Come funziona il lavoro in macelli e allevamenti sotto falsa
identità, per documentare senza filtri ciò che accade.
Quando si parla di lavoro sotto copertura le prime cose che vengono in mente sono i film di spionaggio e le indagini della polizia. Quello che fanno gli investigatori di Essere Animali è un lavoro per certi versi simile: si infiltrano in macelli e allevamenti sotto falsa identità, a volte anche per mesi, cercando di raccogliere immagini e documenti che testimonino quello che si nasconde in questi luoghi, quando chi ci lavora pensa di non essere visto.
Esistono due modi per condurre un’indagine sotto copertura: si ottiene il permesso di assistere alle fasi di lavorazione con un pretesto credibile, oppure ci si infiltra come lavoratore dipendente. Quest’ultima è la modalità più completa, perché permette di documentare senza filtri ciò che accade realmente tra lavoratori e animali. Abbiamo chiesto a quattro investigatori di parlarci delle difficoltà di questo mestiere.
Davide*, 30 anni
Fingendosi un operatore del settore, ha fatto il giro in alcuni macelli
ovini sardi.
VICE: Questa è stata la tua prima indagine sotto
copertura… Come ti sei preparato?
Davide: Ho fatto un training tecnico in cui abbiamo analizzato
vecchi case study, abbiamo fatto un elenco di tutte le cose che sarebbero
potute capitare e soprattutto ho passato in rassegna spezzoni di video di altre
indagini per prepararmi a quello che avrei visto. Lo shock per ciò che vedi
però c’è sempre, infatti prima, durante e dopo l’indagine ho avuto sostegno
psicologico e questo è stato fondamentale.
Hai mai avuto paura di essere scoperto?
Quella paura c’è sempre, ma ho imparato dai miei
errori. Ero in uno dei macelli in Sardegna e
usavo degli occhiali con telecamera incorporata che però avevano le aste un po’
più spesse di quelli normali. Stavo filmando le uccisioni degli agnellini,
quando vedo arrivare il veterinario del macello.
Appena l’ho visto ho pensato: questo mi in*ula,
sai quando vedi che uno è sveglio? Noto che mi squadra e inizia a confabulare
con la direttrice. Poco dopo lei mi chiama nel suo ufficio e mi chiede i
documenti. Io le do la patente ma faccio una scenata, difendendomi, poi prendo
gli occhiali e me ne vado. Quando salgo in macchina mi rendo conto di non avere
più con me la patente. Torno a recuperarla, ma lei me la restituisce solo in
cambio degli occhiali. Io glieli lascio perché tanto avevo ripreso tutto anche
con un’altra telecamera nascosta. Non sono mica scemo!
Qual è la cosa peggiore che può capitarti quando
lavori sotto copertura?
Penso che la cosa peggiore sia non aver filmato bene:
tornare a casa dopo il tuo turno, stanco morto perché non dormi da due giorni,
teso per tutto lo schifo che hai visto, riguardare le immagini e renderti conto
che tutto il tuo lavoro e la sofferenza di quegli animali sono stati inutili.
Marco*, 28 anni
Ha lavorato per alcuni mesi come lavoratore infiltrato
in diversi allevamenti di maiali, tra cui un allevamento di Senigallia oggi
chiuso dopo una battaglia legale dell’associazione.
VICE: Hai iniziato a 22 anni a fare investigazioni,
cosa ti ha spinto a fare questo lavoro?
Marco: Le immagini ingannevoli delle pubblicità. Una sera
stavo guardando video su YouTube e mi sono capitate le investigazioni di alcune
associazioni animaliste, non ne sapevo niente. Sono diventato vegano e
ho preso contatto con Essere Animali. Volevo rendermi utile alla causa e
mostrare a tutti cosa si nasconde dietro la produzione industriale di cibo.
Hai fatto tante investigazioni, qual è il ricordo più
brutto?
Un sabato c’era da uccidere una scrofa perché era
malata e non era più in grado di partorire, ma mancava il responsabile che in
genere finiva gli animali, con il fucile.
Un collega allora decide di ucciderla con quello che
c’era: una mazza. Mentre lui la prendeva a mazzate sulla testa, lei urlava e ci
guardava, guardava me e guardava lui. C’ha messo mezz’ora prima di morire. Il
collega mi diceva che non ero obbligato a restare, ma ero lì per documentare e
sono rimasto, altrimenti non sarebbe servito a niente. E infatti poi grazie a
quelle immagini l’allevamento ha chiuso.
Ti sei mai pentito di qualcosa che hai fatto durante il tuo lavoro?
Forse c’è una cosa di cui mi pento di più, ma lo posso dire ora col
senno di poi. In un allevamento, ero arrivato da nemmeno sei giorni, mi hanno
messo a castrare un suinetto con un bisturi, senza preparazione. Sul momento
non ho potuto tirarmi indietro. Non avevo mai fatto questa cosa, anche perché
in teoria dovrebbe farlo una persona specializzata, ma nei posti dove ho lavorato
sotto copertura l’ho sempre visto fare da chiunque. Sudavo freddo e quei due
minuti mi sono sembrati ore: le sue urla erano penetranti nonostante le cuffie
anti-suono. Nei giorni seguenti, di nascosto, andavo a vedere come stava,
provavo a dargli da mangiare perché aveva iniziato a star male. Dopo poco è
morto. Ho sofferto molto per questo piccolo, l’ho anche sognato qualche volta.
Insomma, è uno dei ricordi più difficili quando emerge.
Ambra*, 36 anni
Lavoratrice infiltrata sotto copertura in un incubatoio industriale di pulcini destinati
a diventare carne.
VICE: Qual è la cosa più brutta che hai visto?
Ambra: La cosa più brutta sono i giorni che scorrono, la sofferenza
continua e costante che vedi, non gli episodi singoli forti. Non dimenticherò
mai gli odori, il rumore assordante della fabbrica, la sofferenza dei pulcini
che sono nati da nemmeno un giorno e che se malati o feriti vengono tritati
vivi all’istante. Ho dovuto toccarli, lanciarli, trattarli come merce, fingendo
che non me ne fregasse nulla.
Com’è stato lavorare nell’incubatoio?
Per molti questo lavoro è l’ultima spiaggia, ho
incontrato anche persone molto gentili con me e che mi dicevano: “tu che sei
italiana, che cosa ci fai qui?”. Eravamo quasi tutte donne e lavoravamo anche
più di dieci ore al giorno.
Eravamo sottoposte a forti pressioni: non ci si poteva
staccare dalla linea, non bisognava rimanere indietro. I rulli erano
strabordanti di pulcini, alcuni cadevano fuori, altri rimanevano bloccati e
morivano asfissiati. In un minuto manipolavo e vaccinavo circa un centinaio di
pulcini. “Questa non è una pasticceria,” o “non coccoliamo i pulcini come si
vede in tv” mi è stato detto il primo giorno di lavoro da una collega, ed era
vero.
VICE: Cosa ti ha spinto a fare indagini sotto
copertura?
Andrea: Sono un attivista nel movimento per i diritti degli
animali da 20 anni. Ho preso parte a presidi, manifestazioni e a un certo
punto, ispirato da quello che succedeva all’estero, ho deciso di mappare gli
allevamenti intensivi più vicini a casa mia ed entrarci. Il passo successivo è
stato farlo attraverso un’associazione. Sono stato uno dei primi in Italia ad
aver fatto queste cose.
Raccontami un episodio che ti ha particolarmente
segnato...
Quando ero in Grecia ho visto delle gabbie con dentro
pesci che erano lì da sei anni: è questo il tempo che serve perché arrivino a
pesare 2 kg, ma è un tempo lunghissimo se pensi che stanno in reti anguste e
sporche, si nuotano addosso e nel frattempo mangiano crocchette che
assomigliano a quelle dei gatti. Se vuoi vedere quanti sono gli allevamenti di
pesce in mare aperto basta che vai su Google Maps, sotto Īgoumenítsa vicino al
confine con l’Albania, c’è un pezzo di costa di 20 km piena di gabbie e la
maggior parte di quel pesce viene esportato in Italia...
C’è stato un momento durante questa indagine in cui
hai avuto paura di essere scoperto?
Rispetto ad altri allevamenti, in quelli di pesci c’è
meno sospetto da parte dei proprietari. Questo per diversi motivi, prima di
tutto perché nessuno si pone il problema della sofferenza di un pesce e non ci
fa impressione vederli macellare. Un altro motivo è che le indagini negli
allevamenti ittici europei sono molto più rare, quindi nessuno, dai
responsabili ai lavoratori, immaginano che qualcuno li stia filmando.
I nomi sono stati cambiati per tutelare la privacy
degli investigatori.
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