Il primo a usare tale espressione fu l’inviato del Corriere della sera Giovanni Grazzini in un articolo datato 10 novembre del 1966 per definire i tanti giovani che in quell’anno giunsero da tutta Italia e anche dall’estero per aiutare la città e i suoi abitanti a rimettersi in sesto a causa di una tremenda alluvione (qui le immagini) dovuta a una successione di straripamenti del fiume Arno.
Da allora sono trascorsi quasi 60 anni e possiamo affermare
senza tema di smentita che sulla natura problematica dei nostri
territori, se così possiamo definirla, e soprattutto sulle nostrane gravi
carenze in materia di prevenzione di tali sciagure, nonché nella cura,
la verifica e il rinnovamento delle infrastrutture
su cui si regge l’intero paese, ne sappiamo abbastanza.
Chiunque potrebbe rendersene conto in pochi secondi se dotato di
una seppur lenta connessione internet.
Ciò nonostante, oggi anche più di allora le pagine dei giornali si riempiono
dei nuovi angeli nella versione 2.0., con la passerella in galosce
del presidente del consiglio stesso o di personaggi dello
spettacolo, per finire di nuovo con i giovani e le persone comuni, ancora loro,
sui quali si può dire solo qualcosa di buono.
Nondimeno, vi è un’ulteriore differenza rispetto a quei terrificanti giorni del
‘66, le cui immagini televisive o le drammatiche narrazioni radiofoniche
lasciarono inorriditi milioni dei nostri concittadini del secolo scorso, tra
genitori, nonne e zii.
Una differenza che è il prodotto di una consapevolezza ineludibile, il
famoso senno di poi che ci dovrebbe permettere di avere la
coscienza a posto all’indomani di tali tragedie, come minimo, o al meglio di
ridurre i danni, per non dire il numero dei morti e degli sfollati. Ma non è
affatto la norma, ahinoi, altrimenti…
Nel frattempo vi sono altri angeli che da allora si fanno il culo tutto l’anno,
lontano dai flash dei fotografi assoldati per la propizia occasione.
Sto parlando, se non si è ancora capito, degli angeli del resto.
Gli angeli del petrolio, ovvero di coloro che per contrastarne gli
effetti nocivi sulla vita di tutti noi si lordano quotidianamente dello schifo
che non si nasconde nei barili, bensì nei cuori di chi lucra su milioni di
vittime predestinate di guerre cosiddette civili pianificate a tavolino, per
dirne una.
Gli angeli delle parole semplici e delle azioni facili, che
potremmo fare tutti in ogni luogo e ciascun istante, che sfidano ingenuamente
le gigantesche multinazionali dell’informazione e dell’energia anche solo per
un singolo centimetro di ragione a discapito della dilagante e virale follia.
Gli angeli della terra, ma si può chiamarli più comunemente indigeni,
che anche ora, in questo preciso istante, sono schierati a petto nudo di fronte
ai proiettili del più forte di turno, il colonizzatore di ritorno che non se
n’è mai andato.
Cadono, spesso, in quello stesso fango di cui sopra. In molti vi periscono, ma
un attimo dopo ne arrivano degli altri. Perché ogni tanto, anche se di rado, si
vince pure e questo cambia tutto. Dimostra che è possibile.
E poi gli angeli dell’acqua, che assurdamente lottano per
convincere tutti gli altri che non ce ne sarà un’altra quando quella che
abbiamo si sarà esaurita.
Gli angeli delle piante e di ogni specie vivente,
come se fossero ormai dei dettagli assolutamente trascurabili, perché tanto li
puoi avere in digitale, è compreso nel pacchetto, che fortuna!
Gli angeli del vento e della luce del sole, di
tutto ciò che muove il pianeta tranne gli altri che non si smuovono dal divano,
perché quelli sono furbi, eh? La sanno lunga, mica sono criceti o formiche.
Sono piuttosto come quei disgraziati di topini, hai presente? Dai, quelli che
sfrecciano nei labirinti da laboratorio e se imbeccano la strada giusta si
guadagnano un pezzetto di formaggio. Quindi, se giunge l’ora e l’occasione
giusta, si infilano i gambali e vanno a spalare il fango per un giorno. Ma
quando giunge la sera e si spengono le luci, lo spettacolo è finito. Via il
costume di scena e si torna a distruggere il pianeta come se niente fosse…
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