(a cura di Cinzia Picchioni)
Ovviamente l’acronimo IPCC del titolo ha un altro svolgimento, come forse
sappiamo; significa Intergovernmental Panel on Climate Change ed
è il nome del principale organismo internazionale per la valutazione dei
cambiamenti climatici1. E mi sono divertita a cambiare l’uso delle
lettere seguendo il pensiero di Jonathan Safran Foer e del suo ultimo
libro, Possiamo salvare il mondo prima di cena. Sia Foer sia
l’IPCC sostengono tesi simili. Ecco alcune parole tratte dall’ultimo Rapporto,
testé uscito, stilato dall’IPCC:
«Quindi, quali soluzioni abbiamo a disposizione per ridurre le emissioni
e rimuovere il carbonio in eccesso? “L’unico gas a effetto serra che
può essere assorbito in modo efficace è la CO2. Per farlo, vi sono due metodi
principali: usare e stimolare la natura ad assorbire di più o migliorare e
sviluppare la tecnologia in grado di farlo al posto suo”, spiega Maria Vincenza
Chiriacò, ricercatrice del CMCC. “Le soluzioni basate sull’uso e la gestione
del suolo sono particolarmente attraenti per il loro potenziale di ridurre le
emissioni, favorire la rimozione del carbonio dall’atmosfera e allo stesso
tempo produrre anche molteplici benefici climatici e ambientali”.
[…] “se si considera che il 24% delle emissioni climalteranti proviene dal
settore agro-forestale – cifra che arriva al 37% se si include l’intera filiera
della produzione alimentare – è chiaro che una delle soluzioni chiave per
raggiungere lo zero netto deve coinvolgere l’uso del suolo”, afferma Lucia
Perugini. […] Le soluzioni basate sulla gestione del suolo includono opzioni di
mitigazione come limitare la deforestazione (che da sola
contribuisce a circa l’11% delle emissioni totali), aumentare la produttività
delle colture, ma anche il cambiamento dei nostri comportamenti,
ad esempio riducendo quelli a maggiore impatto, come il consumo di
carne rossa. […]”, continua Perugini. [Fonte: https://ipccitalia.cmcc.it/net-zero-emissioni/].
Ecco le affinità IPCC/Foer! Entrambi suggeriscono – con più o meno
allarmismi, secondo me sempre troppo poco urgenti – di ridurre il consumo di
carni/animali (Foer parla «di origine animale», potendo così riunire in
un’unica categoria carne+latticini+pesci). E sia l’IPCC sia Foer motivano i
loro suggerimenti con valanghe di dati, rintracciabili nel Rapporto IPCC e nel
libro citato, la cui recensione sarebbe stata troppo lunga; ragion per cui
state leggendo questo articolo come se fosse l’approfondimento e la
prosecuzione della recensione (che comunque si trova qui di seguito).
Possiamo salvare il mondo prima di cena
Come recensione era troppo lunga
I tempi (e gli spazi, ahimè) del web sono più
tiranni dei tiranni. Ed ecco che per poter condividere appieno il piacere (e il
sapere) derivato dal libro Possiamo salvare il mondo prima di
cena (di Jonathan Safran Foer)ho deciso di aggiungere alla recensione
questi brani, trascelti nelle sue pagine (che ho indicato, così li trovate
subito) mentre lo leggevo – tutto, completamente – per recensirlo a dovere.
Buona lettura, o continuazione di lettura, se avete già
valutato interessante la recensione in questa stesso «sito».
Presidenti
Al Gore, il ritorno
«Le modalità con cui affrontiamo la crisi del pianeta non funzionano. Al
Gore merita il suo premio Nobel, ma il cambiamento che ha ispirato non basta
neanche lontanamente – lui stesso l’ha ammesso senza esitazioni in Una
scomoda verità 2. Le organizzazioni ambientaliste meritano il nostro
sostegno, ma neppure i loro risultati si avvicinano alla sufficienza. Chi sa
come stanno le cose ed è disposto ad ammettere la verità più scomoda,
concorderà che stiamo facendo di gran lunga troppo poco e troppo lentamente, e
che proseguendo di questo passo andremo dritti verso la nostra stessa
distruzione. […]
L’obiettivo dell’Accordo di Parigi, ovvero contenere il riscaldamento
globale al di sotto dei 2 gradi centigradi, è considerato un traguardo
ambizioso, ma in realtà significherebbe fermarsi sull’orlo del baratro.
Quand’anche fossimo miracolosamente in grado di raggiungerlo – in base a
recenti modelli statistici abbiamo una probabilità del 5 percento – vivremo in
un mondo molto meno ospitale di quello che conosciamo e molti dei cambiamenti
in corso saranno nella migliore delle ipotesi irreversibili, mentre nella
peggiore si aggraveranno ulteriormente», p. 69.
«C’è una forma di negazione della scienza ben più pericolosa di quella di
Trump: la negazione che si traveste da sostegno. Chi tra noi sa che cosa sta
succedendo ma fa troppo poco, merita molta più rabbia. Dovremmo essere
terrorizzati da noi stessi. Siamo noi quelli contro cui ribellarsi. Riconoscere
se stessi non significa sempre avere coscienza di sé, dicono i critici dei test
allo specchio. Sono io la persona che sta mettendo in pericolo i miei figli»,
p. 136.
Figli
Contestatori
«L’espressione “ipotecare il futuro dei nostri figli” è stata usata in
moltissimi contesti […]. Qualcuno pagherà per le nostre scelte, lo sappiamo
senza crederci. Stiamo anche ipotecando il futuro dei nostri figli con
stili di vita che in futuro creeranno catastrofi ambientali. In effetti,
ventuno giovani hanno intentato una “azione legale costituzionale sul clima”
contro il governo federale, sostenendo che “attraverso misure legislative che
agevolano il mutamento climatico, il governo ha violato i diritti
costituzionali delle giovani generazioni alla vita, alla libertà e alla
proprietà, oltre a essere venuto meno al dovere di proteggere risorse pubbliche
essenziali”. L’amministrazione Trump ha cercato di ottenere l’archiviazione, ma
la Corte suprema ha deliberato all’unanimità a favore dei giovani querelanti,
permettendo che la causa vada avanti», pp. 138-139.
Noi stessi
Quando ci chiederanno…
«La crisi ambientale, pur essendo un’esperienza universale, non ci dà la
sensazione di un evento di cui facciamo parte. Anzi, non ci dà proprio la
sensazione di essere un evento. E per quanto traumatici possano essere un
uragano, un incendio indomabile, una carestia o l’estinzione di una specie, è
improbabile che un evento meteorologico susciti un “Dov’eri quando…?” […]. è
solo il clima. Solo l’ambiente. Quasi certamente però le generazioni future
guarderanno in retrospettiva e si chiederanno dove eravamo in senso biblico:
dov’eravamo come individui? Quali decisioni ci ha suscitato la crisi? Per quale
ragione al mondo abbiamo scelto di suicidarci e di sacrificare loro? Forse
potremmo sostenere che non eravamo noi a decidere […] non c’era niente che
potessimo fare. […] non sapevamo abbastanza. […] non avevamo i mezzi per
mettere in atto cambiamenti davvero incisivi. Non gestivamo le compagnie
petrolifere […]
La capacità di salvarci e di salvarli non era nelle nostre mani. Ma sarebbe
una bugia. […] Rispetto ai cambiamenti climatici abbiamo fatto affidamento su
informazioni pericolosamente scorrette. Abbiamo concentrato la nostra
attenzione sui combustibili fossili, ma questo ci ha fornito un quadro
incompleto della crisi del pianeta […] Sappiamo che dobbiamo fare qualcosa, ma
l’espressione dobbiamo fare qualcosa di solito è una
dichiarazione di incapacità o quantomeno di incertezza. Se non identifichiamo
quello che dobbiamo fare, non possiamo decidere di farlo. […] il quadro si
chiarirà sèpiegando il nesso tra allevamento e cambiamenti climatici. Ho
sintetizzato quello che avrebbe potuto essere un testo di centinaia di pagine
in una manciata di fatti di maggior rilievo», pp. 82-83.
Bisnonni
Pronipoti
«I miei bisnonni vivevano in una casa di legno senza l’acqua corrente e
quando faceva freddo dormivano sul pavimento della cucina, accanto alla stufa.
Non sarebbero mai riusciti a credere alle cose che possiedo: una macchina che
guido per comodità più che per necessità, una dispensa piena di cibi importati
da ogni angolo del pianeta, una casa con stanze che non vengono nemmeno usate
tutti i giorni. E neppure i miei pronipoti ci crederanno. Anche se la loro
incredulità avrà uno spirito diverso: come avete potuto vivere nel lusso per
poi lasciarci un contro troppo salato da pagare – e quindi troppo esoso per
sopravvivere», p. 140.
Scegliere
Decido ergo sum
«Il termine “decisione” deriva dal latino decid?re, che
significa “tagliare via”. Quando decidiamo di spegnere le luci durante una
guerra, ci rifiutiamo di spostarci in fondo all’autobus, […] solleviamo una
macchina per liberare una persona intrappolata, facciamo strada a un’ambulanza,
[…] piantiamo un albero, ci mettiamo in coda per votare o consumiamo un pasto
che riflette i nostri valori, stiamo anche decidendo di tagliare via i mondi
possibili in cui non facciamo queste cose. Ogni decisione esige una perdita,
non solo di quello che avremmo potuto fare, ma del mondo a cui la nostra azione
alternativa avrebbe contribuito. Spesso quella perdita ci sembra così piccola
da essere trascurabile; qualche volta ci sembra così grande da essere
insopportabile.
[…] Siamo portati a definirci attraverso quello che abbiamo: proprietà,
soldi, opinioni e like. Ma a rivelare chi siamo è quello a cui rinunciamo. I
cambiamenti climatici rappresentano la più grande crisi che l’umanità si sia
mai trovata davanti e si tratta di una crisi che saremo sempre chiamati a
risolvere insieme e contemporaneamente ad affrontare da soli. Non possiamo
mantenere il tipo di alimentazione cui siamo abituati e al tempo stesso
mantenere il pianeta cui siamo abituati. Dobbiamo rinunciare ad alcune
abitudini alimentari oppure rinunciare al pianeta. La scelta è questa, netta e
drammatica. Dov’eri quando hai preso la tua decisione?», pp. 84-85.
Torri gemelle
Morte
«Il problema è che il nostro rapporto con il pianeta è un’esperienza ai
confini della morte senza darci quell’impressione. Se riuscissimo a credere che
il nostro pianeta è in pericolo, potremmo vederlo per quello che è. Forse è
vero che se un miliardo di persone provassero l’effetto della veduta d’insieme,
il modo in cui i terrestri pensano alla Terra e il modo in cui la trattano
cambierebbero radicalmente […]. In totale si sono gettate dal Golden Gate più
di sedicimila persone, e nel 98 percento dei casi il tuffo è stato letale. Tra
i pochi sopravvissuti, tutti quelli che ne hanno parlato sostengono di essersi
pentiti non appena si sono lasciati cadere. Forse la nostra specie farebbe
un’esperienza simile. Kevin Hines aveva diciotto anni quando si tuffò. Se
perdessimo il nostro pianeta, forse ognuno di noi penserebbe, come Hines,
guardando il ponte sempre più lontano mentre cadeva: “Cos’ho fatto?”», pp. 150-151.
Ingiusti
Ingiustizia
«Il 10 percento più ricco della popolazione globale è responsabile di metà
delle emissioni di anidride carbonica, mentre la metà più povera è responsabile
per il 10 percento. E spesso i meno responsabili del riscaldamento globale sono
quelli che ne pagano le conseguenze maggiori. Prendi il Bangladesh, il paese
considerato più vulnerabile ai cambiamenti climatici. Si stima che sei milioni
di bengalesi siano già stati costretti a lasciare le proprie case a causa di
disastri ambientali come mareggiate, cicloni tropicali, siccità e inondazioni,
e si prevede che altri milioni dovranno spostarsi nei prossimi anni.
L’innalzamento dei mari potrebbe sommergere circa un terzo del paese,
sradicando venticinque-trenta milioni di persone», pp. 182-183.
[…] «Il Bangladesh ha una delle impronte di carbonio inferiori al mondo,
vale a dire che è uno dei paesi meno responsabili per i disastri di cui è
vittima. Il bengalese medio è responsabile di 0,29 tonnellate di emissioni di
CO2 all’anno, mentre un finlandese medio di trentotto volte
tante: 11,15 tonnellate. Il Bangladesh, dove si consumano in media quattro
chili di carne l’anno, è anche uno dei paesi più vegetariani al mondo. Nel
2028, il finlandese medio ha felicemente consumato quella quantità di carne in
diciotto giorni – e senza considerare il pesce. Milioni di bengalesi pagano per
uno stile di vita opulento di cui loro non hanno mai goduto.
[…] Più di ottocento milioni di persone al mondo sono denutrite e quasi
seicentocinquanta milioni sono obese. Più di centocinquanta milioni di bambini
sotto i cinque anni sono rachitici per malnutrizione. Ecco un’altra cifra su
cui vale la pena di riflettere. Pensa se tutti gli abitanti di Gran Bretagna e
Francia avessero meno di cinque anni e non avessero abbastanza da mangiare per
crescere bene. Tre milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono di
denutrizione ogni anno. Durante l’Olocausto sono morti un milione e mezzo di
bambini. La terra che potrebbe nutrire le popolazioni affamate viene invece
riservata al bestiame che nutrirà popolazioni ipernutrite. Quando pensiamo allo
spreco di cibo, dobbiamo smettere di immaginare pasti mangiati e metà e invece
concentrarci sullo spreco creato per mettere il cibo nel piatto. Possono
volerci fino a ventisei calorie di mangime perché un animale produca una sola
caloria di carne.
Jean Ziegler, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo,
ha scritto che destinare cento milioni di tonnellate di cereali e mais alla
produzione di biocarburanti è un “crimine contro l’umanità”, in un mondo in cui
quasi un miliardo di persone soffrono la fame. Potremmo definire quel crimine
un “omicidio preterintenzionale”. Ma Ziegler non ha aggiunto che ogni anno
l’allevamento destina una quantità sette volte maggiore di cereali e mais –
sufficiente a sfamare tutte le persone denutrite del pianeta – all’allevamento
di animali che diventeranno cibo per la popolazione ricca. Potremmo definire
quel crimine un “genocidio”. Quindi no, l’allevamento intensivo non “nutre il
mondo”. L’allevamento intensivo affama il mondo, e intanto lo distrugge», pp.
184-185.
Azioni
Giuste
«Possiamo provarci. Dobbiamo provarci. Quando si tratta di impegnarsi
contro la distruzione della nostra stessa casa, la risposta non è mai o/o – è
sempre sia/sia. Non possiamo più permetterci il lusso di scegliere le malattie
contro cui provare a cercare un rimedio o i rimedi da tentare. Dobbiamo
sforzarci di porre fine all’estrazione e alla combustione di carburanti fossili
e investire nelle energie rinnovabili e riciclare e utilizzare materiali
rinnovabili ed eliminare gli idrofluorocarburi nei refrigeranti e piantare
alberi e sostenere l’introduzione di una carbon tax e cambiare i metodi di
allevamento e ridurre lo spreco di cibo e ridurre il nostro consumo di origine
animale. E tanto altro», p. 143.
Nota
1L’IPCC è stato istituito nel 1988 dalla World
Meteorological Organization (WMO)e dallo United Nations
Environment Programme (UNEP) allo scopo di fornire al mondo una
visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale delle conoscenze
sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti ambientali e
socio-economici. […] L’IPCC esamina e valuta le più recenti informazioni
scientifiche, tecniche e socio-economiche prodotte in tutto il mondo, e
importanti per la comprensione dei cambiamenti climatici. […] Migliaia di
ricercatori provenienti da tutto il mondo contribuiscono al lavoro dell’IPCC su
base volontaria. Il processo di revisione è un elemento fondamentale delle
procedure IPCC per assicurare una valutazione completa e obiettiva delle
informazioni attualmente disponibili. L’IPCC aspira a riflettere una varietà di
punti di vista e competenze diverse.
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