martedì 2 maggio 2023

Iraq, poveri nonostante il petrolio - Sara Manisera e Daniela Sala

 


All’alba del 20 marzo 2003, la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti invade l’Iraq. Inizia così la Seconda Guerra del Golfo, un intervento giustificato come "guerra preventiva" ed "esportazione della democrazia". Saddam Hussein era accusato di possedere armi di distruzione di massa e di nascondere militanti di al-Qaida. Secondo le parole di George W. Bush, la missione militare "Iraqi Freedom" avrebbe combattuto il terrorismo, difeso il mondo da un serio pericolo, esportato libertà, prosperità e laicità.

Dal 2003, l’Iraq ha subito un’invasione militare, una guerra civile, l’occupazione di un terzo del paese da parte dell’autoproclamato Stato Islamico, la diffusione di milizie e gruppi armati e una "liberazione" che ha causato migliaia di vittime civili e sparizioni forzate. Al tempo stesso, la società civile irachena non ha mai smesso di lottare e di difendere i diritti umani con campagne nonviolente, spesso ignorate dalla comunità internazionale. Se è vero che l’Iraq è uno dei Paesi più ricchi al mondo di petrolio, è altrettanto vero che la maggior parte della popolazione in questi ultimi vent’anni non ha mai beneficiato della ricchezza del petrolio.

Acqua salata dai rubinetti

Nell’estate del 2018, le temperature a Basra, nel sud dell’Iraq, hanno raggiunto i 52 gradi e dai rubinetti usciva acqua salata. Benché il governatorato di Basra ospiti i giacimenti petroliferi che producono la maggior parte di barili di petrolio esportati ogni giorno dall’Iraq, la regione - e la maggior parte dell’Iraq- resta sottosviluppata, priva di servizi, di acqua, di elettricità e fortemente inquinata. Nel 2011, 2015 e 2019 migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il governo per la mancanza di servizi pubblici e diritti. La repressione da parte delle forze di sicurezza e delle milizie armate è stata durissima.

Giovani manifestanti uccisi

Solo nel 2019, più di 800 giovani manifestanti sono stati uccisi e oltre 25’000 sono stati feriti. A vent’anni di distanza dall’invasione a guida statunitense, l’Iraq è uno dei paesi più corrotti al mondo, dove classi dirigenti locali, con il supporto di milizie, e uomini d’affari si dividono la torta secondo i propri interessi. Nonostante sia stato fatto di tutto per convincere l’opinione pubblica che il problema fossero le armi di distruzione di massa e al-Qaida, la geopolitica e il petrolio restano le cause principali della fragilità irachena.

Sara Manisera e Daniela Sala - con la collaborazione di Lina Issa ed Essam al Sudani - realizzato grazie al supporto del JournalismFund

qui un video interessante: 

 

da qui



Iraq senz’acqua: il costo del petrolio che arriva fino in Italia - Sara Manisera, Daniela Sala

 In Iraq i giacimenti di petrolio estraggono il greggio utilizzando l'acqua dirottata dai fiumi. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, i loro profitti si sono moltiplicati. Ma a Basra mancano acqua e elettricità

Basra, Iraq. Quando nel 1990 Saddam Hussein prosciugò gran parte delle paludi mesopotamiche per punire i ribelli nascosti tra i canneti che si opponevano al suo regime, Mahdi Mutir prese i suoi pochi averi, le reti e la piccola barca e fuggì verso le paludi di Hammar, a nord est di Basra, dove pensava di poter continuare a vivere grazie alla pesca. Le paludi di Hammar sono un grande complesso di zone umide nel sud-est dell’Iraq e fanno parte delle paludi mesopotamiche, originate dal sistema fluviale del Tigri ed Eufrate.

Questi antichi fiumi nascono dalle sorgenti innevate dei monti del Tauro nella Turchia sud orientale, attraversano valli e gole verso gli altipiani della Siria e dell’Iraq settentrionale e poi scendono paralleli verso la pianura alluvionale dell’Iraq centrale. Come le arterie dell’apparato circolatorio, i fiumi, raggiunti da altri affluenti, scivolano verso sud e si uniscono ad Al-Qurnah per formare il maestoso Shatt al-Arab, un fiume che viaggia per duecento chilometri prima di sfociare nel Golfo Persico.

Per millenni, la vita degli abitanti delle paludi è stata strettamente legata al Tigri, all’Eufrate e alle zone umide che stagionalmente venivano sommerse dalle inondazioni dei fiumi. Grazie all’acqua e ai canali, si trasportavano merci, si navigava da una regione all’altra, si coltivava e si viveva di pesca, in un rapporto simbiotico con l’ambiente circostante. Così ha vissuto anche Mutir.

Ogni giorno, alle due di pomeriggio, usciva da casa per andare a gettare le reti con la tradizionale mashuf, una canoa in legno, lunga e stretta, utilizzata come mezzo di trasporto principale dai pescatori di questa zona per navigare canali e paludi. Aspettava il calare del sole e il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, le andava a raccogliere. Dei pesci catturati riusciva a guadagnare circa 17.000 dinari al giorno, circa tre euro, una cifra esigua ma sufficiente per mantenere la sua famiglia…

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