giovedì 14 aprile 2022

Lo scienziato che ha vissuto per due anni in un branco di lupi - Oleg Egorov

Ha ululato ed è andato a caccia di renne insieme ai maschi, ha diviso il cibo e ha dormito con loro. E una volta gli hanno salvato la vita. L’etologo Jason Badridze, dopo essersi conquistato la fiducia di sei bestie, ha condotto una delle più incredibili ricerche sul comportamento animale mai realizzate.



“Mi sentivo come un lupo”. Jason Badridze, etologo sovietico di origine georgiana (è nato a Tbilisi nel 1944), ha risposto così, una volta, in un’intervista, alla domanda su come si fosse sentito ad andare a caccia di renne. Lo scienziato, tra il 1974 e il 1976, visse insieme a un branco di lupi, condividendo con sei animali il cibo e il sonno.

Tutto ha avuto inizio da un episodio della sua infanzia, quando il padre lo aveva portato con sé in una foresta, in Georgia. “Udii un lupo che ululava. Fu qualcosa che mi colpì, mi sentì l’anima sottosopra”, ha ricordato durante un incontro con “Russkij Reporter”. Dopo quel fatto, Badridze ebbe la certezza di cosa si sarebbe occupato da grande, una volta diventato scienziato. 


Scienza legale a metà

Gli etologi studiano il comportamento degli animali. Negli anni Settanta gli scienziati sovietici non avevano nessuna conoscenza sulla vita selvatica dei lupi. Le pubblicazioni sull’argomento erano molto sporadiche e gli abitanti della Georgia sovietica preferivano sterminarli. Dopo aver compiuto i suoi studi in biologia, Badridze decise di cambiare la situazione. 

La sua ricerca venne condotta in segreto. Si spostò nella Gola di Borzhomi, dove trovò un branco di lupi che faceva al caso suo. Vivevano in un’area di 100 chilometri quadrati. Pagò i ranger locali, che di solito sparavano ai lupi, per lasciare in pace gli animali e “minacciò di malmenarli” se non avessero rispettato il patto. 


L’incontro con i lupi

Come fa una persona a comunicare con predatori feroci? Anche per Badridze, che era stato un cacciatore e sapeva come fare a sopravvivere per mesi nel fondo della foresta, non era semplice. “L’unico modo era di abituarli, lentamente, alla mia presenza”, disse al magazine “Schroedinger’s Cat”. 

Gli ci vollero quattro mesi. Badridze, con prudenza, seguì il percorso seguito dai lupi, evitando il contatto diretto e lasciando che il branco si abituasse a lui. Cominciò a lanciare nei dintorni alcuni piccoli pezzi di vestiti indossati da lui. All’inizio, i lupi evitavano il tessuto. Poi cominciarono a considerare familiare quell’odore. E, dopo che si erano abituati sia all’odore che alla presenza, arrivò il passo più pericoloso: l’incontro diretto. 

Badridze ricorda ancora vividamente la prima volta che incontrò un lupo adulto: erano ognuno di fronte all’altro a una distanza di cinque metri. “Mi guardò negli occhi per poco meno di un minuto. Ma mi sembrò un’eternità. Poi fece una smorfia e tornò dal suo compagno, e insieme rientrarono nella foresta”, racconta lo scienziato. 

Per un bel po’ – non saprebbe dire quanto – Badridze rimase congelato e impietrito, per niente in grado di muoversi. Ma capì che l’avventura era appena cominciata: ce l’aveva fatta. I lupi lo avevano riconosciuto e accettato.




 

Darsi alla vita selvaggia

Il branco cui si unì Badridze era composto da due lupi adulti (una coppia), i loro tre figli e un vecchio lupo, il leader. Aveva ottenuto la loro approvazione e subito cominciò a stare con loro, dormendo vicino al loro luogo di incontro, dove i lupi passavano il tempo insieme. 

Li seguì dappertutto: quando correvano, correva con loro – restando un po’ indietro, ma visto che era in buona forma, non veniva lasciato troppo indietro. Il branco lo invitò perfino a partecipare alla caccia, e lui lo fece, molte volte. Certo, non era lui a uccidere la renna: quello era il compito del lupo adulto. Ma l’uomo, insieme ai cuccioli, aiutava a trovarla. 

I lupi, poi, con gentilezza, condividevano con Badridze la loro carne. Certo, non la mangiava cruda e andava oltre il fiume per cuocere la sua porzione di carne di cervo su un fuoco. A parte quello, viveva di pane e carne stufata. “Odio ancora lo stufato, non posso proprio stargli vicino”, ride. 


Grande amicizia 

Nel corso dei mesi passati con i lupi (visse con diverse famiglie di lupi), Badridze apprese molte cose sul loro comportamento. Come quando scoprì che i lupi sono capaci di atti di altruismo, ad esempio quando lo protessero dall’attacco di un orso. Consideravano l’uomo come parte del loro gruppo: i lupi cacciarono via l’orso, salvando la vita allo scienziato. 

“Stavamo tornando da una battuta di caccia andata male. Eravamo stanchissimi. Io mi sedetti su un pietrone. E in quella un orso, che dormiva vicino, si alza in piedi all’improvviso, proprio di fronte a me. I lupi lo hanno sentito e sono partiti all’attacco dell’animale. Anche se lui li poteva uccidere con facilità con un colpo solo”, ha ricordato Badridze. 


Ma gli uomini sono piùferoci?

Badridze restò fedele ai suoi amici carnivori. Anche il loro linguaggio, fatto di ululati e latrati gli è ancora familiare. Dopo che la famiglia con cui aveva vissuto venne uccisa, diversi anni dopo, in sua assenza, continuò a lavorare con i lupi per decine di anni, nel tentativo di ripopolare la Georgia con la loro specie. 

Salvava i cuccioli dai cacciatori, li allevava in cattività, insegnava loro come vivere nella natura e poi li liberava. In totale, ne ha cresciuti 22, ma forse la cosa migliore che fece per loro (e che continua a fare) fu impegnarsi al massimo per rendere le persone più sensibili alla vera natura dei lupi, rompendo quell’immagine semi-mitologica di bestie avide e assetate di sangue.

“Credo che siano gli uomini le creature più violente. Solo loro si divertono quando commettono atti di violenza. Per le altre specie aggredire è uguale ad avere paura: sono le persone che proiettano le loro caratteristiche peggiori sugli animali”, spiega.

da qui



su Jason Badridze e le sue famiglie di lupi anche su Internazionale un articolo di Liza Tezneva 

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