclici aromatici. Delle
bonifiche promesse ben poco è stato fatto.
Resta aperto
anche l’interrogativo di fondo: si può riconvertire lo stabilimento,
“decarbonizzare” la produzione di acciaio? La nuova società Acciaierie d’Italia
in dicembre ha annunciato, per bocca del suo amministratore delegato Franco
Bernabè, che gli altoforni lasceranno il posto a forni elettrici con un piano
graduale da attuare in dieci anni, passando dal carbone al gas e poi
all’idrogeno. “Ma è un annuncio ancora vago, nulla di scritto”, osserva
Giuseppe Romano: con quale energia si alimenterà lo stabilimento, quanti
lavoratori occuperà? “Stiamo aspettando un vero e proprio piano industriale”.
Secondo gli
accordi sottoscritti nel dicembre 2020 con Arcelor Mittal, in maggio Invitalia
dovrebbe versare altri 680 milioni di euro nel capitale della società,
diventando così l’azionista di maggioranza con il 60% della proprietà (oggi i
due soci sono al 50 per cento). Ma già si parla di
un rinvio. E la ragione sarebbe che sullo stabilimento gravano
ancora diversi sequestri penali: avere gli impianti liberi da pendenze legali
era una delle condizioni dell’accordo, insieme alla revisione dei piani industriali
e delle prescrizioni ambientali. Il futuro delle acciaierie dunque resta
sospeso. “Continua a mancare una strategia industriale a lungo termine”,
insiste il segretario della Fiom: “E la cosa peggiore è l’incertezza”.
L’energia
che galleggia
È difficile
ignorare tutto questo, a Taranto. Così anche il progetto eolico, che pure è
energia rinnovabile, è stato guardato con scetticismo. “Dopo tante promesse non
mantenute, capisco che la città sia diffidente”, dice Lunetta Franco,
presidente di Legambiente a Taranto: “Ma il parco eolico è un passo nella
direzione giusta. Quelle pale in mare sono un segno di cambiamento”. (…)
https://www.terraterraonline.org/blog/lenergia-del-vento-arriva-a-taranto/
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