venerdì 8 aprile 2022

Fuori tempo massimo, lo sbarco del gas in Sardegna - Elena Gerebizza, Filippo Taglieri

 

Dopo mesi di tira e molla, il presidente del consiglio Mario Draghi ha firmato il Dcpm Energia che definisce i termini della “transizione energetica” sarda. Uno strumento abusato, quello del Dpcm, che torna questa volta per ridisegnare un territorio, bypassando il parlamento ma anche le istituzioni locali sarde, e generando molto malcontento nell’isola. Ma veniamo ai contenuti.

Il decreto ufficializza il gran plan di Snam per la metanizzazione dell’isola, un progetto rimasto al palo e ridefinito dopo una valutazione costi-benefici negativa, che di fatto indicava nella transizione alle rinnovabili la strada più sensata per il futuro energetico della Sardegna. Per volere del governo invece la Sardegna si prepara a entrare nell’era del gas, quando il resto del mondo sta pensando di uscirne. La soluzione di Palazzo Chigi consiste nel portare sull’isola il gas via nave: parliamo quindi di gas naturale liquefatto (GNL) che verrebbe rigassificato in due terminal FSRU (Floating Storage and Rigassification Unit) situati a Porto Torres e a Portovesme. I due poli industriali sarebbero collegati all’Italia attraverso navi che trasporteranno il metano che servirà all’isola: una “virtual pipeline” che si completerebbe con un terzo deposito e il rigassificatore di Oristano, l’unico già esistente.

La Sardegna è una delle regioni più sacrificate per lo sviluppo del sistema estrattivista: i due grandi poli industriali sono in declino da anni, hanno causato morti ed emigrazione, tanto che le due zone delle virtual pipeline sono Siti d’interesse Nazionale, ovvero siti inquinati che avrebbero bisogno di chiudere con le fossili e di avere le tanto attese bonifiche. Al momento però siamo allo stadio gas sì, rilancio dei poli industriali sì, bonifiche neanche per sogno.

Le virtual pipeline collegherebbero, come detto, l’isola allo stivale, mentre in terra sarda i gasdotti sarebbero tutt’altro che virtuali: sarebbe in programma la costruzione di quasi 400 chilometri di gasdotti, anche se il calcolo è particolarmente complicato perché non è stata fatta una valutazione complessiva dell’opera. Dopo la bocciatura da parte dell’analisi costi-benefici, infatti, la proposta del mega gasdotto da nord a sud dell’isola è stata modificata in un progetto frazionato in quelle che Snam chiama delle “mini-dorsali”, dei gasdotti che dovrebbero interessare le zone di Porto Torres, Sassari, Oristano e del Sulcis Iglesiente fino a Cagliari. Rimarrebbe escluso il nuorese, a conferma che questa transizione al gas vuole solo allungare la vita di poli industriali sulla strada del declino, di fatto bloccando una vera transizione dell’interno modello economico che sarebbe stata inevitabile con la chiusura delle due grandi centrali a carbone presenti proprio a Porto Torres e a Portovesme. Come dicevamo, il tutto in assenza di una valutazione di impatto ambientale completa, che tenga conto delle conseguenze cumulative dei progetti, che sono stati presentati dalla controllata sarda di Snam, Enura, in maniera spezzettata.

Le centrali a carbone presenti, lo ricordiamo, nei pressi di Portovesme e Porto Torres, erano destinate ad essere chiuse o convertite: la prima – la centrale Grazia Deledda di proprietà di Enel – con le grandi batterie per stoccare l’energia rinnovabile prodotta da Enel nella zona; la seconda, di proprietà del gruppo ceco EPH, con la conversione a biomasse proposta qualche anno fa da EP produzione. Con l’invasione russa dell’Ucraina, il governo ha prima proposto di riaccende le due centrali a carbone, considerato più conveniente del gas, per poi rilanciare l’arrivo del GNL sull’isola che – nonostante i prezzi alle stelle e la crisi che il settore produttivo dipendente dal gas sta vivendo da oramai un anno – viene proposto come salvavita del complesso industriale in crisi della Euroallumina e della Portovesme Srl al sud, mentre al nord dovrebbe consentire a EP produzione di convertire una centrale a carbone sotto utilizzata in una centrale a gas sproporzionata per il fabbisogno isolano. Un piano che già nel 2020 sembrava assurdo e che oggi, con i prezzi del gas a livelli mai visti prima e la crisi climatica sempre più evidente, sembra ancora più folle.

Ma la storia non è finita qui. Il Dcpm prevede altri mega progetti in costruzione sull’isola. Tra questi l’interconnessione per l’alta tensione tra la Sardegna e la Sicilia – nota come Tyrrhenian Link – che insieme al raddoppio del collegamento Sardegna-Corsica-Toscana darà la possibilità di esportare l’energia in eccesso che sicuramente sarà prodotta dall’ondata speculativa di mega progetti per la produzione di energia rinnovabile che sta investendo l’isola. Centinaia di progetti di fotovoltaico e eolico, per centinaia di ettari, calati dall’alto e senza una pianificazione territoriale, e tanto meno senza un’adeguata informazione e partecipazione della popolazione.

In questo panorama di vera e propria colonizzazione energetica, si può davvero parlare di “transizione energetica” per la Sardegna e per i suoi abitanti, costretti alla dipendenza dal gas e allo stesso tempo alla servitù delle grandi rinnovabili per l’esportazione di energia?

Come si può parlare di transizione “ecologica” senza parlare di bonifica dei siti inquinati, senza parlare di uscita dalle fossili, ancora di più in una delle regioni con il potenziale più alto per accogliere rinnovabili ragionate, su piccola scala, distribuite e proposte dai territori?

Quale transizione sociale si propone per un territorio spopolato e colpito da un modello incentrato sull’industria pesante che ha lasciato dietro di se più malattie e tumori che prospettive e posti di lavoro?

https://www.recommon.org/fuori-tempo-massimo-lo-sbarco-del-gas-in-sardegna/

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