Cari
amici pallonari,
calciofili di professione, tifosi della prima ora
o affezionati fan di vecchia data della rotolante sfera,
auspicabilmente all’interno della porta avversaria.
Sono qui a offrirvi una seppur dolce amara compensazione per
il dolore e lo scorno dovuti
all’ennesima mancata qualificazione alla fase finale del torneo planetario.
Dovete sapere che secondo un'indagine del Guardian i lavoratori
migranti a basso salario in Qatar pare
abbiano pagato circa 1,5 miliardi di dollari in tasse, forse sino
a 2 miliardi, tra il 2011 e il 2020, malgrado sia del
tutto illegale. Queste persone, le quali risultano provenienti in
gran parte da Bangladesh e Nepal, costituiscono
quasi un terzo della forza lavoro straniera del Qatar, circa due
milioni, e in genere pagano tasse da mille sino a tremila dollari.
Ciò significa che con stipendi medi di 275 dollari al mese sono
costrette a lavorare per almeno un anno solo per pagare
l’iniqua imposta di assunzione.
In molte occasioni gli immigrati hanno dovuto ottenere un prestito per
pagare tale dazio e impossibilitati a restituirlo entro i
termini si ritrovano obbligati a lavorare a tempo indeterminato, in
una delle tante forme di schiavitù moderne oggigiorno
tollerate.
Ciò nonostante, ogni anno centinaia di migliaia di persone, pur
conoscendo tali rischi, partendo da situazioni addirittura peggiori e senza
via di scampo, decidono di imbarcarsi in tale orribile viaggio
verso lo sfruttamento o perfino la morte.
Difatti, secondo un recente rapporto sui lavoratori
immigrati schiavizzati nei paesi del Golfo, tra cui lo stesso Qatar,
si legge che ne muoiono ogni anno sino a diecimila. Il più delle
volte i motivi dei decessi vengono archiviati come cause
naturali e arresto cardiaco, ma la realtà confermata dalla
relazione ci racconta di persone esposte quotidianamente a un’enorme
quantità di rischi, tra cui calore e umidità, inquinamento atmosferico,
superlavoro e condizioni di lavoro abusive, cattive pratiche di salute e
mancata sicurezza sul lavoro, stress psicosociale e ipertensione.
Ebbene, si dà il caso che la maggior parte di questi lavoratori,
tra i più poveri al mondo, siano stati impiegati nelle sopra citate, disumane
condizioni insieme ad altri cittadini dell’Asia meridionale e
africani, nella costruzione degli impianti e delle strutture che
ospiteranno i prossimi mondiali di calcio tra novembre e dicembre
2022.
Indi per cui, essendo noi altri stati esclusi come nazione dal
grande spettacolo calcistico costruito letteralmente sulla
sofferenza e il sangue della gente più povera al mondo, per una volta
possiamo considerarci relativamente innocenti.
Per tale ragione, do per scontato che la notizia di un possibile nostro ripescaggio ai danni dell’Iran –
valutata a posteriori e consapevoli di codesto scandalo – dovrebbe
trovarci indifferenti.
Ma che dico?
Fieri e fermi nel rimandare al mittente ogni
nostro possibile reinserimento nella competizione.
Anzi, nel qual caso potrebbe addirittura trasformarsi in una favorevole
occasione per far luce sull’orrendo sfruttamento di
cui sopra.
Già mi immagino i giornali di tutto il mondo dopo la conferenza
stampa dei dirigenti della federazione: la nazionale italiana
di calcio rifiuta ufficialmente il posto lasciato vacante dagli iraniani per
sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulle disumane condizioni di
lavoro dei cittadini immigrati in Qatar e in tutto il Golfo.
Caspita, in un possibile scenario del genere mi viene da pregare,
più che sperare, che l’Iran o chi per lui vengano estromessi a nostro
favore…
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