All’alba del
20 marzo 2003, la coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti invade
l’Iraq. Inizia così la Seconda Guerra del Golfo, un intervento giustificato
come "guerra preventiva" ed "esportazione della
democrazia". Saddam Hussein era accusato di possedere armi di distruzione
di massa e di nascondere militanti di al-Qaida. Secondo le parole di George W.
Bush, la missione militare "Iraqi Freedom" avrebbe combattuto il
terrorismo, difeso il mondo da un serio pericolo, esportato libertà, prosperità
e laicità.
Dal 2003,
l’Iraq ha subito un’invasione militare, una guerra civile, l’occupazione di un
terzo del paese da parte dell’autoproclamato Stato Islamico, la diffusione di
milizie e gruppi armati e una "liberazione" che ha causato migliaia
di vittime civili e sparizioni forzate. Al tempo stesso, la società civile
irachena non ha mai smesso di lottare e di difendere i diritti umani con
campagne nonviolente, spesso ignorate dalla comunità internazionale. Se è vero
che l’Iraq è uno dei Paesi più ricchi al mondo di petrolio, è altrettanto vero
che la maggior parte della popolazione in questi ultimi vent’anni non ha mai
beneficiato della ricchezza del petrolio.
Acqua salata
dai rubinetti
Nell’estate
del 2018, le temperature a Basra, nel sud dell’Iraq, hanno raggiunto i 52 gradi
e dai rubinetti usciva acqua salata. Benché il governatorato di Basra ospiti i
giacimenti petroliferi che producono la maggior parte di barili di petrolio
esportati ogni giorno dall’Iraq, la regione - e la maggior parte dell’Iraq- resta
sottosviluppata, priva di servizi, di acqua, di elettricità e fortemente
inquinata. Nel 2011, 2015 e 2019 migliaia di persone sono scese in piazza per
protestare contro il governo per la mancanza di servizi pubblici e diritti. La
repressione da parte delle forze di sicurezza e delle milizie armate è stata
durissima.
Giovani
manifestanti uccisi
Solo nel
2019, più di 800 giovani manifestanti sono stati uccisi e oltre 25’000 sono
stati feriti. A vent’anni di distanza dall’invasione a guida statunitense, l’Iraq
è uno dei paesi più corrotti al mondo, dove classi dirigenti locali, con il
supporto di milizie, e uomini d’affari si dividono la torta secondo i propri
interessi. Nonostante sia stato fatto di tutto per convincere l’opinione
pubblica che il problema fossero le armi di distruzione di massa e al-Qaida, la
geopolitica e il petrolio restano le cause principali della fragilità irachena.
Sara
Manisera e Daniela Sala - con la collaborazione di Lina Issa ed Essam al Sudani
- realizzato grazie al supporto del JournalismFund
qui
Iraq senz’acqua: il costo del petrolio che arriva fino in Italia - Sara
Manisera, Daniela Sala
Basra, Iraq. Quando nel
1990 Saddam Hussein prosciugò gran parte delle paludi mesopotamiche per punire
i ribelli nascosti tra i canneti che si opponevano al suo regime, Mahdi Mutir
prese i suoi pochi averi, le reti e la piccola barca e fuggì verso le paludi di
Hammar, a nord est di Basra, dove pensava di poter continuare a vivere grazie
alla pesca. Le paludi di Hammar sono un grande complesso di zone umide nel
sud-est dell’Iraq e fanno parte delle paludi mesopotamiche, originate dal
sistema fluviale del Tigri ed Eufrate.
Questi antichi fiumi nascono dalle sorgenti innevate dei monti del Tauro
nella Turchia sud orientale, attraversano valli e gole verso gli altipiani
della Siria e dell’Iraq settentrionale e poi scendono paralleli verso la
pianura alluvionale dell’Iraq centrale. Come le arterie dell’apparato
circolatorio, i fiumi, raggiunti da altri affluenti, scivolano verso sud e si
uniscono ad Al-Qurnah per formare il maestoso Shatt al-Arab, un fiume che
viaggia per duecento chilometri prima di sfociare nel Golfo Persico.
Per millenni, la vita degli abitanti delle paludi è stata strettamente
legata al Tigri, all’Eufrate e alle zone umide che stagionalmente venivano
sommerse dalle inondazioni dei fiumi. Grazie all’acqua e ai canali, si
trasportavano merci, si navigava da una regione all’altra, si coltivava e si
viveva di pesca, in un rapporto simbiotico con l’ambiente circostante. Così ha
vissuto anche Mutir.
Ogni giorno, alle due di pomeriggio, usciva da casa per andare a gettare le
reti con la tradizionale mashuf, una canoa in
legno, lunga e stretta, utilizzata come mezzo di trasporto principale dai
pescatori di questa zona per navigare canali e paludi. Aspettava il calare del
sole e il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, le andava a raccogliere.
Dei pesci catturati riusciva a guadagnare circa 17.000 dinari al giorno, circa
tre euro, una cifra esigua ma sufficiente per mantenere la sua famiglia…
Nessun commento:
Posta un commento